« No Ordinary Crossover » Italian GDR

Posts written by SydneyD

  1. .
    :Mara:
    Eravamo rientrate da poco alla base. La Stazione Comunicazioni sul pianeta GH-531 era diventata un punto fulcrale per la raccolta e archiviazione di dati. Doveva essere protetta e salvaguardata per assicurarci che informazioni vitali non cadessero nelle mani sbagliate ed essere usate contro di noi, quello che rimaneva del defunto Impero. L'ammiraglio Rax mi aveva voluta con sé come suo braccio destro e mi aveva accolto, quando dopo la morte dell'imperatore, mi ero ritrovata a fare la contrabbandiera pur di sopravvivere. Gli dovevo molto e mi aveva dato un nuovo scopo nella vita, quando tutto mi sembrava perduto.
    La missione al centro minerario era riuscito per metà… avevamo creato un bel trambusto e confuso gli alti ranghi della Nuova Repubblica, gettando ombre su delle frange Ribelli che non sarebbero dovute esistere.
    Ma sul finire, niente era andato come doveva. L'arrivo di Skywalker e dei suoi aveva creato non pochi problemi. Avevamo avuto tra le mani una delle più importanti diplomatiche della Repubblica, braccio destro della Senatrice Organa ed eravamo state in grado di perderla. Shin era troppo impulsiva e non controllava bene le sue innate capacità, era una vittima costante della sua ira e brama di vittoria.
    Le avevo detto tutto…una volta fuggite, sul mezzo di ritorno, le avevo riversato tutta la mia insoddisfazione sul suo operato. Lei, ferita e apatica, si era limitata a freddarmi con una semplice risposta: "Io ho agito affinché la missione potesse riuscire al 100%, tu hai solo giocato con Skywalker"
    Non le avevo chiesto cosa intendesse davvero con quelle parole, perché sapevo bene a cosa si stava riferendo.
    L'avevo lasciata in infermeria, affinché la potessero curare. Non si trattava di ferite molto gravi, ma andavano comunque medicate e pulite. Dopo di che avrebbe potuto anche ripartire e tornare dal Grande Moff Randd.
    Mi diressi nella mia cabina. Era notte fonda e sapevo che avrei potuto attendere la mattina seguente per scrivere il rapporto su quella dannata missione. Più mi arrovellavo e più ero convinta di non sapere cosa scrivere. La verità dei fatti era troppo surreale e pareva assurda persino ai miei occhi e alle mie orecchie.
    Mi spogliai con calma metodica: mi tolsi i pettorali in pelle, le gomitiere e le ginocchiere. Nonostante tutte le protezioni, avevo dei graffi e delle escoriazioni sparsi per tutto il corpo. Non ero voluta rimanere in infermeria, erano ferite di poco conto ma, cosa più importante, volevo allontanarmi da tutto e da tutti. Se avessi potuto, sarei andata ancora più lontano da quel posto, per restare sola con me stessa senza le distrazioni e il peso delle responsabilità che gravavano sulle mie spalle.
    Mi liberai degli abiti e sciolsi i capelli dalla treccia che, nel frattempo, si era in parte liberata dalla piega ferrea che le avevo dato prima della partenza.
    Mi guardai allo specchio e vidi una donna stanca, confusa e desiderosa di comprendere.
    La luce biancastra del neon delineò la mascella contratta in una linea dura. I denti stridettero tra loro e con un pugno distrussi la superficie riflettente, mandandola in frantumi scintillanti. Altri tagli si aggiunsero sulle nocche della mano destra ed io continuai a rimirarmi tra le crepe distorte.
    “Luke Skywalker. Chi sei tu? Ho imparato a odiarti, mi sono allenata fino allo stremo per ucciderti e adesso, arrivi e mi sconvolgi la vita?” La voce era un sussurro incrinato.
    Mi buttai sotto la doccia e lasciai che il getto dell’acqua calda lavasse e ferite e la pelle. Sperai che potesse pulire i miei pensieri, affinché ritrovassi un po’ della mia innata lucidità e razionalità. Con un solo sguardo lui le aveva mandate in mille pezzi. I suoi occhi blu cristallini mi erano entrati dentro e avevano messo sottosopra le mie capacità e la forza di volontà che mi aveva accompagnata per lunghi anni.
    Al suo cospetto, finalmente avevo avuto la possibilità di portare a termine una missione affidatami direttamente dall’Imperatore. Ogni tentativo precedente era fallito miseramente. Avevo avuto una chance di mettere un punto finale a quella storia infinita.
    Mi insaponai con cura, ignorando il bruciore dei tagli. Il dolore che ne scaturiva era catartico e speravo mi distraesse da quelle riflessioni insensate.
    Giochetti… aveva usato dei trucchi mentali per indurmi quelle strane visioni. Momenti di vita con lui. Voleva confondermi e abbassare la mia linea di difesa.
    Uscii dal box doccia e mi asciugai con cura, tamponando il corpo con lentezza quasi apatica.
    La mia mente era persa nel rivivere quelle scene. Il sapore umido della sua bocca, le sue dita audaci sulla pelle, il cuore che batte all’impazzata. C’era un sentimento forte a legarmi a lui. Non sapevo ben definirlo, ma il dolore intenso che aveva invaso il mio petto e dilaniato la mia anima, nel vederlo morente, mi aveva lasciata interdetta.
    Come poteva aver creato tutte quelle immagini nella mia testa? Anche lui le aveva viste in un’occasione e mi era sembrato anche stupito. Era un bravo attore? Infondo, non lo conoscevo… lo avrei conosciuto in futuro?
    Scossi la testa esausta. Indossai un pantaloncino e una canottiera e mi misi a letto. Avrei tanto voluto che la notte portasse via con sé tutta la stanchezza e la pesantezza di quella giornata.
    Non avevo ucciso Luke Skywalker e lui, di rimando, aveva evitato la mia morte più di una volta, nell’arco di poche ore.
    Non sapevo dopo quanto tempo, finalmente caddi in un torpore ristoratore.

    Mi muovevo con forza ed eleganza, fendendo l’aria con la mia spada laser dalle sfumature magenta. Rivoli di sudore mi imperlavano la fronte, il collo, le spalle. Poi, percepii un’energia proprio dietro di me. Non aveva fatto rumore, ma non era necessario che si facesse notare, quando era vicino, era come un’esplosione nella notte. Forte, abbagliante, brillante come una stella, ed era… mio. Le sue braccia forti mi avvolsero da dietro e mi costrinsero ad abbassare l’arma.
