« No Ordinary Crossover » Italian GDR

Votes taken by Tharia

  1. .
    :Jared:
    Fuori dal locale l’aria era ancora frizzante, sembrava che questo inverno non ne volesse sapere di andar via. Mi misi una mano in tasca e con l’altra tenevo la sigaretta che mi ostinavo a fumare nonostante avessi smesso anni prima. Ultimamente, il nervosismo mi corrodeva dall’interno e avevo sentito la necessità di sfogarmi con una sigaretta ogni tanto… soprattutto dopo una di quelle scene in cui mi imbattevo sempre più spesso. Eppure, non avevo cambiato locale, continuavo a venire qui dopo i turni diurni, ci passavo le serate, come un patetico drogato di una droga che nulla aveva a che fare con le sigarette.
    Ero innamorato. Sì, ero ancora innamorato di una donna che mi aveva lasciato ormai da due mesi. Le avevo concesso la mia amicizia, le avevo concesso di vederci di tanto in tanto, ma avevo finito per continuare a torturarmi standole troppo vicino.
    Anche quella sera, avevo bevuto la mia birra guardandola mentre ballava in maniera fin troppo sensuale con un altro ragazzo, in pista. Sarà stata la millesima volta che mi toccava assistere a quegli strusci che mi davano il voltastomaco, e allora finivo fuori dal lounge bar a mangiarmi le dita… piuttosto che distruggermi le mani, quindi avevo optato per il fumo, anche se erano distruttivi entrambi i comportamenti. Al diavolo! È lei che mi sta facendo a pezzi!
    Presi la decisione di non rientrare, ne avevo abbastanza. Lasciai dentro persino la giacca… ma sapevo che la barista l’avrebbe messa da parte, sarei passato a prenderla l’indomani. Adesso sentivo solo l’impellente necessità di allontanarmi il più possibile da quel posto…
    Mi misi in macchina e a una velocità sostenuta iniziai a percorrere la strada che costeggiava il maestoso fiume Colorado, che attraversava le più grandi città del Texas, Austin compresa. Paradossalmente, la vista della superficie agitata dai venti e dalle correnti mi aveva sempre tranquillizzato. E forse per questa mia distrazione non mi accorsi subito dei due veicoli sospetti che avevano iniziato a seguirmi… Ma alla fine, il mio sesto senso mi aveva avvisato.
    Due Suv neri con fari spenti mi stavano alle calcagna, ogni tanto si avvicinavano, ma mai abbastanza affinché potessi vedere bene i guidatori nello specchietto retrovisore.
    Accelerai, ma loro tendevano a venirmi addosso, nel tentativo di speronarmi. Era chiaro che volevano farmi fuori, non solo intimidirmi! La cosa non mi sorprendeva più di tanto. Durante i miei anni in servizio come Agente speciale dell’FBI ne avevo viste talmente tante… proprio in quel periodo stavo indagando su un gruppo di criminali sudamericani che riciclavano denaro e trafficavano armi pesanti.
    Mi resi conto che avevo lasciato lo smartphone nella giacca, a diversi chilometri di distanza. Quindi non potevo neppure chiamare rinforzi. Sei un vero coglione, Jared! Vuoi vedere che il tuo amore malato sarà anche il motivo per cui ci rimetterai le penne?
    Dovevo tentare di seminarli in qualche modo, ma la strada che costeggiava il fiume non era di certo l’ideale per manovre diversive.
    Non avevo altra scelta, dovevo attendere una loro mossa e agire prendendoli in contropiede.
    La loro mossa non tardò ad arrivare: uno dei Suv mi superò facendo andare al massimo il motore per sbarrarmi ogni via di fuga, mentre l’altro mi speronava con violenza da dietro.
    Eravamo troppo vicini alla balaustra che ci separava da un piccolo strapiombo e dal fiume. E in un attimo immaginai quanto stava per accadere, senza che io potessi fare nulla per impedirlo.
    L’impatto con il ferro del parapetto fu terribile, tanto da sfondarlo. La mia berlina fece un salto che mi fece andare lo stomaco in gola e il sangue al cervello. Poi, crollai verso il basso… verso l’acqua gelida e impetuosa del Colorado.
    Quando la macchina sprofondò nell’acqua ci fu un attimo di silenzio surreale, come se il tempo si fosse fermato. Poi, il boato della aria che veniva risucchiata dall’interno dell’abitacolo e sostituita dal fiume mi fece tremare per il terrore e il freddo.
    Tentai di sganciare la cintura di sicurezza, ma era bloccata. Fantastico! Sicuramente un bel modo di concludere questa serata di merda!
    Ringraziai le mie doti atletiche perché mi permisero di contorcermi abbastanza per afferrare il coltello che stava nella mia cavigliera. Tagliai la cintura e mi preparai ad aprire la portiera dell’auto, l’acqua mi avrebbe travolto. Ma anche quella non volle collaborare. La chiusura elettronica era andata. Respirai piano, una, due, tre volte. Dovevo pensare, ma le alternative, così come l’ossigeno nell’abitacolo, erano scarsissimi.
    L’acqua entrava da tutte le fessure e mi aveva ormai sommerso del tutto, quando mi resi conto che non ce l’avrei fatta: sarei morto annegato per mano di sconosciuti e per motivi ancora più oscuri, dopo aver gettato i migliori anni della mia vita dietro a una donna che non mi aveva mai amato e a un lavoro per cui mi ero sacrificato fino allo spasimo.
    Un ultimo respiro e andati sotto. Continuai a provare ad aprire lo sportello, poi mi misi a calciare sul vetro del finestrino per tentare di romperlo… ma con nessun risultato, la pressione dell’acqua era talmente alta che creava una resistenza troppo forte ai miei colpi.
    L’aria era ormai al limite e la vista iniziò ad annebbiarsi. In fondo, sarebbe stata una morte meno terribile di quelle che avevo immaginato a causa del mio lavoro pericoloso… non mi restava che aprire la bocca e lasciare che l’acqua gelida entrasse nei polmoni, poi sarebbe finita.
    Stavo per farlo quando un movimento al di là del parabrezza attirò la mia ormai flebile attenzione. Una pinna di pesce? Che tipo di creature vivevano in questo fiume? Avrei voluto indagare e cercare di capire, ma la coscienza stava cedendo il passo al buio. Un volto di donna apparve al limite del mio campo visivo, tra le spire acquose del fiume che stava trascinando via me, l’auto, la mia vita…
    Poi, la stanchezza ebbe il sopravvento, mi lasciai andare, e mi resi conto di non aver paura. L’oscurità mi prese, insieme ai miei sogni, ai miei desideri, ai miei errori, non lasciando null’altro dietro di sé.
  2. .
    :Din:
    Ero confuso, sorpreso, ma anche stranamente eccitato.
    Non sapevo bene come mettere in ordine tutti questi sentimenti, ma non potevo non essere grato al giovane jedi per aver scoperchiato un vaso dalle mille verità. Verità che avrei voluto sapere da anni. Qualcosa avevo intuito, ma tutti quei retroscena mi aveva lasciato attonito!
    Grogu sembrava altrettanto sorpreso, neppure la tazza con il suo brodo preferito era riuscito a distrarlo. Continuava a guardare me e Omera, poi di nuovo Omera e me, ed era chiaro che secondo il suo volere, Ezra Bridger ci aveva lasciati troppo presto.
    “Piccolo, un po’ di pazienza, anche io sono confuso…” avevo parlato a bassa voce, ma ero sicuro che Omera aveva udito.
    “Mi rendo conto che sono tante informazioni, tutte insieme” intervenne lei, ma si ostinava a fissare le sue mani intrecciate sul tavolo, ed era chiaro che non fosse a suo agio.
    “Cosa ti turba? Forse desideravi che non venissi a conoscenza della tua vita privata? Mi dispiace se questo ti ha infastidita…” Ero sincero, non avrei mai voluto che la mia “invasione”, benché non voluta dal sottoscritto, la indisponesse a tal punto. Il mio desiderio era sempre stato quello di conoscerla meglio, ma il timore che lei non fosse disposta a tanto mi aveva sempre frenato e, forse, avevo avuto ragione.
    “Al contrario. Semplicemente... ho sempre preferito non dar sfoggio delle mie scelte o delle mie azioni. Di qualsiasi natura siano, esse devono parlare per me... E poi tutti i complimenti di Ezra... sono forse fin troppo esagerati per quanto mi riguarda, seppur apprezzo moltissimo la sua bontà nel condividerli con così tanto entusiasmo. Mi scaldano il cuore.” Di nuovo piegai il capo di lato per esprimere la mia perplessità. Si trattava dunque solo di modestia? Possibile? Finalmente decise di alzare lo sguardo e guardarmi negli occhi, anche se attraverso un casco. “Forse la domanda dovrebbe essere un'altra. Non è che tu sei infastidito di ciò che hai udito? Mi è dispiaciuto molto averti mentito... ti avrei sicuramente rivelato poi le mie vere ragioni dell'essere qui e del frequentare Klaus, ma forse ormai tutto è passato ora? Chiarito? Spero davvero tu non mi porti rancore, è tra le poche cose che non credo riuscirei a sopportare...”
    Lo scatto che feci all’indietro doveva avere rappresentato bene la mia sorpresa a quelle sue nuove parole. Davvero pensava che io avrei preteso certe confidenze? Chi ero per lei per farlo?
    “Riguardo Klaus, beh, penso che tutti noi nella vita abbiamo scelto di dare priorità a qualcosa rispetto ad altro. La missione viene sempre prima e non eri affatto tenuta a metterla a rischio… per me. Non c’è molto da chiarire in realtà, perché mai dovrei portarti rancore?” Non riuscivo a decifrare la sua paura, ero importante a tal punto per lei? “Poi, posso dire di averti vista in azione, ricordi? Non penso proprio che il giovane jedi abbia esagerato riguardo ai tuoi meriti. Mi sono sempre chiesto da dove provenissero le tue competenze, oltre che un coraggio senza pari…” Eccola la fatidica domanda. Ezra mi aveva detto cosa Omera aveva fatto dopo Sorgan… ma a me interessavano le sue radici e non potevo trovare momento migliore per chiederglielo. “Ovviamente, non sei tenuta a condividere nulla con me. La mia è solo curiosità.” E ammirazione e meraviglia e adorazione.
    “Vorrà dire che questo viaggio sarà anche un modo per conoscerci meglio, abbiamo sempre rimandato questo momento... sembra che entrambi avessimo sempre messo in conto che non ci saremmo mai più visti. Tuttavia, seppur la questione Klaus è finita io non ho intenzione di lasciare Nevarro…”
    Decisamente la conversazione stava prendendo una piega che mi fece avvampare. Stava dicendo che non voleva andarsene nonostante la missione per Luke fosse ormai conclusa? Restava quindi per me? Mi alzai dal tavolo, con forse più foga del dovuto. Sperai che non mi considerasse più impacciato di quel che in realtà ero, ma l’immobilità mi era parsa improvvisamente troppa
    Grogu infatti sbuffò sonoramente perché con quel mio gesto improvviso lo avevo spaventato. Adorabile.