    “Dai sempre troppo Mara Jade. Datti pace. Non puoi portare allo stremo il tuo corpo. Ti rintani qui ad allenarti tutti i giorni per ore, anche dopo che lo facciamo insieme. Da cosa devi difenderti cosi strenuamente?” Le sue parole come sempre arrivarono fin dentro l’anima e la infuocarono.
    “Sai bene che siamo un costante bersaglio. Non ho portato a termine la mia missione di ucciderti e da quel momento sei braccato non solo da un mercenario, ma da innumerevoli esseri spregevoli che vogliono solo la tua morte. Poi, c’è l’Impero e la sua costante minaccia… io voglio essere…”
    “… pronta. Lo so! E tu sai che io sono in grado di badare a me stesso e poi, non siamo soli. Abbiamo anche noi innumerevoli alleati. Stare al mio fianco non deve essere un fardello per te. Non lo accetterei mai… ” Mi stava parlando ancora da dietro, mentre mi abbracciava e il suo respiro mi solleticava la pelle del collo e l’orecchio.
    Mi sganciai dalla sua presa quel tanto che bastava per voltarmi verso di lui. La spada disattivata e inerme nella mano.
    “Luke. Tu mi hai salvata, ormai non posso più contare le volte in cui mi hai salvato materialmente la vita, ma non è solo questo. Tu hai salvato la mia anima. Credevo di avere uno scopo, ma non avevo capito che ero come una barca in balia della corrente. Senza meta e alla ricerca di un vano attimo di gloria. Quella non ero io e tu lo hai capito. Mi hai messa al sicuro e mi hai mostrato che esiste un’altra Via. Sono qui grazie a te. Il minimo che io possa fare e sperare di riuscire a proteggerti…” Avevo parlato a lungo e l'ultima frase era uscita in un soffio. Non sapevo cosa avrei fatto se gli fosse successo qualcosa. Il solo pensiero di perderlo mi feriva profondamente.
    Mi prese il volto tra le mani e mi parlò con una dolcezza disarmante. Era quel suo modo di fare che mi aveva fatto innamorare di lui. Sì, era amore?
    “Lascia andare questo peso. Non devi portarlo da sola. Qualsiasi cosa dovremo affrontare, lo faremo insieme. Ok? ” iniziò a sfiorarmi le labbra con le sue, con lentezza e cura. Senza fretta. “Non hai nulla da ripagare o per cui devi sentirti in debito. Tutto ciò che ho fatto, l’ho voluto fare. Non mi devi protezione o devozione per ringraziarmi.” Il suo respiro, mentre parlava, mi solleticava la bocca e un brivido profondo mi corse lungo la spina dorsale, che si propago caldo per tutto il corpo.
    Agganciai la spada laser alla cintola. Avevo bisogno delle mani libere. Gli afferrai il bavero della casacca che indossava e lo spinsi verso di me. Volevo approfondire il suo bacio. Sentivo il bisogno spasmodico del suo tocco.
    Sorrise senza staccarsi da me. Lo baciai con passione, esplorando le sue labbra, godendomi l’umido sensuale di quel contatto. In quel momento, ero certa che non lo avrei mai abbandonato. Che non lo avrei mai lasciato andare… perché un’esistenza senza di lui non avrebbe avuto nessun senso. Mi staccai da lui con un leggero ansimo.
    “Ricordati, tu non sarai mai un peso per me. Tu sei la mia benedizione!”


    Mi svegliai di soprassalto e mi ritrovai seduta a metà letto. Mi guardai intorno, confusa. Cosa stavo cercando? Speravo di trovarlo lì, da qualche parte?
    Mi portai una mano al petto, per sedare quella cocente sensazione di perdita che andava dilagando dentro di me. Mi massaggiai senza sapere cosa fare, cosa pensare. Perché sentivo la sua mancanza quando non era mai stato mio?
    Cosa avevo visto? Era un sogno, una visione, un ricordo di una vita che non conoscevo?
    Non ne avevo idea… affossai il volto tra le ginocchia e mi passai le mani tra i capelli.
    Mi odiai profondamente per quelle sensazioni contrastanti. Avrei dovuto maledirlo, rigettarlo, respingere il suo solo pensiero e invece? Mi trovavo ansimante, alle prime luci dell’alba, a volere follemente che quel sogno non fosse finito così presto, perché tra le sue braccia, nel suo bacio, io mi sentivo… a casa.


    ᴄᴏɴᴛɪɴᴜᴀ ǫᴜɪ: 𝐎𝐬𝐬𝐮𝐦



    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 5/5/2024, 17:26
  2. .
    :Atargatis:
    Le dita avrebbero potuto assomigliare presto a un foglio di carta stropicciato. Le stavo tormentano freneticamente mentre camminavo su e giù in uno stretto angolo del bar affollato in cui mi trovavo.
    Ogni tanto passavo dalle mani e stirare la camicetta in maniera convulsa.
    Ci avevo messo una vita a decidere come vestirmi, avevo cambiato varie mise e alla fine avevo optato per un camicetta azzurra annodata che lasciava scoperta una buona porzione di addome. Un paio di shorts di jeans e saldali alti alla schiava.
    Non avevo mai avuto problemi con la nudità. Da sirena, il mio corpo era esposto la maggior parte del tempo, lasciando ben poco all’immaginazione, allora perché, vestita in quel modo, in mezzo agli umani mi sentivo così vulnerabile e inadeguata?!
    Odiavo quella sensazione e avrei voluto fuggire lontana per evitare una simile situazione, ma non potevo. Avevo una missione da portare avanti e non mi potevo tirare indietro.
    In quel maledetto bar avrei incontrato l’agente FBI Jared Williams: il mio obiettivo.
    Lo intravidi a distanza mentre si avvicinava al bancone e ordinava qualcosa da bere. Feci dei respiri profondi e mi incamminai verso di lui. Proprio mentre stavo per sedermi sullo sgabello libero al suo fianco, una donna mi precedette di qualche istante e mi schiaffeggiò inconsapevole con la sua lunga chioma bionda. Ordinò una birra e si mise a chiacchierare con Jared. Rimasi impietrita per un attimo di troppo, poi, mi sedetti silenziosa accanto. Pareva si conoscessero e lui pendeva dalle sue labbra. Il suo sguardo… lo riconoscevo bene. Era “ammaliato”. Era interessato alla figura di quella donna alta e slanciata, con i capelli color del sole e labbra color fragola.
    Tentai di reprimere quella fastidiosa sensazione di impotenza.
    Forse ero l’unica sirena di tutto Nettuno a non riuscire ad attrarre e stregare gli umani o i rappresentanti dell’altro sesso. Le mie numerose sorelle mi avevano sempre emarginata e addirittura insultata per questo mio limite. Non facevo che combinare guai e la mia cronica sbadataggine, proprio non in linea con il fascino che una sirena avrebbe dovuto esercitare, mi aveva portata alla solitudine e alla riservatezza estrema.
    Quando Ishtar mi aveva contattata e mi aveva comunicato che lo starseed della guerriera di Nettuno mi aveva scelta, io ero rimasta a bocca aperta. Mi ero negata. Avevo risposto con forza che doveva esserci un errore. Io non sarei mai potuta diventare una Sailor, non era nel mio DNA e nelle mie capacità.
    Le mie rimostranze non erano state ascoltate. Ishtar, con il suo fare molto diretto e deciso mi aveva “obbligata” ad accettare le mie responsabilità e di farlo con coraggio e fermezza. Ma che ne sapeva di me?
    Non ero lei. Ero valorosa nemmeno la metà delle altre Guerriere che erano state convocate. Mi sentivo un’inetta allora e adesso, che ero stata mandata forzatamente sul campo, ne avevo la conferma.
    Mi sudavano le mani, mentre origliavo la conversazione tra i due al mio fianco. Da quello che avevo intuito erano stati una coppia ma adesso si erano lasciati. La ragazza parlava con naturalezza, ma si vedeva che Jared era molto preso, più di quanto non lo fosse lei.
    Lo invitò a ballare e lui rifiutò gentile per poi osservarla con insistenza. Una birra in mano e lo sguardo fisso sulla bionda che si muoveva sinuosa a ritmo della musica.
    Era il mio momento!
    Mi avvicinai per sedermi sullo sgabello vicino a lui e sbattei con uno stinco sulla gamba di legno. Non ero solita imprecare, ma in quel momento avrei voluto snocciolare una lista infinita di improperi.
    Attirai però l’attenzione dell’agente, che si premurò verso di me.
    “Tutto bene? Ti sei fatta male?” Mi chiese.
    Io sollevai il capo con enorme imbarazzo. Fino a quel momento avevo usato la mia fluente cascata di capelli castani per farmi da scudo, ma adesso non potevo più.
    “Ehm.. no, tutto bene…” Risposi… non potevo perdere quell’occasione. Errore o no, ci stavo parlando. “Grazie! Sei gentile… come ti chiami?” oh, quanto mi sentivo stupida in quel momento. Avrei voluto apparire più sicura di me e con tono più disinvolto, ma forse apparivo fin troppo in ansia.
    “Sono Jared, tu?” mentre faceva la domanda, lanciò un’occhiata fugace alla pista da ballo, a guardare “lei”. Di nuovo.
    “Sono Atargatis…” al sentire il mio nome, fissò di nuovo lo sguardo su di me. Prima che potesse porre qualche domanda sulla stranezza del mio nome, lo anticipai: “Eh sì, ho un nome particolare. I miei erano fissati con la mitologia. Era una dea sirena.” e sorrisi leggermente, in attesa della sua reazione.
    “Oh, interessante…” poi, una voce a breve distanza lo distrasse.
    “Dai, Jared, non fare il solito musone. Vieni a divertirti un po’!”
    Lui si voltò indeciso sul da farsi. Era tentato ma non convinto del tutto. Si alzò con un movimento fluido, appoggiando la sua birra sul bancone.
    Mi prese alla sprovvista e mi alzai con lui. Non volevo andasse via, ma non sapevo come trattenerlo! Che patetica!
    Per camuffare quella mia mossa d’istinto, afferrai il bicchiere del drink che avevo ordinato poco prima e ostentando disinvoltura parlai: “Vai pure. La tua ragazza ti chiama…” dissi pentendomi subito della mia stupida frase. Avrei dovuto trattenerlo non spingerlo tra le sue braccia. Allo stesso tempo, però, non volevo apparire come una disperata che non voleva restare sola.
    Mentre lo stavo per salutare con un gesto impacciato della mano in cui sostenevo il mio bicchiere, qualcuno mi urtò sulla spalla e tutto il mio drink andò a finire sulla camicia dell’agente.
    Lui si allontanò d’istinto ma non si salvò da quella doccia improvvisa e appiccicosa.
    “Oh cavolo! Mi dispiace… davvero” iniziai a blaterare mentre afferravo delle salviette da sopra il bancone e tentavo di tamponare quel disastro.
    “Scusami… sono una frana!” Avevo le orecchie che fischiavano e le sentivo bollenti per la vergogna.
    “Ok… è tutto a posto.. ” Oddio, non sapevo cosa fare per rimediare. Dopo alcuni istanti di disagio assoluto, arrivò anche la magnifica bionda a fare da testimone alla mia inevitabile disfatta.
    “Ma cosa è successo qui?” disse con voce quasi disgustata. “Jared sei tutto bagnato. È meglio se vai in bagno a darti una sistemata.” disse decisa.
    “Scusami, è stato un incidente” dissi sottovoce non so bene rivolta a chi, forse a entrambi! Ero nel mio mondo. Non avevo neppure il coraggio di guardarlo in faccia e tanto meno affrontare gli occhi accusatori della sua amica. Li notai appena mentre si allontanavano e poi fui io a volare, me ne andai più veloce che potevo.

    Poche ore dopo, a notte fonda, mi ritrovai rannicchiata nel letto del mio modesto appartamento. Le ginocchia tirate al petto e la testa appoggiata su di esse. Ero al telefono con Amaterasu. Sapevo che sarebbe stata l’unica a capirmi. Era profondamente buona, mi spronava sempre a dare il meglio, ma senza mai forzarmi o giudicarmi per i miei errori.