    “Sì, in effetti, pensavo che dopo Sorgan non ci saremmo più rivisti, ma non ti ho mai dimenticata… L’ho detto, l’ho detto, l’ho detto davvero?! “Sono onorato di stare al tuo fianco in questa missione, così come sono onorato di poterti conoscere meglio!” La mia voce era di nuovo ferma e decisa. Ero in mezzo alla stanza che all’improvviso mi apparve più stretta perché lei si era alzata a sua volta e mi si era avvicinata. La vidi voltare il capo verso Grogu, lo accarezzò dolcemente e lui dimostrò di gradire abbassando le orecchie. Quando tornò su di me, il mio cuore perse l’ennesimo battito, poiché posò le mani sul mio casco. Lei forse non lo sapeva, ma se solo avesse tentato di appoggiare la sua fronte sulla mia, sarebbe stato l’equivalente di un bacio… perciò, sussultai dentro di me.
    “Domani mattina dovremo alzarci presto, credo sia opportuno andare a dormire e riposare...” disse in un soffio, gli occhi fissi nella mia visiera, come se davvero trovassero il mio sguardo e si specchiassero in esso.
    “Certo. Ti raggiungeremo qui poco dopo l’alba, così potremo organizzarci” riuscii a dire a fatica. Quando mi lasciò andare, percepii un vuoto all’altezza del petto. La salutai con un cenno veloce e quasi scappai… ma ero conscio che sarei potuto scappare per sempre. E, stranamente, quella consapevolezza non mi faceva paura.


    ᴄᴏɴᴛɪɴᴜᴀ ǫᴜɪ: 𝐁𝐞𝐬𝐩𝐢𝐧



    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 10/5/2024, 13:29
  3. .
    :Din:
    Mi ero ritrovato a camminare avanti e indietro, indietro e avanti, sotto il piccolo portico della modesta dimora che da diversi mesi ormai chiamavo casa, su Nevarro. Io e Grogu eravamo diventati un clan, una famiglia, e avevamo un posto tutto nostro dove tornare tra una missione e l’altra svolta per conto della Repubblica.
    Certo, tutto mi sarei aspettato, tranne di ritrovare su questo pianeta, che da sempre aveva rappresentato una sorta di rifugio, una persona che aveva messo radici dentro di me con un solo sguardo. Non erano state necessarie parole, confidenze, vicinanza, erano bastati poche settimane per scuotere ogni mia certezza. Per lei avevo rischiato di togliermi il casco, di abbandonare il mio Credo, di dare una svolta alla mia vita.
    Omera. Una donna di straordinaria bellezza, ma anche forte e indipendente, con un lato dolce che mi aveva messo a dura prova. Poche settimane e il mio cuore, che io credevo incapace di provare certi sentimenti, aveva ceduto le armi… benché alla fine, avevo fatto sì che il dovere prendesse il sopravvento, dovere verso Grogu e verso il mio Credo. Eppure, non l’avevo mai dimenticata. Erano passati gli anni e quando l’avevo rivista, su Nevarro, avevo rischiato di perdere la testa.
    Io, Din Djarin, mandaloriano inflessibile e incorruttibile, avevo mollato l’ufficiale della Repubblica che mi stava dando un incarico, avevo attraversato il mercato cittadino, e avevo fatto di tutto per scambiare qualche parola con lei.
    Omera si ricordava di me. Questa consapevolezza mi aveva lasciato di stucco, convinto di essere stato l’unico a conservare quei lontani ricordi. Invece, mi sbagliavo di grosso.
    Quel che era successo dopo non mi aveva dato tempo e modo di riflettere su come comportarmi con lei, sì, perché Omera era stata sul punto di andarsene via per sempre. Ferita gravemente, avevo smosso mari e monti per salvarle la vita, riuscendoci sul filo del rasoio e non sapevo neppure bene come ci ero riuscito. Le ero stato accanto durante lunghi giorni incerti e dolorosi, tanto da dimenticare che lei aveva un uomo accanto nella sua nuova vita, un uomo che però aveva tolto le tende proprio mentre stava male, dimostrando una codardia in grado di farmi ribollire il sangue. Come si fa ad abbandonare la donna amata in una situazione del genere? L’unico motivo, del tutto egoistico, che mi aveva fatto desistere dall’andarlo a recuperare, ovunque si fosse dileguato, era stato quello di non averlo più tra i piedi. Certo, non avevo ancora avuto il coraggio di farmi avanti, anzi, il solo pensarlo mi faceva venire uno strano vuoto allo stomaco! E poi, non ero sicuro ancora di come Omera avesse preso la notizia della fuga del suo uomo…
    Basta! Dovevo mettere fine a questa agonia e andare a chiederglielo di persona!
    Bloccai i miei passi frenetici sul portico con un movimento tanto brusco da far sussultare il piccolo Grogu che sonnecchiava poco distante. Lui capì subito le mie intenzioni, tanto che in un baleno mi fu accanto e mi chiese di prenderlo in braccio.
    “Hai proprio ragione, se resto qui non saprò mai che cosa le passa per la testa! Grogu mi fissò con un cipiglio saggio, come a dire: Ci voleva davvero così tanto per arrivarci?!
    Sbuffai piano, infilai il piccolo nella sacca con cui lo portavo sempre con me, e mi avviai verso il paese: era tempo di scoprire cosa mi riservava il futuro.
    […]
    Ero arrivato nella stradina che costeggiava la casa di Omera da qualche minuto. Avevo visto entrare un ragazzo e non avevo più avuto il coraggio di bussare. Chi era? Cosa voleva da Omera? Il disagio mi fece sentire uno stupido. Come potevo pensare che una ragazza tanto bella non avrebbe avuto subito dei pretendenti alla sua porta? Avevo perso la mia occasione?
    Troppi pensieri mi bloccavano sul posto e non mi resi conto di quanto tempo fosse trascorso quando mi accorsi che l’uscio si era riaperto. Vidi uscire un ragazzo che mi parve un po’ troppo giovane e il sorriso di Omera era lieve e concentrato. Non mi sembrava affatto un incontro romantico… ma cosa ne potevo sapere io? Non avevo mai amato, non avevo mai avuto una donna al mio fianco! Tuttavia, non feci in tempo a girare i tacchi per andarmene che lei si mi avvistò.
    “Ehi, Mando, che bella sorpresa! Vieni!” Quel richiamo ebbe l’effetto di una scarica elettrica lungo la mia spina dorsale. Non avrei voluto fare altro che ascoltarlo, eppure l’incertezza mi aveva trasformato in una statua di marmo. Ci pensò Grogu a farmi fare il primo passo in avanti, usando le sue abilità Jedi. Schioccò la lingua con disappunto, prima di darmi un pizzicotto sotto l’armatura. Dal mio canto, capita l’antifona mi apprestai ad avvicinarmi: a quanto pareva non avevo più alcuna alternativa.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 2/5/2024, 17:39
  4. .
    :Nate:
    Le ultime settimane erano state proprio strane. Vivere da solo, ma non del tutto, aveva avuto dei risvolti che non avrei mai immaginato. Inizialmente, la sfuriata di mio padre mi aveva indispettito non poco, soprattutto perché a casa ci tornavo poco o nulla. Solo per dormire, e a volte neppure per quello. Con il lavoro che facevo, tra i vari turni che c’erano da coprire, spesso mangiavo fuori e riposavo sul divanetto del mio ufficio quando staccavo da un turno notturno. Quindi, non riuscivo davvero a capire quale disturbo dessi “abitando” a casa con loro. Con ogni probabilità, era stata una idea nata da una insana gelosia nei miei confronti. Solo un cieco non avrebbe notato le attenzioni particolari che la mia matrigna mi riservava quelle rare volte che non potevo fare a meno di incontrarla. Ma il grande signor Heywood non poteva sopportare che la donna per la quale spendeva fior fiori di quattrini avesse un debole per il figliastro, di conseguenza perché non applicare il famoso detto “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”? Solo che a essere spedito lontano dagli occhi era stato il sottoscritto. La dimostrazione del fatto che era stata tutta una messa in scena era stato che mi pagava lui stesso una domestica, la quale si era ritrovata a governare una casa per lo più vuota. A che pro, darmi una casa e un aiuto per gestirla se avesse voluto che “crescessi una volta per tutte”?
    In ogni caso, col passare dei giorni, avevo capito che non tutto il male veniva per nuocere. Infatti, avevo iniziato ad apprezzare la sicurezza di non dover incappare in cene di circostanza, oppure nelle famose attenzioni particolari della novella signora Heywood. Certo, ripensando alla vera signora Heywood, nonché mia madre, non avrei certo potuto spendere parole migliori. Suo marito l’aveva cacciata di casa dopo aver scoperto che lo tradiva con il giardiniere, io all’epoca avevo solo tre anni e uno stuolo di tate che avevo imparato a chiamare mamma. Il più classico dei cliché.
    Tuttavia, quella tranquillità di possedere un posto tutto mio, in cui non avrei trovato intrusi o scocciatori, mi aveva indotto a tornare più spesso. La mattina facevo colazione a casa prima del lavoro e tornavo volentieri per cenare a un orario decente, poi avevo iniziato a fare delle comparse pure durante l’ora del pranzo. Solo dopo qualche giorno mi ero reso conto del motivo che mi spingeva a farlo… Amat. La domestica somala che mio padre pagava per “gestirmi” era stata una vera scoperta. Era riservata, puntuale, sempre presente benché le avessi concesso molta libertà negli orari. Avrebbe potuto prendersi lo stipendio e fare il minimo indispensabile, probabilmente non me ne sarei nemmeno accorto, come accadeva nella casa padronale, invece era chiaro che non era il suo modus operandi. La casa, benché molto grande, risplendeva come uno specchio, il frigorifero era sempre pieno, i fornelli sempre occupati a sobbollire per qualche ricetta particolare. Aveva capito che amavo la frutta fresca e me la faceva trovare tutti i giorni al centro del tavolo. Da piccoli accorgimenti, mi ero reso conto che sapeva osservare e mettere a frutto ciò che vedeva.
    In tutto ciò, non si era mai presa alcuna libertà o confidenza nei miei riguardi, era sempre schiva, incrociava raramente il mio sguardo come se potessi in qualche modo ferirla.
    Questo mi inquietava non poco, desideravo che si sentisse a suo agio con me, anche perché iniziavo a vederla come una presenza costante e premurosa, che poco aveva a che fare con una semplice domestica. Se mio padre l’avesse saputo, probabilmente l’avrebbe licenziata in tronco perché “con i servi non bisogna mica fraternizzare”, ma nonostante condividessimo gli stessi geni, ero grato alla Natura per avermi dato dei neuroni funzionanti che mi permettevano di ragionare con la mia testa, ma soprattutto un cuore che – nonostante le varie toppe – riusciva ancora a provare un po’ di empatia.
    Una sera, dopo un doppio turno massacrante, tornai a casa con gli occhi quasi chiusi per la stanchezza. Non avevo alcuna voglia di mangiare, il mio desiderio era quello di lavarmi e buttarmi sul letto per dormire ventiquattr’ore filate. Ma, quando entrai in cucina per prendermi ua bottiglietta d’acqua, trovai Amat ai fornelli: erano le 22 passate.