    “Io avevo avvisato Ishtar. Glielo avevo detto che non sarei stata in grado. Sto rischiando di mandare a monte l'intera operazione e solo perché sono imbranata. Non capisco cosa mi succeda. Quando sono davanti agli uomini balbetto come una scema e divento impacciata. Sono la vergogna di tutta la stirpe delle sirene.” dissi con un magone in gola. La voce lamentosa, volevo a tutti i costi impedirmi di piangere, ma lo avrei fatto ben volentieri.
    “Sapevamo entrambe che sarebbe stato difficile per te. Ma non devi abbatterti. Troverai in modo per rimediare. Alla fine non è successo nulla si grave. È stato solo un approccio un po’ rocambolesco.” tentò di animarmi.
    Lo apprezzato davvero, ma qui il problema non era solo la mia inettitudine.
    “Amaterasu, tu non capisci. Lui è innamorato di una bionda stratosferica. Gli parla con disinvoltura ed è sicura della sua bellezza. Stavano insieme. E lui è ancora molto preso. Non ho capito bene perché, ma non credo stiano più insieme. Allora perché gli ronza intorno?! Non ho speranze…” Il panico mi stava assalendo e come al solito iniziavo a blaterare senza sosta.
    “Adesso calmati, Ata. Non è tutto perduto. Adesso tirati su e prendi coraggio. Dovrai crearti un’altra occasione. Devi portare a termine la tua missione!” Era sempre così positiva, ma in quel momento non stava proprio riuscendo a contagiarmi. In ogni caso, non volevo si preoccupasse oltre, quindi finsi un tono più tranquillo e la salutai.
    “Grazie Amaterasu. Farò del mio meglio…” chiusi il telefono e lo lasciai cadere al mio fianco.
    Mi sollevai dalla mia posizione protettiva e osservai il grande specchio che campeggiava proprio di fronte al letto. Gli occhi gonfi di lacrime non versate e i capelli fluenti a incorniciarmi il volto. Cosa avevo meno di quella ragazza al bar? Non ero brutta e avevo un bel fisico, quello che mi mancava però era l’atteggiamento e la sicurezza! Maledizione!
    Come avrei potuto tornare al cospetto dell’agente Williams dopo la figuraccia che avevo fatto? Dovevo farmi venire qualche idea, altrimenti non avrei più potuto guardare in faccia le mie sorelle Guerriere e tanto meno Ishtar, che mi aveva dato tutta la sua fiducia.
  3. .
    :Astrea:
    Avevo appena terminato di prepararmi per il Gala di quella sera. Un lungo abito di seta verde acqua smorzava la mia carnagione particolarmente pallida, insieme al colore candido dei capelli acconciati alla perfezione.
    Gli occhi neri come la pece stonavano con il resto della mia apparenza eterea, ma proprio lì dentro era racchiusa tutta la mia fervida personalità. Mi rimirai allo specchio e afferrai i miei inseparabili guanti da sopra la toeletta. Li indossai, mi arrivavano fino a sopra il gomito e mi sentii al sicuro. Erano il mio scudo.
    Ero una sacerdotessa depositaria. Il mio tocco era molto pericoloso, almeno secondo la mia visione. Non avrei mai voluto obbligare un essere ad amarmi, a servirmi, a proteggermi. Non sarebbe stata una libera scelta, ma un incanto che le mie dita creavano sui poveri ignari. Per questo motivo mi ero costruita un mondo fatto di solitudine e riservatezza.
    Svolgevo le mie mansioni ritualistiche e poi mi ritiravo in compagnia di me stessa. Avevo consapevolmente represso la mia naturale indole allegra e gioiosa, per lasciare spazio a una versione di me fredda e calcolatrice. Non potevo permettermi degli errori. Il prezzo sarebbe stato fin troppo alto e io non avevo nessuna intenzione di pagarlo.
    Avevo atteso a lungo quella serata e in particolare l’intera settimana. Era un evento epocale che gli schieramenti della Terra, della Luna e di Nemesis si riunissero per trovare un punto di incontro. Il fatto che il tutto fosse avvenuto su mio suggerimento, mi inorgogliva.
    Ero molto soddisfatta anche che i reggenti lunari avessero accettato di ospitare l’evento nel loro palazzo. Ero certa si fossero sentiti prediletti e lusinganti dalla mia proposta. L’adulazione era un’arma necessaria per raggiungere obiettivi di vitale importanza. D’altro canto, però, aver ringalluzzito l’ego degli imperatori, mi aveva portata a chiedere a tutta la mia famiglia un compromesso non da poco. Avrebbero dovuto dare un segno di apertura verso una possibile riconciliazione. I miei genitori erano fermamente contrari, ma dietro mie veementi insistenze, non avevano avuto altra scelta, se non assecondarmi.
    Raggiunsi la Sala Grande per il Ballo, ma ero in anticipo. Gli ospiti si stavano ancora radunando e stavano intrattenendo i primi approcci diplomatici in vista dell’incontro ufficiale, che si sarebbe tenuto l’indomani.
    Sperai ardentemente che approfittassero della serata solo per rilassarsi e non per alimentare antichi rancori.
    Il mio obiettivo era individuare la principessa Selene e mio fratello Lucifer.
    Avevo bisogno di parlare con loro prima del grande giorno per dargli delle dritte importanti, che avrebbero cambiato le sorti delle nostre alleanze.
    Tutti si erano stupiti della mia proposta affinché gli schieramenti si incontrassero e nessuno di loro conosceva i motivi che mi avevano spinta a tanto. Non dovevano sapere, non potevano sapere.
    Una cameriera mi informò di aver visto la principessa Selene dirigersi verso una delle balconate più prossime e, in quel frangente, percepii con chiarezza anche la presenza di mio fratello. Come avevo previsto erano insieme e pure prima di quanto mi aspettassi.
    Arrivai silenziosa alle loro spalle. La loro già spiccata confidenza mi diede ulteriori speranze sulle richieste che avevo da fargli e sull’esito della nostra discussione.
    Un discreto colpo di tosse mi aiutò ad attirare la loro attenzione. Si voltarono verso di me con aria stupita e, subito dopo, un sorriso addolcì l’espressione di Lucifer. Il suo affetto incondizionato, ogni volta, mi lasciava senza parole. Sebbene io non fossi mai stata una sorella molto espansiva, speravo che lui conoscesse i miei sentimenti. Lo amavo più di quanto riuscissi a manifestare.
    Anche Selene mi accolse con un sorriso caldo. Dovevo parlargli. Ancora non lo sapevano, ma sarebbero stati l’ago della bilancia in quella riunione e avevo un disperato bisogno della loro collaborazione.