    Indossava un paio di cuffiette bluetooth, le stesse che le avevo regalato dopo qualche giorno dal trasferimento, perché pensavo che le sarebbero potute tornare utili durante le faccende per farsi compagnia con un po’ di musica. Non glie le avevo mai viste addosso prima di quel momento. E a causa delle stesse non si era accorta del mio ingresso in cucina… Evitai di fare rumore, finalmente potevo osservarla senza che mi rifuggisse: la vidi assaggiare qualcosa dalla pentola con sguardo concentrato, il suo profilo era perfetto, il colore della sua pelle luminoso, gli occhi scuri parevamo pezzi di onice incastonati in un ovale perfetto. Una sensazione che faticavo a riconoscere rischiò di travolgermi, perciò preferii mettere fine a qualsiasi cosa stesse accadendo, per la sicurezza di entrambi.
    Bussai sullo stipite dell’entrata ad arco che separava la spaziosa cucina open space dal salone, abbastanza forte da annunciare la mia presenza nonostante le cuffiette antirumore.
    Amat sussultò per la sorpresa e mi dispiacque un po’ vedere tornare la maschera di riservatezza sul suo volto. Era stavo bello osservarla senza veli.
    “Perdonami, non volevo spaventarti.” dissi sincero. “Volevo solo una bottiglietta d’acqua, ma ora che ho sentito questo profumino…” Il mio stomaco anticipò ciò che stavo per dire con un brontolio non proprio discreto.
    Amat mi osservò con una strana dolcezza nello sguardo. Dovevo essere proprio messo male per spingerla a quel genere di reazione: i jeans e la maglietta stazzonati, i capelli sparati in tutte le direzioni per quante volte ci avevo messo le dita dentro, il volto pallido e le occhiaie per la mancanza di sonno.
    “Vieni, siediti, ti preparo un piatto!” Iniziò ad apparecchiare velocemente un posto alla penisola. Si muoveva sicura, mentre apriva la pentola e versava una zuppa calda e speziata in una ciotola di terracotta.
    “Non dovresti essere a casa a quest’ora?” le chiesi mentre la aiutavo ad apparecchiare, lei per me ed io… per lei.
    “Stavo giusto per andare…” mormorò osservando i miei movimenti con perplessità.
    “Mangia con me, ti va? Sempre se non hai già cenato” Sapevo che non cenava mai a casa mia, anche se cucinava per un esercito e finiva sempre tardi la sera, non si serviva neppure di un pezzo di pane, nonostante la pregassi di non farsi problemi.
    La presi in contropiede e vidi il dubbio nel suo sguardo, qualcosa la frenava, mentre qualcos’altro la tentava. Non avrei saputo dire cosa, ma questa sua indecisione fu per me un ottimo assist.
    “Resta.” Una preghiera, non un ordine, che Amat alla fine decise di esaudire.
    La costrinsi a sedersi e a lasciarmi riempire il piatto per lei. Accettò solo perché non le diedi scelta, ma era chiaro che si sentiva a disagio in quella posizione. “Non ti ho mai ringraziato per quello che fai. Nessuno mi ha mai dedicato tutto questo…” Allargai le braccia per comprendere nell’insieme le attenzioni che riservava a me, alla casa, a quello che era ormai diventato il mio rifugio.
    “E’ il mio lavoro…” si schermì subito lei, com’era prevedibile.
    “Non è il tuo lavoro cucinare per un’intera squadra di football quando in casa ci sono solo io, o restare fino a tardi la sera, senza neppure toccare cibo. Ho notato che non mangi mai qui, se ha a che fare con la tua tradizione, non voglio insistere, ma mi farebbe davvero piacere se cercassi di essere a tuo agio tra queste mura… o in mia compagnia.” La sincerità era parte integrante del mio carattere, a volte non mi faceva fare belle figure, ma raramente ci rinunciavo. E ora, speravo che anche Amat avesse voglia di sincera con me, che in qualche modo mi facesse capire i motivi dei suoi comportamenti… volevo conoscerla più a fondo, al di là di ogni pregiudizio che chiunque si sarebbe creato.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 23/4/2024, 17:31
  5. .
    :Alaric:
    La noia mortale in cui mi ero infilato da un paio di giorni a questa parte era stata completamente distrutta da due eventi particolari, che avevano un diretto contatto con il mio paparino, la cui missione era quella di gestire tutta la mia vita: il primo, l’avvento di un tipetto simpatico con occhi di serpente nella riunione settimanale del circolo; il secondo, a mio parere molto più interessante, l’avvento di una donna bellissima a Weishaupt Manor. Era stato soprattutto quest’ultimo a migliorare la mia giornata, nonostante l’agitazione di mio padre fosse palpabile, tanto quanto quella di tutto il consiglio, a causa del primo.
    Ma tutti lo sapevano, ognuno ha le sue priorità, per me le donne avevano un posto certamente più elevato rispetto agli intrighi di famiglia, dai quali mi allontanavo con la mente il più possibile appena possibile. Non potevo farlo col corpo per lunghi periodi di tempo, il dovere verso il mio ruolo di Portatore e la necessità di un terreno solido sotto i piedi me lo impediva, ma il sesso era diventato per me una sorta di fuga – per quanto temporanea – dalla realtà di doveri che mi circondava.
    La cena di quella sera si trasformò quindi in un lieto diversivo, nonostante le lamentele della mia attuale moglie. Era ormai dipendente da lussi e agi, perciò non aveva preso bene il benservito che mio padre gli aveva rifilato su un piatto d’argento. A lui non interessava se ci legasse o meno un qualche rapporto di affetto, a lui interessava che io generassi un erede che portasse avanti gli affari di famiglia dopo la sua morte e dopo la mia, ben sapendo di non poter contare sul mio fratellino Cyrill. Quando si dice “guardare avanti”, il mio paparino non aveva rivali!
    Osservai con scarso interesse il consesso riunito intorno alla grande tavola lussuosamente imbandita. Il grande Moses Kalman dominava a capotavola, alla sua sinistra c’era la lamentosa Annabelle, che non perdeva occasione per fargli inutili moine, e a seguire tutta la sua famiglia, odiosamente ossequiosa. Sapevo bene che avevano le stesse mire della figlia, avevano vissuto fin troppo bene da quando ci eravamo sposati. Io ero alla sua destra, dopo di me, c’era Cyrill che all’inizio sembrava seduto sui carboni ardenti, ma aveva trovato un diversivo nel parlare con l’accompagnatrice della mia nuova dolce futura moglie, che le sedeva accanto. Morrigan, invece, non parlava con nessuno, si limitava a osservare ma era chiaro che non stesse prestando attenzione a nessuna delle conversazioni in atto.
    Perciò, ignorando tutti i presenti e approfittando del fatto che la cena era ormai verso la fine, mi alzai dalla tavola e mi accostai a lei, da vicino sembrava ancora più giovane dell’età che mi avevano comunicato. Speravo che mio padre non avesse fatto qualche sciocchezza in merito, falsificando qualche documento e mettendomi in mezzo a cose più losche del solito.
    “Ti va una passeggiata in giardino? È una bella serata” le sussurrai a un orecchio e il suo profumo stuzzicante mi colpì come una scossa elettrica, mentre le porgevo una mano in maniera piuttosto galante.
    Morrigan mi fissò da sopra la spalla, le nostre bocche talmente vicine da rischiare di farmi fare qualche sciocchezza lì, davanti a tutti. Si limitò ad annuire, non mancando di intrecciare le sue dita alle mie. Non mi sfuggì lo sguardo di intesa che si scambiarono con la sua accompagnatrice, Ishtar mi pare si chiamasse. Dovevano essere molto unite e avevo la sensazione che nonostante avessero accettato le condizioni di mio padre per prestarsi a questa situazione, non sembravano delle sprovvedute.
    Tenendo Morrigan per mano la condussi nei grandi giardini, ben curati, della proprietà. La temperatura era dolce come previsto, ma la mia attenzione era interamente calamitata dalla ragazza al mio fianco. Era silenziosa, ma da lei emanava una energia strana, che smuoveva in me strane sensazioni. Ovviamente non vedevo l’ora di portarmela a letto, già pregustavo quelle forme sinuose tra le mie dita, ma c’era di più.
    “Deve essere stato strano incontrare la mia famiglia al completo, moglie e suoceri compresi.” La fissai mentre buttavo lì quelle parole, ero curioso di conoscere la sua reazione, e già questo mi risultava strano. Non mi interessavo mai a ciò che provavano le donne con cui mi intrattenevo, ancor di più nel caso si trattasse di mia moglie.
    Morrigan sorrise appena e la sua luce mi raggiunse come una improvvisa ondata di marea. Aggrottai le sopracciglia, era decisamente bizzarro.
    “Ho visto cose più assurde nella vita, credimi!” E sembrava essere la verità… “Anche tu sembri avvezzo a strani comportamenti, non ti sei fatto problemi a ripudiare tua moglie pubblicamente assecondando il volere di tuo padre.” Non c’era giudizio nelle sue parole e questo mi incuriosiva.
    “Quando sei l’erede di una famiglia potente smetti ben presto di fare resistenza, solo eseguendo questi ed altri voleri puoi sperare di vivere un po’ tranquillo… E poi, anche il matrimonio con Annabelle è stato di convenienza, non ci legava nessun sentimento. Quindi, alla fine, non ci ha sofferto nessuno. Si tratta di affari… tutto qui” rispondo sincero, era bene che sapesse la verità fin dall’inizio, anche se ero certo che il contratto che aveva dovuto firmare prima di trovarsi qui esplicava benissimo tutto ciò nelle sue minuziose clausole.
    “Affari… certo.” Il suo tono era ambiguo, non era duro, ma nemmeno neutro come prima.
    “Basterà seguire poche regole: ottempera al contratto e non innamorarti di me. Così non ci sarebbe alcun ostacolo se mio padre dovesse prendere altre strane decisioni." La mia voce voleva uscire ironica, ma una nota di amarezza spuntò inattesa.
    “E se fossi tu a innamorarti di me?” mi chiese, voltandosi verso di me con un sorriso aperto e con sguardo sibillino.
    Serrai la mascella di scatto. “Impossibile. Non mi sono mai innamorato nella mia vita. È l’unico modo per sopravvivere è continuare così.” Sono serio adesso, nessuna ironia colora il mio viso.
    Morrigan si avvicinò, mi sfiorò la tempia e lo zigomo, prima di alzarsi in punta di piedi e lasciarmi un leggero bacio sulle labbra. Non c’era malizia nel suo tocco, né volontà di seduzione, ma rischiava di farmi perdere la testa… La afferrai per le spalle e la tenni lì, a pochi millimetri dalla mia bocca.
    “Se dovessi innamorarmi di te, ti manderei via io per primo… Qui non c’è posto per i sentimenti.” Mi riferivo alla mia famiglia e ai suoi segreti, ma soprattutto al mio cuore. Sperai che il messaggio fosse arrivato forte e chiaro, perché non avevo alcuna intenzione di ritrovarmi a rattoppare cuori, di nessuno dei presenti.


    ᴄᴏɴᴛɪɴᴜᴀ ǫᴜɪ: 𝐅𝐁𝐈 𝐀𝐧𝐞𝐜𝐝𝐨𝐭𝐞𝐬



    Edited by Tharia - 23/4/2024, 11:26
  6. .
    :Cyril:
    Tornare in questa casa, ogni volta, mi faceva uno strano effetto.
    Avrei dovuto provare gioia, era casa mia, dove ero cresciuto, dove si supponeva avessi vissuto solo bellissime giornate, circondato da agi, servitori, lusso. Eppure, per quanto gli agi e i servitori e il lusso non fossero mancati, rimettere piede qui dentro mi provocava brividi di disgusto.
    Era un legame contraddittorio ma necessario il mio. Fissavo ogni angolo e balenavano in mente solo ricordi terribili, pregni di dolore, di odio, di disperazione. Nella mia mente di bambino, avevo trasformato questa magione nella casa delle follie di molti incubi infantili, solo col tempo avevo elaborato il tutto, dandogli la giusta dimensione e importanza. Era solo una dimora, erano le persone che l’avevano abitata ad aver creato quei ricordi molesti. Per questo, a un certo punto, me n’ero andato.
    Avevo seguito una vocazione che pensavo mi avrebbe portato sollievo. Prendere i voti era stato quanto più in opposizione ci poteva essere agli orrori a cui avevo dovuto assistere nella mia giovane vita. L’unica via di fuga che avevo trovato era stata la mia fede, una fede che avevo coltivato grazie alla mia dolce e fragile madre. Volevo onorarla, saperla fiera di me, ma col tempo mi ero reso conto che lo stesso ambiente scelto per trovare la pace era zeppo delle medesime brutture da cui ero scappato. Tuttavia, anziché continuare a fuggire, avevo deciso di restare. Dopo qualche tempo di confusione, mi ero reso conto che se tutto questo male continuava a seguirmi, non sarebbe servito a nulla nascondermi. Così, l’unica soluzione che avevo trovato era stata quella di combatterlo dall’interno. Avevo imparato a fare buon viso a cattivo gioco, sorridevo quando avrei voluto vomitare, annuivo quando avrei voluto scappare.
    Ma c’era un motivo per cui continuavo in questa folle crociata, forse già persa in partenza, anche se mi rifiutavo di deporre le armi e arrendermi. Mio fratello Alaric. Lui era molto diverso da me, aveva assorbito molto più da nostro padre che da nostra madre, era il fratello maggiore quindi investito di responsabilità diverse, che neppure voleva, ma doveva comunque subire, pena la perdita dei suoi privilegi. E lui adorava i suoi privilegi, a differenza di me che stavo bene con poco.
    Tuttavia, non era cattivo, non aveva l’anima perduta che si ostinava a ostentare, no, doveva solo capirlo. Io tornavo per questo, per mostrargli – a mio modo – un cammino diverso, fatto di gentilezza, di fratellanza, di altruismo.
    Alaric mi considerava un pazzo, ma sapevo che – a suo modo – mi voleva bene e… mi ascoltava, anche se faceva finta di no, anche se si trincerava dietro il suo essere libertino e scanzonato.
    Bevvi un sorso del brandy che mi ero versato in un bicchiere, mentre fissavo le fiamme dell’enorme camino di un salottino adiacente alla grande sala da pranzo, dove tra poco si sarebbe tenuta una cena in grande stile. Non sapevo di aver scelto un giorno tanto importante per fare ritorno, mio fratello doveva conoscere ufficialmente la donna con cui avrebbe dovuto generare un erede. Per quanto, in questi ambienti, certi privilegi non si ottenevano tramite la linea di sangue, il mio tradizionalista padre era fissato con la prosecuzione del suo altisonante nome.
    Sospirai, pronto a indossare la mia maschera di compassata accondiscendenza, quando percepii la porta del salotto aprirsi. Forse erano venuti a chiamarmi…
    Mi voltai e vidi sulla soglia una donna dallo sguardo sorpreso, o aveva sbagliato stanza o non si aspettava di trovarci dentro qualcuno. Strizzai un po’ gli occhi e la riconobbi, l’avevo intravista sulla soglia della magione al mio arrivo.
    “Mi scusi, non volevo disturbarla, cercavo la sala da pranzo.” Mi sorrise, ma il sorriso non arrivò agli occhi. C’era qualcosa di strano in lei. I suoi capelli erano neri come la notte, lasciati liberi e lisci su un lato del collo, mentre l’altra parte era tirata su da un intricato groviglio di forcine brillanti. Un vestito lungo color vinaccia la fasciava alla perfezione, mettendo in mostra un fisico minuto ma tornito.
    Dovetti deglutire più volte e scuotere leggermente il capo per riavermi da quella visione… Fui io a quel punto a sorridere, facendo però arrivare il sorriso agli occhi, un po’ per mostrarle come si faceva, un po’ perché era nella mia natura.
    “Nessun problema, stavo giusto bevendo un sorso di incoraggiamento” dissi, mostrandole il bicchiere di vetro. “Vuole farmi compagnia qualche minuto? Tanto tra poco saremo inghiottiti in un vero vortice di ostentazioni, lusso e presentazioni in pompa magna… non ci sarà modo di sfuggire.” Il mio tono voleva essere scherzoso, ma una lieve nota amara in fondo alla frase tradì il mio sarcasmo. Sperai che lei non se ne fosse accorta. Non la conoscevo, non potevo certo sapere se apprezzasse o meno tutto ciò che io odiavo.
    “Oh, la ringrazio per l'invito...” mi rispose con una nota di reticenza. Mi sembrò che stesse per declinare, ma subito dopo mi sorprese. “Credo proprio che accetterò. Non credo che dopo avremo modo di rilassarci troppo, sebbene sia una festa.” Mi rivolse ancora un altro sorriso, di nuovo però non riuscì a trasmettermi calore. “Anche lei non ama questo tipo di eventi?” mi chiese, reclinando un po’ il capo.
    Ero sempre stato bravo a giudicare le persone, ma questa volta ero davvero spaesato e confuso perché mi arrivavano sensazioni contrastanti.
    “Mmh no, decisamente no.” Le versai un dito di brandy in un bicchiere e glielo porsi. “Sono arrivato solo oggi, ma non sapevo di questo evento” feci schioccare la lingua, come a sottolineare la disdetta a cui ero andato incontro.
    “Altrimenti avrebbe rimandato di un giorno il suo arrivo?” Finalmente una nota sincera nella sua voce. Sarcastica e pungente, ma sincera. Perciò risi di cuore, ricomponendomi quando la vidi sgranare un po’ gli occhi per la sorpresa.
    “Probabilmente! Anche se forse non mi è stato riferito di proposito, sono famoso in famiglia per le diserzioni… Sono un prete, dovrei essere ligio alle regole, ma raramente ci riesco davvero. Che dire, mi hanno preso nel sacco, anche se, forse la serata non sarà così terribile come si preannunciava…” Avevo ricambiato il suo tono sincero, benché non ci fosse malizia nella mia frase era chiaro che mi riferivo al nostro incontro, che consideravo un piacevole diversivo.
    Mi lasciai sondare dallo sguardo penetrante di lei, prima di rendermi conto che non ci eravamo nemmeno presentati. “Oh, comunque io sono Cyrill, piacere” alzai una mano e la tesi nella sua direzione.
    “Ish-tar, mi chiamo Ishtar” balbettò appena lei, presa un po’ in contropiede, ma mi strinse comunque la mano, anche se lasciò un attimo dopo, con una punta di imbarazzo che non seppi interpretate.
    Se ci fosse stato mio fratello Alaric al mio posto, in questo momento, avrebbe iniziato a fare il piacione e avrebbe tentato di conquistarla col suo fascino da playboy. Invece io me ne stavo di fronte al fuoco, accanto a una donna bellissima, con la semplice ambizione di vederla sorridere… finalmente anche con gli occhi. Non sapevo il perché di questo desiderio, ma mi ripromisi che alla fine lo avrei visto accadere.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 16/3/2024, 16:58
  7. .
    :Cassian:
    Uno sparo rimbomba. Una singola detonazione con la capacità di distruggere tutto ciò che amo. Il cuore perde un battito e rischia di fermarsi del tutto. L’ondata di forza ci investe e non ci penso un attimo a fare da scudo alla persona che mi è entrata dentro, lasciando la sua impronta indelebile. Attutisco la caduta, benché sia rovinosa per tutti noi. La guardo, i suoi occhi sono sgranati, sanguina e insieme al suo corpo sanguina anche il mio cuore. Le dico di non lasciarmi, di restare con me, di non mollare, perché… ho bisogno di lei per continuare a vivere.
    I suoi occhi si chiudono, è stanca, ma vuole rassicurarmi con un leggero sorriso e una debole stretta sulla mano con cui la accarezzo. È quando si abbandona tra le mie braccia, ormai esanime, che la rabbia prende il sopravvento. Afferro il blaster per la seconda volta, punto il nemico e sono pronto a fare fuoco, ma Luke me lo impedisce, di nuovo. Si mette di fronte a me, dando le spalle alle donne che hanno causato tutto quel dolore. È pazzo, più di me. Ma mi fissa dritto in faccia, mi prende il volto tra le mani e mi costringe a guardarlo a mia volta. E una calma innaturale si diffonde nei miei muscoli tesi, solo il cuore resta a pompare furiosamente nel petto… quello non può essere manipolato, quello chiede vendetta. Quando mi lascia andare, il nemico è scomparso, si è dato alla fuga e io non perdo attimi preziosi a protestare, né a chiedere spiegazioni. Accolgo Jyn contro il mio petto, e le faccio una promessa che manterrò a tutti i costi. Le prometto che non la lascerò più andare, anche se lei vorrà odiarmi ancora, anche se non riuscirà mai a perdonarmi per averla abbandonata, le rimarrò accanto… Perché senza di lei io non respiro.


    Mi svegliai di soprassalto, la fronte madida di sudore, il corpo tremante.
    Continuavo a rivivere quanto era accaduto due giorni prima, senza sosta, non appena per la stanchezza crollavo in un sonno agitato.
    Mi trovavo su una scomoda sedia di legno, al capezzale di Jyn. La mia Jyn.
    Non l’avevo lasciata neppure per un minuto, avevo fatto in tempo a darmi una ripulita, mentre il dottore la operava, ma poi non mi ero mosso più dal suo fianco.
    Temevo che, se fosse accaduto qualcosa, se l’avessi persa di vista solo un attimo, la disperazione mi avrebbe fatto cadere in tentazione e non ero abbastanza forte per respingerla. Perciò, l’unica cosa che ero riuscito a fare era stato rimanerle accanto, cambiarle la pezza bagnata sulla fronte febbricitante, asciugarle il sudore e accarezzarla durante i suoi deliri.
    Dalla finestra filtravano le prime luci dell’alba e per la prima volta mi parve di vedere Jyn respirare un po’ più regolarmente. Mi alzai a fatica, ogni articolazione scricchiolava come se fosse rimasta immobile per secoli e non per qualche ora. Mi accostai al suo letto e le accarezzai una tempia, sembrava meno bollente, le guance erano meno infiammate, pareva riposare più tranquilla.