    Le immagini del sogno, che avevo fatto pochi giorni fa mi sferzarono la mente, come un film di istantanee. Mi tolsero per un attimo lucidità e persi contatto con la realtà. Barcollai e Selene fece per venirmi incontro e aiutarmi. Io sollevai una mano per fermarla sul nascere e Lucifer la trattenne con delicatezza per il braccio. Lui sapeva bene quanto odiassi il tocco altrui e quanto ne rifuggissi strenuamente.
    “Tutto ok, principessa! Non ti preoccupare.” Mi affrettai a tranquillizzarla.
    “Ne sei sicura?” insistette premurosa.
    “Assolutamente sì!” Risposi convinta. “Cercavo proprio voi due. Avete un momento da dedicarmi? È importante che vi parli prima di domani.”
    “Ma certo! Per te va bene, principessa?” chiese Lucifer con garbo.
    “Ovvio che sì! Dicci pure.” ribatté Selene. Poi si guardò intorno e prima che proseguisse la interruppi.
    “Non vi è necessità di spostarci altrove. È meglio non dare nell’occhio e che il nostro incontro rimanga confidenziale. Non vorrei mai fare insospettire i nostri ospiti. Sappiamo entrambe che non sarebbe così difficile.” La mia voce era ferma e quasi austera. Addolcii il tono per evitare di apparire ostile. Era l’ultima cosa che volevo. Non ero abituata ad incontri formali e diplomatici. Ero più a mio agio nei templi e nelle ricorrenze ritualistiche che mi appartenevano. “Innanzitutto, vorrei ringraziarti per aver accettato il mio invito. So bene che non deve essere stato semplice convincere la tua famiglia. Credimi, è stato lo stesso anche per me!” volevo davvero far trapelare la mia calda gratitudine.
    “Figurati! Sono stata felice di non dover rischiare un incidente diplomatico per poter parlare con voi.” Chiaramente si stava riferendo al mancato finto rapimento. Ero d’accordo con lei. Quell’azione avrebbe portato a conseguenze a dir poco nefaste.
    Ero stata proprio io a fermare tutto. La mia visione era stata chiara e avremmo potuto evitare un simile rischio. Purtroppo, non potevo rivelare i miei sogni e il futuro che avevo intravisto.
    Lucifer e Selene si sarebbero innamorati perdutamente e il loro amore sarebbe stata la pietra su cui costruire la Pace e nuove alleanze. Avrei dato solo degli input che li avrebbero condotti verso il loro destino. E il fato non riguardava solo loro come coppia, ma un intero universo.
    “Domani, alla riunione, è molto importante che venga proposto un programma di scambio. Solo così sarà possibile che tutti gli schieramenti in campo si conoscano meglio e sarà più facile giungere a un accordo. La diffidenza impera e chiedere fiducia sulla base del nulla mi sembra quasi utopistico, irraggiungibile.” Selene e mio fratello mi guardarono interessati e incuriositi dalle mie parole.
    “Un sistema di scambio? E in cosa dovrebbe consistere?” chiese Lucifer.
    “Gli schieramenti si mischieranno. Ci saranno delle visite reciproche, di modo da comprendere meglio gli usi e i costumi di ognuno.” I due si guardarono scettici e prima ancora che potessero rivolgermi la loro perplessità: “Comprendo il vostro scetticismo ma, credetemi, è l’unica via per riconciliare tutti e spingerli a collaborare.” Ero irremovibile, allo stesso tempo, però, anche loro avevano diritto a un’opinione.
    “Sappiamo bene che una simile proposta potrebbe rischiare di mandare all’aria l’intero summit, Astrea!” Selene tentava ancora di trovare una spiegazione logica alla mia proposta, ma io non potevo rivelare oltre sulle mie certezze. Quegli incontri sarebbero stati fulcrali.
    “Capisco, ma dobbiamo fare un tentativo. So di non potervi dare elementi di prova sull’esito positivo di questa storia. Dovrete fidarvi di me!” Lucifer mi osservò con attenzione. Lui conosceva le mie capacità di preveggenza, anche se non ne parlavamo mai apertamente. Mai!
    “Selene, credo proprio che dovremmo tentare” disse rivolto alla principessa. “Se mia sorella dice ciò, ha di sicuro i suoi buoni motivi. Anche lei ha a cuore la sorte dei nostri pianeti. Io mi fido!” Il suo supporto riscaldò per un attimo il cuore gelido che, ormai, mi ritrovavo nel petto e gliene fui grata. Selene annuì e io tirai un silenzioso sospiro di sollievo.
    “Bene! Ho qui la lista di come gli schieramenti potrebbero incrociarsi. Sono solo dei suggerimenti, ma sono certa che domani, alla riunione, farete in modo che vi ascoltino. Avete innate capacità di persuasione.”
    Sapevo bene che all’indomani di quell’evento epocale, tutto sarebbe cambiato e nuove relazioni sarebbero nate per condurre i nostri popoli, in lotta da millenni, verso una riconciliazione pura e duratura.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 17/4/2024, 19:28
  4. .
    :Hera:

    Destinazione Ithor. Missione: riportare a casa due amici di vecchia data della Ribellione. Un medico e un'infermiera che ci avevano aiutato a curare Amylin e Jyn. Non era prudente avvalersi dei corridoi ufficiali come ospedali o dottori della Nuova Repubblica. Avrebbero fatto troppe domande per un evento che sarebbe stato meglio tenere segreto.
    Amylin se l'era cavata con poco, grazie proprio a Jyn, che aveva messo a rischio la sua vita per salvarla.
    Per fortuna, anche lei era sulla via del recupero e non avevamo più bisogno dell’assistenza medica. Avevano fatto un enorme lavoro e gli ero davvero molto grata.
    Avevo approfittato di quella breve missione ufficiosa per portare con me Jacen.
    Non avevamo molto tempo per stare insieme, ma facevo del mio meglio per ritagliarmi momenti preziosi che, sapevo, sarebbe stato difficile recuperare.
    Era tutta la mia vita ed ero ben intenzionata a dargli il meglio che potevo. Si trovava al mio fianco ed era molto eccitato per la nostra uscita fuori programma.