    Sospirai, sperando che il peggio fosse passato.
    Mi sedetti sul bordo della brandina, attento a non darle disturbo, ma volevo starle più vicino. Infilai le braccia tra le gambe e strizzai gli occhi per allontanare l’ottundamento che quella valanga di ricordi mi aveva lasciato.
    Dei rumori fuori la porta mi allertarono e un leggero bussare anticipò l’entrata di Luke nella piccola stanza.
    Era sempre calmo e controllato, anche quando mi vide serrare la mascella nel riconoscerlo. Con passi misurati raggiunse la seggiola e si sedette. Lasciò trascorrere alcuni minuti prima di parlare, come se volesse darmi il tempo di abituarmi alla sua presenza, consapevole della mia riluttanza nell’orbitargli intorno.
    “Come sta?” mi chiese, com’era prevedibile.
    “Sembra che la febbre sia un po’ scesa questa mattina… sarà il dottore a dirci se è fuori pericolo o meno.” risposi atono, lo sguardo fisso sul pavimento, le braccia ancora strette fra le gambe che dondolavano nervose.
    “Si riprenderà. Jyn è un osso duro.” Già, un osso duro fatto di carne e sangue però. E avevo rischiato di perderla senza che fossi riuscito a dirle quanto mi dispiaceva… tutto quanto. Quando non risposi, Luke proseguì. “Ho parlato con Hera. Amylin sta bene. La sua ferita di striscio al braccio non è seria, grazie a Jyn.” Strinsi le labbra in una morsa ferrea, poi mi passai le dita tra i capelli e sospirai, nervoso. “Prima di andarcene da lì, ho trovato una scheda di memoria, deve essere caduta a una delle due donne. Cal è riuscito a decriptarla e vi ha trovato numeri, tanti numeri. Sembrano delle transazioni. Sta cercando di risalire a qualche nome, ma sembra che Thrawn si serva di mercenari per mettere in atto questi atti sovversivi e farli ricadere su… di noi.” Aveva parlato piano, come se un tono più alto avrebbe potuto infrangere il muro di contenimento che avevo eretto per non crollare.
    Avevo ascoltato tutti quegli aggiornamenti, ma il mio interesse era blando e lui parve capirlo, anzi, sicuramente lo aveva capito, perché dopo l’ennesima occhiata penetrante che sentii su di me, fui costretto a guardarlo.
    “Perché mi hai impedito di fare fuoco contro il nemico? Anche dopo che Jyn era stata ferita… hai permesso che fuggissero senza neppure provare a fermarle, a combattere. Perché?” Erano quelli i dubbi che vorticavano nella mia testa da giorni, avrei potuto vendicare Jyn, ma lui si era messo in mezzo. Fissai i suoi occhi chiari, limpidi come un lago di montagna.
    “Perché quel che ci sembra giusto, a volte non lo è…” La sua risposta enigmatica mi fece scattare in piedi, mi passai entrambe le mani tra i capelli e sul volto, esasperato.
    “Hai lasciato andare le persone che dovevamo fermare, era la nostra missione, ma a causa del tuo comportamento una delle due ha potuto sparare un colpo che avrebbe potuto essere fatale… e nonostante tutto, lo hai rifatto. Mi hai impedito di reagire! Non ha senso!” Sì, davo la colpa a lui se Jyn aveva dovuto proteggere Amylin col suo corpo, se ora era stesa sul quel dannato letto.
    Nonostante le mie chiare accuse, Luke non si scompose. Sapeva che non avevo fatto parola di questo con nessuno, non era compito mio fare rapporto sulla missione e avevo accettato la cosa di buon grado. In fondo, dentro di me, mi fidavo di lui anche se non riuscivo proprio a capire perché.
    “La risposta la conosci, Cassian. Quel che è accaduto, doveva accadere. E non mi riferisco al ferimento di Jyn, ma a tutta una serie di eventi che si sono innescati con questa missione. Inoltre, non dubito che avrà effetti anche sul tuo rapporto con lei. Starà bene e forse potrete risolvere i sospesi che ci sono tra di voi…” Strinsi i denti talmente forte che li potei sentire scricchiolare. Ero un tipo pratico, tutti questi discorsi vaghi e fatalisti non mi piacevano affatto. Glielo comunicai con un sonoro sbuffo, ma non replicai, con lui avevo ben poche chance di spuntarla.
    Luke se ne andò, dopo avermi dato una pacca sulla spalla, lasciandomi con un turbine di pensieri ancora più caotici di prima. Iniziai a vagare per la piccola stanza come un leone in gabbia. Strinsi forte i pugni e li affondai nelle tasche dei pantaloni cargo. Lì, avrebbero fatto sicuramente meno danni che fuori.
    Un sospiro infranse la mia “corsa” e mi voltai di scatto verso Jyn. Si guardava attorno con gli occhi velati, le palpebre semi abbassate, ma era sveglia. Mi avvicinai con un balzo e mi inginocchiai al lato della brandina. Le presi una mano, con attenzione, frenando la mia irruenza. La portai alle labbra e le baciai il dorso, una, due, tre volte. Non so quante volte avevo immaginato quel momento… quando si sarebbe risvegliata e avrebbe visto me, al suo fianco. Avevo immaginato anche che non si sarebbe mai più risvegliata, tormentandomi nel rimorso… ma non era accaduto. Forse Luke non aveva tutti i torti, perché dovevano accadere delle tragedie per renderci conto di quanto siamo stupidi e orgogliosi e testardi?
    “Ehi, come ti senti?” soffiai appena, e il mio cuore perse un battito quando lei si voltò a guardarmi, mi riconobbe e sorrise appena. Era stanchissima ma bellissima.
  8. .
    :Lucifer:
    Il grande giorno era alle porte, un giorno epico, che avrebbe decretato la risoluzione o la catastrofe.
    Mia sorella Astrea era riuscita nel suo intento, organizzare un summit che vedesse al tavolo delle trattative tutti gli schieramenti in campo, attualmente in lotta contro i Signori Oscuri. Avevamo lavorato insieme per questo, sia sul fronte Nemesis che sul fronte Impero Galattico, non certo con l’appoggio dei loro legittimi governanti. I miei genitori erano molto scettici, per non dire astiosi. Non avevo idea di quanto il loro odio fosse radicato, potente, antico, fino a quando non li avevo visti incontrare i reali dell’Impero Lunare, Hyperion e Theia. Se avessero potuto fulminarsi a vicenda lo avrebbero fatto e percepivo questa elettricità così forte da farmi camminare sui carboni ardenti, sul filo di un rasoio sottilissimo e temevo di non essere il solo…
    Il summit si sarebbe tenuto sul lato chiaro della Luna e tutti gli ospiti, compresi noi, eravamo giunti due giorni prima. Pochi convenevoli ma tantissima burocrazia! Avevo la sensazione di stare ancora trattenendo il respiro e non credevo che l’avrei rilasciato prima della fine di questo incontro storico. Si erano tenuti i primi incontri tra i singoli schieramenti, si erano messe sul tavolo le richieste delle garanzie di sicurezza di ognuno, e questa sera si sarebbe tenuto un gran gala per “festeggiare” l’apertura ufficiale del summit del giorno dopo. Come a dire: divertiamoci un po’ dopo tanta burocrazia, perché da domani si affileranno le lingue e non solo quelle. Insomma, la mia speranza era che non ci sarebbero stati spargimenti di sangue inutili…
    Scossi il capo, sbuffando piano, mentre mi appoggiavo alla grande balaustra di un balconcino riparato che avevo imboccato velocemente per sottrarmi alla grande festa, almeno per qualche minuto prima di essere costretto a rientrare. Il gala sarebbe cominciato a breve e la principessa Selene, insieme al sottoscritto, avremmo fatto un piccolo discorso inaugurale. Saremmo stati noi, durante il summit, a fare da portavoce per i nostri schieramenti, tra l’altro le due parti più in lotta tra loro, nemiche storiche a dir poco. Un ruolo gravoso il nostro, che avrei portato avanti con dedizione, ma adesso… beh, adesso avevo solo bisogno di staccare la spina prima del grande debutto.
    Alcuni passi dietro di me mi convinsero che non ero il solo ad aver sentito questa necessità.
    Raddrizzai la schiena di scatto, mi voltai e incontrai le iridi cristalline della principessa Selene, un po’ colpevoli e un po’ divertite. “Vedo che siamo in sintonia anche sul posto dove rifugiarci prima di scendere nell’arena!” dissi con un sorrisetto complice, prendendole una mano e lasciandole sul dorso un bacio leggero. La sua pelle era diafana, perfetta e setosa. Non negavo l’effetto che aveva avuto su di me fin dalla prima volta che avevo posato gli occhi su di lei, giorni prima, benché ancora non avessi inquadrato la natura di quelle sensazioni.
    “Mi sa che forse l’idea del rapimento sarebbe stata meno stressante da attuare!” La sua replica fu pronta e sagace, confermando anche il giudizio che avevo iniziato a farmi. Non era una principessina tutta vizi e ozi, ma il suo ruolo di capo delle Guerriere Sailor era più che meritato. La sua combattività era evidente, ma perfettamente bilanciata da una eleganza innata.
    “Mmm, in effetti, un incidente diplomatico con effetti imprevedibili sarebbe stato più gestibile! Sento una elettricità pazzesca, come se tutti quanti i presenti fossero pronti a lanciare saette…” E non mi riferivo solo ai nostri genitori, la diffidenza era palpabile da ogni fonte, ma di certo i nostri amati governanti si giocavano la pole position.
    “Beh, siamo sempre in tempo a ricorrere a questo espediente. Ho la sensazione che domani caleranno tutte le maschere.” sospirò stanca, e riconobbi in Selene la mia stessa stanchezza, certo non frutto degli ultimi giorni. Era una stanchezza atavica, data dal peso del ruolo che avevamo deciso di ricoprire per rattoppare non un semplice strappo ma una voragine enorme…
    “I tuoi sono sempre stati così intrattabili? Perché ho sempre pensato che i miei fosse i campioni di intransigenza.” Volevo conoscerla meglio, volevo sapere come si muovevano i suoi pensieri, ma soprattutto i suoi sentimenti, al di là della maschera di compostezza che tutti noi reali avevamo imparato a indossare fin da quando avevamo iniziato a muovere i primi passi. Ciò nonostante, desideravo mantenere un tono leggero, proprio per scaricare quel momento di tensione e immaginavo che anche Selene ne avesse tanto bisogno quanto me.
    “Hai sempre pensato questo perché non avevi mai conosciuto il grande Hyperion e la sua paredra! Si sentono così nobili, nel sangue e nella morale, che chiunque provi a minacciare questa convinzione si ritrova a dover fare i conti con la loro ira. Non ingannarti, mia madre non è da meno rispetto a mio padre. Hanno fatto cose di cui non vado fiera e proprio per questo ho deciso di prendere in mano la situazione, prima in maniera nascosta, adesso mettendoci la faccia…” Ascoltare quelle parole fu come un balsamo, perché percepivo il suo ardore, la sua motivazione e questo mi faceva ben sperare.
    “Sono sempre più convinto di aver trovato una valida alleata…” Mi ritrovai a sussurrare, più vicino di quanto pensassi. Mi ero accostato a lei mentre parlavamo, entrambi con lo sguardo rivolto ora oltre la balaustra, ora sul volto dell’altro e l’elettricità aveva acquisito una nuova connotazione, per me sconosciuta. Ci stavamo studiando, non avevo dubbi che anche lei si stesse facendo le mie identiche domande: “Mi posso fidare di lui? Mi tradirà? Cosa lo spinge in questa lotta?” Ero curioso di sapere a quali conclusioni sarebbe arrivata, così come ero molto curioso di comprendere le sensazioni confuse che strisciavano sotto pelle provocandomi dei brividi inattesi.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 25/1/2024, 16:34
  9. .
    :Cal:
    Ahsoka e Sabine avevano riposato un paio d’ore, dopo essersi date una rinfrescata e mangiato qualcosa ci eravamo riuniti tutti nella sala comune della nave, che usavamo come quartier generale durante i nostri viaggi “con passeggeri”. Raramente avevamo ospiti e per le nostre missioni toccata e fuga, Merrin e io usavamo navi più piccole e molto più pratiche. In questa occasione però, Luke ci aveva dato ordini precisi sul mezzo di trasporto da prendere, come se in fondo sapesse che cosa avremmo trovato una volta arrivati al Tempio. Non ne ero affatto sorpreso, Luke Skywalker era un jedi eccezionale e per quanto coetanei, per me era una guida e un punto di riferimento fondamentale. Ero stato onorato di iniziare la collaborazione con lui ed ero stato ancora più entusiasta dopo l’arrivo di Ezra Bridger. Con lui, le sue informazioni e la sua Forza, era praticamente nato un neonato Ordine Jedi, con caratteristiche tutte nuove, molto più moderne. Stavo giusto raccontando questo alle nostre illustri passeggere, scoprendo che Ahsoka aveva già avuto modo di conoscere la scuola di Luke grazie a una esperienza personale. Infine, non potei fare a meno di notare come il volto di Sabine si illuminasse ogni volta che nominavo Ezra.
    “Ezra impazzirà dalla gioia non appena saprà di voi, abbiamo dato comunicazione del nostro rientro ma senza specificare della vostra presenza. Abbiamo pensato che gli avremmo potuto fare una bella sorpresa. Luke credo lo abbia capito… ma Ezra… lui non lo sospetta nemmeno!” Un sorriso birichino colorò le mie labbra, mentre facevo l’occhiolino complice prima a Merrin e poi a Sabine. Era stata più una mia idea, adoravo fare le sorprese e godermi le varie espressioni sui volti dei coinvolti! Poi continuai la mia esposizione dei fatti. “L’Ordine Jedi sta cercando di affondare le proprie radici e riprendere vigore, tuttavia le buone notizie finiscono qui. Ezra ha subito raccontato al generale Syndulla del ritorno del generale Thrawn, purtroppo però la Repubblica non ha voluto prendere sul serio questa minaccia. Continua a dire che non ci sono le prove… così la principessa Leia ha deciso di chiedere aiuto a Luke, creando così una piccola cellula di ribelli che potesse tenere d’occhio la situazione, capire le mire del generale, magari scoprire il suo nascondiglio e portare le prove che servono alla Repubblica. Ciò nonostante, sono passati sei mesi, il generale ha capito che qualcuno è sulle sue tracce, sta facendo passare noi ribelli come dei terroristi, organizzando attacchi mirati e facendo ricadere la colpa su di noi. Subdolo ma efficace… Non feci in tempo a concludere la frase, perché vidi Sabine scoppiare come una pentola a pressione. Era chiaro si fosse trattenuta fin troppo al lungo.
    “Ma che storia è questa?! Mi stai dicendo che la Repubblica fa orecchie di mercante riguardo a Thrawn e si è dovuta addirittura creare una nuova ribellione?! Dopo tutto quello che abbiamo passato?!” Si era alzata in piedi, sbattendo i palmi sul ripiano metallico del tavolo e guardandomi con aria a dir poco scandalizzata. Non mi aspettavo reazione diversa, eppure, bastò un leggero tocco di Ahsoka sul braccio per “costringerla” a tornare seduta.
    “Mi sembra di capire che il tempo qui è trascorso molto più lentamente. Sei mesi in questa galassia corrispondo ad anni in quella che abbiamo lasciato…” realizzò Ahsoka, un pizzico disorientata, ma quell’incertezza durò solo qualche attimo, poiché la vidi riprendere subito la sua compostezza ormai mitica. “Quel che ci racconti è molto doloroso. La Ribellione ha sacrificato tanto per permettere alla Repubblica di rinascere. Ma ti prego, prosegui…” E sapevo bene a cosa si riferiva: la morte del jedi Kanan Jarrus, così come la scomparsa di Ezra, creduto anche lui morto per anni.
    “Mi rendo conto di quanto possa essere scioccante tutto questo per voi, ma adesso che siete qui, saremo ancora più forti. Faremo la nostra parte come jedi e come ribelli per poter distruggere ancora una volta il nostro avversario, ma la nostra priorità al momento è convincere la Repubblica che Thrawn rappresenta una terribile minaccia, così non dovremo più nasconderci, oppure camminare sul filo del rasoio con il rischio di essere catturati e condannati per tradimento dall’Istituzione che cerchiamo di proteggere.”
    Guardai Merrin, si era seduta un po’ in disparte con la scusa di non voler infastidire Sabine, tuttavia la sua espressione assente mi confermava che i suoi pensieri viaggiavano altrove, forse verso una galassia lontana dalla nostra, verso un pianeta ormai distrutto. Mi aveva raccontato, dopo che l’avevo tenuta abbracciata per un po’ di tempo, la conversazione avuta con Ahsoka. Era molto triste, ma avere qualche informazione era meglio che non averne per nulla, sapevo che avrebbe affrontato la cosa con coraggio e positività! Poi, voltai lo sguardo verso Sabine: scalpitava, non riusciva a stare ferma, se avesse potuto avrebbe fatto saltare in aria qualcosa! E la potevo capire, l’unica cosa che la teneva a bada era la presenza di Ahsoka… che si era racchiusa in una fase riflessiva, alcune dita sfioravano il meno e si muovevano in maniera concentrica: stava elaborando quanto aveva appreso e una domanda importante sembrò farsi strada dentro la sua mente. Infatti, poco dopo, mi fissò dritto negli occhi e mi chiese: “Cal, dimmi, c’è dunque un Fulchrum?” La sua perspicacia non mi sorprendeva affatto, dai racconti di Luke ed Ezra avevo capito che la Maestra Tano era un vero portento.
    “Sì, Maestra, è in attività!” risposi senza esitazione. Sabine sembrò voler urlare qualcosa, ma si limitò a mordersi a sangue il labbro inferiore e a stringere i pugni fino a sbiancare le nocche. Mentre Ahsoka sospirava piano, con la chiara consapevolezza che non era ancora arrivato il momento del riposo, ma si doveva ancora combattere per permettere alla verità e alla giustizia di trionfare.
  10. .
    :Aphrodite:
    Nelle ultime ore mi era sembrato di vivere in un viaggio continuo sulle famose montagne russe, per le quali i terrestri andavano matti. Saliscendi, improvvise virate, passaggi a testa in giù e in modalità rotatoria. Era pazzesco e mi girava la testa, non ero affatto abituata a questi sbalzi di percezione.
    Prima le parole di Blaise mi avevano dato uno schiaffo bello forte: “Per essere una Guerriera, molli facilmente la presa...” Non ci era andato giù leggero mentre demoliva la certezza che lui non avesse alcun interesse per la sottoscritta. Poi era arrivata una ragazza “appariscente”, di cui avevo dimenticato il nome un attimo dopo averlo udito da Blaise, tanto forte era stato il disgusto, che mi aveva schiaffeggiata sull’altra parte del volto, raccontandomi verità sconvolgenti sul ragazzo che aveva attratto la mia attenzione. Alla fine, era tornato Blaise con il suo solito fare a metà tra il galante e il pragmatico, tra l’indifferente e il dolce. Io. Davvero. Non. Ci. Capivo. Niente. O, forse, iniziavo a capire fin troppo bene.
    L’oca, suo malgrado, aveva fatto breccia con il suo racconto, dandomi la chiave di lettura dell’enigma Blaise. Un ragazzo ferito, non di natura scostante, paradossalmente, sotto questa prospettiva le mie percezioni iniziavano ad avere molto più senso…
    Blaise era quanto di più vicino all’Amore vero si potesse immaginare, o almeno lo era stato in passato, prima che qualcuno distruggesse il suo mondo e lo costringesse a quella sgradevole recita. Per me era così lampante adesso che mi diedi della stupida per non aver compreso prima.
    Il soldato aveva richiamato la mia attenzione sventolando una mano di fronte ai miei occhi, mi aveva proposto un tramonto? Oh, non ci avrei rinunciato per niente al mondo!
    Stavamo guardando uno skyline degno di un dipinto. Colori caldi, quasi infuocati, il crepuscolo incombente assieme al suo manto di stelle che nel deserto sembravano ancora più luminose, ma il dettaglio più importante erano le mie dita intrecciate alle sue. Lo avevo ingabbiato da quando eravamo scesi dalla moto e non lo avevo più lasciato… Strinsi un po’ più forte quando il cielo divenne più nero che rosso, sancendo la fine di quella giornata e l’inizio di una nuova notte.
    “Il dolore può essere un insegnante duro a volte, però alla fine dovrebbe portare a qualcosa di nuovo, di migliore, di buono. Non lasciare che la paura di riprovarlo ti impedisca di aprirti ancora… hai così tanto da dare. Il corpo è solo un involucro, dà piacere ai sensi, ma non è quello che condividi quando ti lasci andare davvero…” Avevo iniziato a parlare fissando l’orizzonte adesso completamente nero. La mia voce era soffusa, ma abbastanza alta da farmi udire con chiarezza. “Ora so perché sono stata attratta da te. E perché tu, al contrario, mi hai un po’ snobbata. Tu sei l’essere umano più amorevole che esiste, solo che l’hai dovuto nascondere per proteggerti.” La sincerità delle mie parole era disarmante, ma non ci facevo mai caso, se decidevo di parlare lo facevo con tutti i sentimenti – nudi e crudi – che mi scorrevano sotto pelle. “Forse posso sembrarti anche odiosa per ciò che rappresento, ma non potrai nascondere ciò che sei per sempre, prima o poi starai male proprio per questo. Il potenziale, qualsiasi esso sia, se non viene espresso si trasforma in veleno… insoddisfazione, irritazione, frustrazione. Non andrà bene.” A quel punto mi voltai verso di lui, gli sorrisi apertamente, trasmettendogli tutta la mia forza e convinzione. Avevo un patto da proporgli! “Che ne dici di lasciare libero il vero Blaise? Solo con me, al riparo da occhi indiscreti, da giudizi esterni, dalla paura di soffrire? Io non sono umana, non chiedo nulla in cambio, non sono in cerca di soldi, di un anello al dito o di una famiglia, mi ripagherebbe solo VEDERTI per come sei.” Forse era una proposta folle, ma era venuta fuori così naturalmente che non ci avevo neppure riflettuto su, ed era stato un bene, quando rimuginavo sbagliavo sempre.