    Non smetteva un attimo di parlare, menzionando una lista di tutte le cose che avrebbe voluto fare una volta giunti a destinazione. La parlantina spiccata l’aveva presa da me. Suo padre era un tipo più riflessivo e taciturno. Ogni volta che lo guardavo, il volto e gli occhi di Kanan si disegnavano nella mia mente e una forte malinconia mi avvolgeva.
    Perdevo il senso dello spazio e del tempo, mi immergevo in un vortice di ricordi e di emozioni tanto fitte da opprimermi il petto.
    “Mamma, tutto ok? Hai di nuovo gli occhi tristi?”
    Di colpo, distolsi lo sguardo dal panorama dell’iperspazio e lo fissai su mio figlio. Lui sapeva sempre cosa pensavo e cosa provavo. La Forza scorreva forte in lui, così mi aveva detto Luke, e anche io potevo percepirlo dai suoi atteggiamenti, dalle sue abilità. Sembrava più grande dell’età che aveva e la sua espressione era identica a quella Kanan, nonostante fosse ancora così piccolo.
    “Va tutto bene, amore. Solo un po’ di malinconia, ma è già passata! Tutto merito tuo!” Risposi con un sorriso smagliante e accarezzandogli i capelli.
    Non gli avevo mai mentito.
    Era a conoscenza di ogni dettaglio del nostro passato e di quello che era accaduto a suo padre. Doveva essere fiero e orgoglioso di essere chi era.
    Sebbene io avessi sempre mostrato il mio lato forte e temerario, lui conosceva anche i miei momenti di debolezza, unicamente legati alla perdita e alla mancanza del mio unico e grande Amore.
    Osservare la sua gioia e intraprendenza era la cura al mio dolore. Era la stella che illuminava le mie giornate, anche quando credevo che l’oscurità potesse dominare.
    “Sono certo che starai bene, mamma. So che papà ti manca, ma devi sapere che lui è sempre qui con noi. Io lo sento. Vorrei potessi farlo anche tu.”
    Nessuna nuvola oscurava il suo sguardo e un leggero sorriso illuminava tutto intorno.
    “Anche io lo vorrei tanto, ma va bene anche così. Sono felice che tu possa percepire papà. È giusto così. gli accarezzai una guancia.
    “Stai tranquillo, io sto bene e oggi ci divertiremo un sacco. Porteremo a destinazione i nostri passeggeri e poi saremo solo io e te. Ok?”
    Lui annuì entusiasta, riprese a parlare di un sacco di cose e la sua voce fu come un balsamo per il mio cuore ricoperto di cicatrici.

    Dopo aver accompagnato alle proprie case i nostri amici, ci dirigemmo nel centro della città. Sapevo che avevano allestito un parco giochi in occasione di una festa locale.
    Avevamo fatto un patto con Jacen: giochi e dolci, solo per oggi.
    Domani sarei potuta tornare ad essere la madre protettiva e intransigente di sempre.
    C’era una ressa pazzesca e camminare senza inciampare era arduo.
    Jacen non lasciarmi la mano, intesi? È facile perdersi con tutta questa calca. Sentivo l’ansia iniziare a serpeggiarmi sotto pelle. Era tipico di me. Odiavo non avere tutto sotto controllo e il solo dubbio che potesse accadere qualcosa di imprevisto mi metteva in agitazione.
    Ci eravamo messi in fila per acquistare dei dolcetti, non si riusciva a vedere neppure lo stand che li vendeva.
    Scalpitavo. Avrei voluto fuggire via da lì, ma mi ammonii: non dovevo sempre esagerare.
    “Jacen, è meglio spostarci da qui. Troviamo un posticino meno affollato e saliamo su qualche giostra. Nel frattempo che tu fai un giro, ti prendo qualcosa da ma…” Non feci in tempo a finire la frase, che un gruppo di persone ci franò addosso.
    La mia mano si strappò con violenza da quella di Jacen e rimasi incastrata sotto un paio di corpi. Dovevano essere ubriachi o non so cosa. Sbiascicavano le parole e ridevano a crepapelle.
    “Jacen mi senti? Dove sei? Non ti allontanare. Sto arrivando…” urlai, imponendomi di non entrare nel panico, tentai di liberarmi da quei pesi molesti.

    Jacen si alzò da terra un po’ stordito. Un gran polverone impediva la visuale e non aveva idea di dove si trovasse. Troppa gente si accalcava davanti a lui e non riusciva a individuare sua madre. Non era preoccupato. Sapeva che l’avrebbe rivista, piuttosto era in pensiero per lei. Avrebbe dato di matto se non l’avesse trovato subito.
    Si stava scrollando dalla polvere, quando un ragazzino più alto gli andò addosso e lo spinse con forza. Aveva tra le mani un bambino più piccolo che piangeva disperato, supplicava di essere lasciato in pace.
    Jacen, che non sopportava i prepotenti, non ci pensò due volte. Si intromise.
    “Hey, sei sordo? Ha detto di lasciarlo andare!” disse, scoccando uno sguardo di sfida.
    “E chi saresti, nanerottolo? Non ti impicciare, sennò troverai guai anche tu!” Una risata perfida gli attraversò le corde vocali.
    “Secondo me hai tu voglia di guai. Lascialo stare!”
    Allora il giovane strattonò il piccolo e lo lanciò poco distante. Il bimbo, nonostante il dolore per la caduta, si rialzò zoppicante e fuggì a gambe levate.
    Jacen tirò un sospiro di sollievo. Almeno il bambino si era messo in salvo. Adesso doveva capire come tirarsi fuori da quell’impiccio.
    Il suo avversario, fece spavaldamente segno ad altri tre amici di avvicinarsi e circondarono Jacen.
    “Siete troppo vigliacchi per battervi uno per volta? Grandi e grossi come siete…” Era spacciato. Cercava di far leva sul loro orgoglio per battersi equamente, ma era evidente che non ne avessero, perché piano piano stavano stringendo il cerchio su di lui. Non poteva usare i suoi poteri. Era un apprendista Jedi. Avrebbe potuto metterli KO facilmente, ma gli era stato proibito usare la Forza in pubblico. Non lo avrebbe mai fatto. Non voleva mettere in pericolo quello che rimaneva dell’Ordine e che faticosamente si stava rimettendo in piedi.