    Fissai il volto imperscrutabile di Blaise e rimasi in fiduciosa attesa di una risposta, pronta a tutto.
  11. .
    :Cassian:
    Dopo un primo attimo di smarrimento, dovuto alle parole criptiche con cui Luke Skywalker si era congedato, compresi che il “lavoro” a cui si riferiva che stava facendo con Jyn comprendeva anche il sottoscritto. E la cosa non mi piacque. Non amavo che la mia vita privata si mischiasse con quello che consideravo un impiego a tempo pieno, tanto meno mi piaceva il fatto che Luke fosse al corrente di miei fatti privati.
    Uno sguardo a Jyn mi diede conferma di aver avuto la giusta intuizione, ma non ero affatto ben disposto. Volevo solo eseguire questa missione e tornarmene alla mia base, lontano da lei. Non era previsto alcun incontro risolutore, anche perché la stessa Jyn dimostrava di non averne alcuna voglia…
    Mi puntellai al grande tavolo delle riunioni e mi misi a braccia conserte, segno evidente di chiusura. La fissai con ostinazione, in silenzio. Se c’era qualcuno che doveva parlare, non ero certo io. Ci avevo provato già, in passato. Ci eravamo ritrovati dopo che entrambi ci eravamo creduti morti per anni. Ma il clima non era stato per nulla quello che chiunque si sarebbe aspettato, io per primo avevo troppo da nascondere, di cui mi vergognavo. Nonostante questo, avevo tentato di aprirmi una volta, preso da non so quale lucido slancio, ma Jyn mi aveva letteralmente abbattuto. E dico, letteralmente. Mi aveva attaccato e avevamo combattuto. Ero andato nella palestra dove si stava allenando, non era passata neppure un’ora dal nostro primo nuovo incontro e lei si era rifugiata di fronte al sacco anziché cercarmi. Mi aveva evitato di proposito, perciò l’avevo cercata io, deciso a confessarle tutto quanto… in fondo, felice di rivederla. Ma niente, Jyn mi era saltata addosso, preferendo sfogarsi sul diretto interessato che su un sacco inerme.
    I nostri occhi si erano incatenati, forse amati, ma anche odiati, durante un duro scambio di colpi. Le sue ultime parole, prima di strapparsi i guanti d’allenamento e correre via da me, mi avevano lasciato una voragine al posto del cuore:
    “Mi hai abbandonata. Non mi hai cercata. Adesso, sparisci dalla mia vita!”
    E io l’avevo fatto. L’avevo ignorata, eseguendo i suoi “ordini”, ma non certo senza battere ciglio. Faceva male, tanto male. Forse più dell’astinenza da quelle schifose pillole che mi avevano tenuto lontano da lei, contro cui combattevo ogni santissimo giorno, ora, minuto. Ero sopravvissuto all’esplosione del pianeta per puro miracolo, solo per cadere subito dopo in un altro tunnel, ancora più oscuro e perverso della morte stessa. La morte era definitiva, la dipendenza no. Ti faceva respirare a volte, altre ti ammaliava, altre ancora ti colpiva duramente lasciandoti senza forze. Eppure, da quando l’avevo rivista, la tentazione aveva retrocesso d’un passo, come se l’averla ritrovata aveva liberato dentro di me una energia nascosta, ma che veniva fuori solo quando il tunnel diventava un abisso e mi permetteva di non fare il passo fatale.
    Jyn era la mia àncora, lo era sempre stata, fin da quel momento in cui le nostre labbra si era unite di fronte a una vera apocalisse, convinti che per noi non c’era più speranza… E invece, la speranza aveva vinto, ma adesso lei mi odiava… e io odiavo lei.
  12. .
    :Aphrodite:
    Era stato un completo disastro?! Che idea assurda mi ero fatta venire in mente!
    Blaise mi aveva guardata con la stessa attenzione e professionalità che avrebbe dedicato a una natura morta! Ecco come mi ero sentita per tutto il tempo… un banale cestino di frutta plastificata!
    Finita la lezione, senza degnarmi della minima attenzione, con quel suo fare sempre sicuro di sé, era uscito dall’aula, precedendo tutti i suoi colleghi di corso. Quest’ultimi mi erano praticamente saltati addosso, donne e uomini, senza distinzioni. Le prime con domande su quali trattamenti di bellezza adoperassi per la pelle, i capelli, il corpo; i secondi tendendo bigliettini con numeri di telefono, improbabili, e alcune persino oscene, dichiarazioni.
    Sì, mi ero messa in ridicolo, esponendomi oltre misura e senza alcuna ragione… perché l’unico motivo rintracciabile era letteralmente sparito sotto i miei occhi.
    A fatica mi ero districata dalla massa di persone, mi ero fiondata in camerino per vestirmi alla bell’e meglio e fuggire a gambe levate. Avrei potuto teletrasportami… era chiaro che la sola cosa che mi era rimasta da fare era tornare a casa e smetterla con quella follia.
    Ma niente, i piedi mi avevano portata fuori dal portone d’ingresso del grande edificio, mentre i miei occhi avevano scandagliato i gruppi di ragazzi che sostavano lì davanti. Sì, mi ero messa a cercare Blaise, anche se a quest’ora sarebbe potuto essere ovunque… e invece no!
    Va bene, Aphrodite, un poco di contegno, forza! mi dissi mentalmente, nel tentativo di riprendere una parvenza di lucidità. Mi ero catapultata fuori, convinta di averlo perso in tutti i significati possibili e invece eccolo lì, col suo fare sospettoso, prendendomi del tutto alla sprovvista. Infatti fu molto dura riacquistare lucidità mentre tenevo sotto al naso uno dei disegni più belli che avessi mai visto e non si poteva dire che non fossi adusa a certi ambienti artistici e a talenti sopraffini. Certo era che, ritrovarmi su quella superficie ruvida e brillantemente vergata, mi fece sentire ancora più nuda… Non erano solo le forme che aveva catturato con i suoi chiaroscuri, ma anche il mio sguardo perso dietro una parvenza di sicurezza che non avevo provato affatto, per tutto il tempo della lezione! Era stupefacente, eppure mi stava regalando quella piccola opera d’arte come se fosse qualcosa senza valore. No, in realtà era proprio così, un disegno fra tanti… una modella tra tante!
    Blaise non mi diede il tempo di metabolizzare il tutto – un tutto che non riuscivo proprio a razionalizzare – che ripartì con il suo interrogatorio.
    “Ora che i convenevoli sono seguiti, puoi dirmi che ci fai qui? Perché mi hai seguito...”
    “Qualcuno ti ha mai detto che nei convenevoli sei proprio scarso? Sarai bravissimo a disegnare, ma sul tatto e la cortesia hai ancora tanto da imparare…” Da dove diamine era uscita quella risposta così piccata?! Il cuore batteva talmente forte che mi sembrava stesse per uscire fuori dalle tempie. Non ero abituata a emozioni così forti. Poi, mi decisi a respirare, una, due, tre volte, profondamente. “Ok, forse, il mio comportamento ti sarà sembrato sospetto, ma ti assicuro che non sono venuta qui con nessun losco intento, né tantomeno in veste ufficiale. Volevo solo capire alcune cose. Dal nostro primo incontro son sorte tante domande… personali. Tutto qui.” Confidarmi con lui mi parve davvero fuori luogo vista la sua freddezza.
    Il suo sguardo però era eloquente: non mi credeva. Non doveva importarmene, ma non era così. Quel suo atteggiamento mi colpiva forte, scardinando anni e anni di posato autocontrollo. Ero io che consigliavo alle mie sorelle di risolvere ogni conflitto esterno o interno con calma, lucidità, razionalità, respirando a fondo, analizzando pro e contro e solo alla fine tirare le somme. Adesso mi sentivo in preda di un piccolo vortice sconosciuto, in balia di sensazioni mai provate: vergogna, curiosità, attrazione, al punto da percepirmi addirittura febbricitante.
    Passai un palmo sulla fronte calda e umida, lasciando vagare gli occhi sulla strada, tra le persone, esseri umani da cui ero distante mille miglia e allo stesso tempo terribilmente simile in quello sciagurato istante.
    “Sono sincera. Non c’è molto altro da dire, perché la verità è che tu sei un vero rebus, che vista la tua poca collaborazione sarà difficile risolvere… perciò, ti saluto!” Non so dove avevo trovato il coraggio di dire quelle ultime parole, un po’ balbettanti, di sicuro senza senso per lui, ma girai sui tacchi, pronta ad andarmene… adesso conoscevo il sapore amaro dell’umiliazione. “Ben fatto, Aphro, una dea a dir poco ammirevole!” mi apostrofai con le ciglia per la prima volta umide dopo tanto, tantissimo tempo.
  13. .
    :Cal:
    Il cielo era terso, l’aria entrava fredda nei polmoni a causa della velocità e dei profondi respiri che facevo. Lo speeder correva veloce tra le dune di roccia e sabbia che separavano il centro vitale della cittadina di Lothal, sull’omonimo pianeta, e il luogo in cui un tempo sorgeva un antichissimo Tempio Jedi: la nostra destinazione finale della missione che Luke Skywalker ci aveva affidato.
    Merrin mi stringeva forte le braccia alla vita, mentre col mento si incastrava perfettamente nell’incavo della spalla. Anche lei voleva godere dell’aria fresca che le sferzava il viso, percorso da segni ben distinguibili della sua stirpe di nascita: le Dathomiri. Quella specie di cicatrici tatuate un tempo mi avevano fatto paura, soprattutto nel nostro mondo, erano segno di male, lato oscuro, pericolo. In realtà, grazie al mio rapporto con lei, avevo iniziato a comprendere il meccanismo sottile e complesso con cui le Dathomiri si rapportavano alla Forza…
    Il calore che mi trasmetteva col suo corpo snello ma forte mi dava sicurezza. Con lei sarei andato in capo a questa e ad altre galassie per compiere anche la missione più folle. E non sarebbe stata la prima volta. In questo momento, invece, dovevamo fare una cosa piuttosto semplice… rispetto ai nostri standard di avventurieri ovviamente.
    Dopo il mio incontro con il Maestro Luke Skywalker, ci eravamo uniti ben volentieri alla sua nobile causa di ricostruire un nuovo Ordine Jedi, che avesse caratteristiche diverse dal vecchio ordine andato distrutto… Lui era convinto che se gli Jedi fossero rinati, avrebbero dovuto rimediare ai tanti sbagli fatti in passato e su questo concetto mi aveva trovato del tutto d’accordo. Perciò, di tanto in tanto, durante i miei viaggi con Merrin alla ricerca di reliquie Jedi da riportare ai legittimi proprietari, ricevevo delle comunicazioni criptate attraverso le quali Luke mi comunicava missioni diverse, spesso di sorveglianza, altre di semplice controllo o esplorazione. Quella che avevamo ricevuto la sera prima rientrava in quest’ultima categoria.