    “Qualcosa non va… questo scontro mi sembra alquanto sleale… Non vi pare?” Una voce tonante sopraggiunse alle spalle di Jacen. “Perché non andate a fare un giro?Non è male qui…” Era chiaro che il consiglio che aveva appena dato, non era tale, ma un chiaro monito a sparire. E i bulletti non persero tempo e fuggirono rapidi. L’aspetto dell’uomo era fin troppo inquietante per rischiare oltre.

    Appena riuscii a liberarmi da quella massa umana informe, mi misi alla ricerca di Jacen. Non poteva essersi allontanato troppo.
    Razionalmente sapevo che era in grado di cavarsela, ma immaginarlo anche solo potenzialmente in pericolo, mi agitava in un modo che faticavo a controllare. Dovevo trovarlo.
    Avvistai la sua singolare capigliatura verde oltre la folla e mi affrettai a raggiungerlo. Era in compagnia di uno strano figuro.
    “Jacen! Ti ho trovato. E lei chi sarebbe? Si allontani subito da mio figlio.” gli parlai con astio, spostando malamente la mano che teneva appoggiata sulla sua spalla.
    Aveva un bizzarro turbante che andava a coprire anche il volto. Solo gli occhi erano visibili e mi trasmisero una sensazione di allarme, ma allo stesso tempo, non di pericolo imminente.
    “Aspetta mamma, non è come pe…” Lo sconosciuto approfittò di un minuscolo attimo di disattenzione per fuggire via. Si dileguò felino in mezzo alla folla. Il mio primo istinto fu quello di seguirlo, ma la mano di Jacen stretta nella mia mi convinse a desistere. Feci uno sforzo enorme a lasciarlo andare. Avrei voluto sapere molto di più su di lui. “Mi ha salvato mamma, non voleva aggredirmi!” la sua voce mi riportò alla realtà.
    “Salvato? Che cosa stavi combinando? Ti ho detto mille volte di essere prudente…”
    “Ehm…veramente un bambino aveva bisogno di aiuto e… mi sono messo in mezzo. Ma loro erano troppi… e allora quel signore mi ha aiutato.”
    Facevo bene a preoccuparmi, perché lui era riflessivo di carattere, ma di fronte alle ingiustizie, non riusciva a trattenersi. E finiva sempre per rischiare grosso.
    “Non avevo dubbi che ti saresti messo in mezzo. Ma per una volta, puoi pensare anche ai rischi? So che vuoi aiutare chi ne ha bisogno e questo ti fa onore, ma sei ancora un bambino e i pericoli sono tanti. Adesso andiamo a casa… è meglio così per oggi.” lo guardai con intensità. Lui annuì triste. Ero certa che avesse compreso il senso delle mie parole e sperai le avrebbe messe anche in pratica.
    Non potevo neppure paventare l’eventualità di perderlo. Già vivevo con un cuore a metà, Kanan lo aveva portato con sé. Ma se anche Jacen mi avesse lasciato, sarei morta insieme a lui, perché senza cuore non si può vivere.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 25/3/2024, 20:10
  5. .
    :Jyn:
    Un'oscurità densa come la pece mi avvolge nel mio evidente stato di incoscienza. Il corpo non ha peso né consistenza. Serie di immagini e suoni si sovrappongono creando una cacofonia insopportabile. Se avessi le mani mi coprirei le orecchie, se avessi gli occhi, serrerei le palpebre. Non ce la faccio più.
    Continuo a vedere in sequenza la nostra nemica alzare il blaster contro Amilyn, fare fuoco e il raggio laser rosso giungere verso di noi con una lentezza inesorabile.
    Io mi sporgo, temo di non agire in tempo. E poi una sofferenza atroce mi attraversa e mi impedisce di pensare.
    Basta, basta… non voglio più rivivere quel momento.
    Una voce… Cassian che mi parla disperato, che mi supplica di non mollare, che mi sorregge con una tenerezza che di norma non gli appartiene… il mio cuore rallenta, ma non molla. Ogni singolo battito è ancorato alla voce inconsolabile di Cass… non posso deluderlo. Non posso andarmene. Devo resistere.
    Il buio continua ad essere buio, le immagini vorticose, insieme ai suoni, arretrano e piano piano spariscono.


    E poi, una piccola scia di luce accompagnò il mio ritorno. Il freddo sparì e i contorni dei miei piedi, di un letto di ospedale iniziarono a delinearsi.
    Il mio corpo ancora non rispondeva ai comandi del cervello. Un attimo di panico mi assalì.
    “Cosa mi è accaduto? Perché non riesco a muovermi?”
    Sentii un calore molto piacevole alla mano, il profumo speziato di Cassian mi raggiunse poco prima che i suoi occhi si disegnassero nei miei.
    Sorrisi, sperai non fosse solo nella mia mente, sperai che lui potesse vederlo.
    E sì, lo aveva notato… perché la sua espressione preoccupata si addolcì e provò a sorridere anche lui, ma non gli riuscì tanto bene.
    Provai a parlare, ma le corde vocali mi tradirono e ne venne fuori un suono gracchiante.
    Cass mi accarezzò la fronte, i capelli.
    “Ferma, non parlare. Non ti sforzare!” quasi non sembrava la sua voce, tanto era preoccupato.
    Io, come al solito, non gli diedi ascolto e ci riprovai.
    “Sto… bene. Stai… tranquillo” tentai di calmarlo prima che gli venisse un infarto. Avrei voluto accompagnare il tutto con una nota di ironia per alleggerire la tensione, ma non ne fui capace.
    “Certo, ti credo sulla parola…” Mi rispose lui con una nota di sarcasmo.
    Dovevo essere in pessime condizioni…
    “Vado a chiamare l’infermiera.” Non glielo lasciai fare! Lo trattenni per come potevo stringendo il suo polso. Lui mi osservò confuso…
    “Non… andare” la mia sembrava quasi una supplica. Allora lui comprese e si limitò a premere sul bottoncino rosso per chiamare chi di dovere. Il mio risveglio doveva essere un evento importante…
    Non mi interessava chi sarebbe arrivato… stuoli di medici e infermiere. Lui da qui non si sarebbe mosso.
    Dovevo parlare con lui, dovevo dirgli un sacco di cose.

    Dopo un paio di ore, finalmente il medico se ne andò. Mi aveva fatto un sacco di domande e mi aveva visitato. Mi sarei ripresa. Perfetto! Attesi con impazienza che Cass rientrasse. Avevo lasciato la sua mano durante la visita, solo con la condizione che sarebbe tornato subito dopo. E così fu.