    Era stato registrato un fortissimo picco di energia sul pianeta Lothal, localizzato in quello che un tempo era stato il sito di un antichissimo Tempio Jedi, caduto per mano dell’Impero diversi anni prima. Il picco di energia era durato pochi istanti, ma era stato talmente forte da raggiungere gli schermi di parecchi istituti di controllo, compresi quelli “segreti” di persone che preferivano lavorare nell’ombra, proprio come Luke.
    A noi, dunque, il compito di recarci sul posto per capire cosa fosse successo. Dovevamo stare attenti, perché di qualsiasi cosa si trattasse, avrebbe potuto attirare anche altro genere di attenzioni, capaci di metterci in difficoltà. Per questa ragione, Merrin e io ci eravamo preparati con diversi tipi di equipaggiamenti, giusto per non trovarci impreparati in nessuna occasione.
    Tuttavia, nonostante durante il viaggio verso il pianeta, avessimo preventivato qualsiasi tipo di scenario di fronte al quale avremmo potuto trovarci, non potevamo neppure lontanamente immaginare ciò che invece si palesò ai nostri occhi una volta arrivati sul posto.
    Parcheggiai lo speeder, la bocca spalancata, gli occhi incollati davanti a me. Merrin non era meno sorpresa di me, benché riuscisse a dissimulare meglio le sue emozioni. Camminammo lenti, increduli, incapaci di incastrare in un disegno realistico quanto stavamo osservando: l’antico Tempio Jedi, andato in rovina, ora svettava imponente contro il cielo azzurro, senza nuvole.
    Il tempo sembrava essersi fermato, tutt’intorno aleggiava una energia quasi elettrica. La Forza impregnava la superficie della terra, arrivando fino a me e colpendomi con una ondata potente, carica, rigenerante, per poi disperdersi nell’aire con crepitii simili alle scariche elettrostatiche. Se non fossi stato così sconcertato, avrei persino giurato di vedere la sommità della costruzione pulsare… di vita.
    Merrin mi strinse una mano e fui costretto a strizzare gli occhi per riprendere la concentrazione necessaria a mettere insieme i pezzi di quel puzzle assurdo.
    “È pazzesco, non dovrebbe essere qui!” Dovevo dirlo ad alta voce, per forza, altrimenti non avrei potuto dirmi veramente sveglio. Questa mia frase scontata, però, mi attirò una occhiata mordace della mia adorata compagna di viaggio.
    “Dici? Hai davvero intenzione di stare qui con quella espressione da pesce lesso a farti domande? Oppure è arrivato il momento di avvinarci e capire cosa diamine è successo?!” Come darle torto, Merrin sapeva sempre come farmi tornare con i piedi per terra e quasi mai usava tatto o gentilezza per farlo. E a me piaceva anche per questo!
    “Hai ragione, mia dolce compagna. Andiamo a scoprire perché mi sento come se fossi finito direttamente in una gabbia di Faraday, non vorrei fare attendere oltre il tuo amabile caratterino!” La presi in giro, baciandole il dorso della mano che ancora tenevo stretto nella mia mano grande. Eravamo davvero pronti a scoprire di più, ma non avrei rinunciato alle nostre schermaglie ormai storiche!
  14. .
    :Aphrodite:
    Dovevo proprio essere impazzita! Se lo avessero saputo le mie sorelle, di sicuro, mi avrebbero fissata con tanto di occhioni aperti e bocche spalancate. Ero sempre stata molto misurata, armonica, posata, l’emblema della “medietas”, virtù che antichi popoli del pianeta Terra indicavano come la più importante. In fondo, la dea della bellezza non poteva che esserlo in ogni senso… esteriormente, interiormente, spiritualmente, ero nata per essere tutto questo. Avevo perfino accettato, dopo qualche tempo di lotta, il fatto che gli esemplari di sesso maschile fossero attratti da me in centinaia di forme diverse. Le mie vibrazioni erano ammalianti e potevano portare all’innamoramento, all’ossessione, addirittura alla follia e all’odio. Sorridevo tanto quando pensavo a come Aphrodite, o Venere, veniva rappresentata sulla Terra: una divinità altezzosa, superficialmente estetista, dagli equilibri precari tendenti all’isterismo. Ecco, i terrestri sapevano davvero essere contraddittori a volte, ma anche divertenti! In ogni caso, il punto era che ormai ero abituata a generare sempre qualche reazione, bella o brutta che fosse… per questa ragione, il mio assurdo comportamento mi parve molto più in linea con lo stile dei racconti mitologici del pianeta su cui avevo deciso di tornare senza alcuna precisa direttiva.
    Il mio unico obiettivo era quello di rincontrare il tenente Blaise Jackson. La sola persona fin dalla mia nascita a non aver avuto, apparentemente, alcuna reazione alle mie vibrazioni. Al contrario, mi aveva trattata come se fossi un insetto molesto. Badate bene, ero rimasta molto sorpresa, inizialmente anche disorientata, e solo alla fine, un pizzico di dispiacere mi aveva punto al pari di uno spillo fastidioso all’altezza del cuore. Il dispiacere però non era dovuto a un qualche paradossale senso di sconfitta, bensì al fatto che al contrario di lui, per me, Blaise aveva brillato come un astro fa nel cielo notturno. Non ne conoscevo il motivo, e questa era una delle mille domande che chiedevano risposta dentro di me e alle quali mi ero decisa a voler rispondere, anche se ciò avrebbe significato rompere qualche regola. Io, la dolce e pacata Aphrodite, che disubbidisce alle regole? Se me lo avessero raccontato non ci avrei mai creduto, eppure…
    Mi trovavo in un camerino della Scuola d’Arte di Austin, con un accappatoio di spugna rosata intorno al corpo nudo, pronta a incontrare Blaise – insieme a un’altra quindicina di studenti – e capire perché non fossi degna di una occhiata che andasse al di là di una banale seccatura. Dovevo ammettere che ero agitata e io non lo ero mai! Era da tempo immemore che non sapevo più cosa significasse fare un salto nel vuoto… Per questo avrei dovuto smetterla con le sciocchezze! Ma non lo feci… alla fine, decisi di saltare in quel benedetto vuoto!
    […]
    Se mi aveva riconosciuta non ne aveva dato alcun segno. Era in seconda fila, di fronte al suo album da disegno posto su un cavalletto di legno chiaro. Dopo la mia entrata molto poco trionfale – dal momento che ero inciampata nel mio stesso turbamento facendo cadere qualche oggetto dalla cattedra dell’insegnante! –, avevo tolto l’accappatoio e mi ero seduta nella posa che mi era stata indicata. La nudità per me non era mai stata un problema, la mia pelle era come un vestito a cui riservavo moltissima cura. Tuttavia, per la prima volta nella mia intera esistenza, il suo sguardo addirittura professionale, oltre che indifferente, era riuscito a farmi avvampare. Sì, era definitivo, dovevo essere una pazza… tutti si eccitavano ricevendo attenzioni mentre io mi eccitavo per il comportamento contrario! Ma ormai ero in ballo… non potevo più tirarmi indietro, lo avrei fissato senza alcun problema per il resto dell’ora di lezione che rimaneva e poi avrei cercato di capire cosa passasse per la testa di quel ragazzo che tanto mi aveva intrigato.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 10/12/2023, 16:22
  15. .
    :Howard:
    Avevo appena convocato Gareth e Alexander. Avevo bisogno di loro proprio adesso.
    Dalla guardiola all’ingresso mi avevano appena comunicato l’arrivo di un visitatore del tutto inatteso. Non avevo fatto fatica a inquadrarlo per ciò che era: un arcangelo di Nemesis, Raffaele. Lo conoscevamo abbastanza bene visto che tenevamo d’occhio da settimane le attività di questi esseri sulla Terra. Lui in particolare dal momento che lavorava a stretto contatto con la comunità. Un medico straordinario a detta di tutti i suoi pazienti e molto affascinante a detta delle pazienti di sesso femminile, ma non solo. Era rispettato, addirittura adorato. Non faticavo a credere che la gente fosse attratta da lui per le sue doti soprannaturali, avevo avuto modo di sperimentare io stesso come questi esseri – Olimpi o arcangeli – esercitassero un fascino quasi ipnotico. Erano le menti più deboli soprattutto quelle a cedere con facilità… Continuavo a ripetermi che non facevo parte di quella schiera, che l’attrazione che provavo verso Demetra fossero di tutt’altra origine, ma non sempre riuscivo a convincermene del tutto. Immaginavo che solo il tempo avrebbe potuto darmi torto o ragione.
    Intanto, però, dovevo prepararmi ad accogliere il nuovo venuto. Il suo farsi annunciare come un comune mortale mi dimostrava l’efficienza delle nostre misure di sicurezza. Questo mi rendeva orgoglioso, non era così scontato che avrebbero davvero funzionato… in fondo, non avevamo mai avuto la necessità di testarle!
    Raffaele doveva dirci qualcosa di molto importante e io lo avrei trattato con il massimo rispetto, ma senza negare che il fatto di saperlo depotenziato tra le mura della mia base mi tranquillizzava non poco.
    Gareth fu il primo ad arrivare. Il suo cipiglio serio mi comunicò quanto preoccupato fosse, di certo molto più del sottoscritto, infatti non pronunciò neppure una parola in attesa che ci raggiungesse anche Alexander. E io lo lasciai nel suo silenzio che sapeva urlare, lo conoscevo abbastanza bene per sapere che nulla di quanto avrei potuto dire avrebbe avuto l’effetto di calmarlo. Per fortuna il tenente colonello Washington arrivò giusto in tempo, con la sua espressione sempre rassicurante, a stemperare la tensione che si era creata nella stanza. Lo ringraziai con gli occhi, generando un piccolo sorriso di comprensione, prima di aggiornarli sulla riuscita della missione del tenente Jackson.
    Ero molto curioso di sapere se Raffaele era a conoscenza dell’operato del… fratello? Non avevo idea se questi esseri si definissero fratelli o meno, la cosa importante era capire a gioco stavano giocando e per quale ragione aveva chiesto udienza!
    Un leggero bussare alla porta ci comunicò che il momento della verità era giunto. Infatti, poco dopo, Susy annunciò il nostro ospite. Curioso, lo osservai fare il suo ingresso nel mio ampio studio. Era elegante ed emanava un’aura addirittura… rilassante? Era davvero strano capire le sensazioni che suscitavano in noi esseri umani. Non sembrava minaccioso, ma nemmeno quel suo faccino d’angelo, il suo sorriso cortese, i suoi modi d’altri tempi mi avrebbero indotto ad abbassare la guardia.
    Chiesi a Susy di portare del tè e poi di non essere disturbati per nessuna ragione, infine feci segno a Raffaele di accomodarsi…
    “Dopo averle offerto il tè, non credo sia il caso di perdere altro tempo con le presentazioni, noi sappiamo chi è lei e lei sa chi siamo noi. Direi che possiamo passare alle motivazioni che l’hanno portata fin qui, che ne dice?”
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