    “Sei qui…” dissi con voce flebile e un sorriso. Da quanto non gli sorridevo? Forse prima di tutta quella tragedia non lo avevo mai fatto. Adesso e ne pentivo.
    “Ti ho promesso che sarei tornato. Come ti senti?”
    “Sto bene… e starò sempre meglio. Hai sentito… il dottore.”
    Speravo che quella rassicurazione bastasse…
    Parve rilassarsi un attimo.
    “Devo parlarti…” iniziai, ma lui mi interruppe.
    “Adesso devi solo riposare… ci sarà tempo per parlare.” Mi rispose con dolcezza.
    Alzai gli occhi al cielo.
    “No, non voglio aspettare. È quando credi di avere tempo e poi… rimandi, che capisci di non avercene più. Guarda cosa è successo. Sono stata una stupida…”
    “Va bene, parliamo. Ma non ti dare della stupida perché altrimenti dovremmo farlo in due.” Cassian tentò di alleggerire i toni per farmi sentire meglio. Poi mi scostò delle ciocche di capelli dal viso e le portò dietro l’orecchio. Era strano vederlo in quella veste, così premuroso. Mi sentivo più leggera. Forse perché non avevo più il peso della corazza che avevo eretto, forse perché mi ero liberata da tutta la rabbia che mi trascinavo dietro come una zavorra.
    Non avevo le forze per continuare a combattere, ma cosa più importante, avevo capito che non aveva più senso farlo.
    “Ok, allora siamo stati due stupidi… ti ho visto quando mi hanno colpita. Ho visto la disperazione nei tuoi occhi. Ho rischiato di non vederti più, dopo quel pugno, dopo tutte quelle accuse… scusami…”
    Cassian distolse lo sguardo, consapevole di avere negli occhi ancora lo stesso lacerante dolore.
    “Mi sono sentito morire anche io...” confessò in un sospiro. “Ma non scusarti. Siamo ancora qui.” Tornò a guardarmi con espressione contrita ma, adesso, più serena.
    Allungai una mano a cercare la sua. Avevo una domanda che mi tormentava e che, presa dalla collera, non gli avevo mai fatto apertamente.
    “Perché non mi hai cercata subito dopo, Cass? Forse… non vuoi parlare di questo, ma è un dubbio che mi tormenta e che non riesco a spiegarmi. Soprattutto dopo aver visto come hai reagito qualche giorno fa… insomma, sembrava ti importasse di me…” conclusi in un soffio, quasi timorosa di dar voce ai miei pensieri.
    Cassian strinse forte la mascella per la tensione, ma ricambiò con delicatezza la mia stretta. Sembrava che tra le mie dita, ancorate alle sue, potesse trovare la forza di rispondere. Prese un respiro profondo prima di parlare.
    “Quando ti ho costretta ad andartene ero certo che non sarei mai riuscito a sopravvivere. Non ricordo molto di quei momenti concitati, ero già ferito, ma poi sono stato sbalzato ancora da un’altra onda d’urto che mi ha fatto battere la testa e perdere i sensi. Quando mi sono risvegliato, ho scoperto di essere stato in coma per tre mesi… L’onda d’urto però mi aveva scaraventato vicino all’ultimo convoglio in partenza e uno dei passeggeri aveva rischiato tutto il carico umano pur di mettermi in salvo.” Ebbe bisogno di una pausa. Pronunciare quelle parole non doveva essere semplice. “Dopo tre mesi di coma, tante ferite erano ormai guarite, ma il mio corpo era comunque ridotto a un rottame. Le ossa distrutte non si erano ancora riassestate a dovere e la riabilitazione è stata lunga, dolorosa… molto dolorosa. Ho iniziato a cercarti, nonostante mi trovassi in un pianeta agricolo e senza particolari mezzi, ci ho provato. Il mio unico pensiero era quello di trovarti per sapere come stavi e dirti che ero ancora vivo. Il dolore, però, era forte, così ho iniziato a prendere degli antidolorifici per velocizzare la ripresa… ma ho perso il controllo, ne sono diventato dipendente…” Non aveva il coraggio di guardarmi, i suoi occhi erano fissi sulla punta degli anfibi, anche se con la mano non smetteva di disegnare piccoli cerchi sul mio polso. “Non riuscivo a contattarti, non riuscivo a rimettermi in sesto, e più prendevo pillole per stare meglio, più mi gettavano nel baratro della sofferenza. Ci sono stati momenti in cui ho desiderato essere morto su Scarif…”
    Quell’ultima frase acuì il mio senso di colpa. Aveva vissuto l’inferno in terra dopo essere scampato alla morte e io non avevo fatto altro che accusarlo, senza fermarmi ad ascoltare. Una volta, lui aveva provato a spiegarmi… ma io ero stata accecata dal mio egoismo. Lui non aveva insistito, al contrario, si era chiuso ancora di più in sé stesso.
    “Adesso capisco perché lo hai fatto, però hai sbagliato Cass e te lo ribadisco. Ma non per i motivi che ti ho vomitato addosso fino ad oggi. Non più. Se fossi venuto a cercarmi allora, non avresti dovuto affrontare tutto da solo. Avresti potuto avere una spalla a cui sorreggerti, proprio come abbiamo sempre fatto in battaglia!” gli strinsi più forte la mano e gli occhi diventarono lucidi. “Scusa se non ti ho dato modo di parlarmene prima. Ti ho chiuso fuori…”
    “Sono stato orgoglioso. Ho fatto vincere la vergogna, e anche adesso, dirtelo mi fa così male che sembra non sia passato nemmeno un giorno da allora. Invece, avrei dovuto darti più fiducia, ho sbagliato lo so. Adesso lo so e forse ho meritato di essere chiuso fuori…” Le sue parole erano piombo fuso sul mio cuore. Mi sembrava di percepire il suo stesso dolore. Mi portai il suo palmo sulla guancia e il calore mi trasmise la forza che volevo dare a lui.
    “Non meriti nulla di quello che ti è capitato. La vita, a volte, è tiranna e vuole solo togliere, ma dipende da noi consentirlo o meno.” Sembrava che fosse un’altra persona a parlare al posto mio. Sembrava che un’altra Jyn fosse emersa di fronte alla sua sincerità, ma sapevo che non era finita. Avevamo ancora un lungo cammino davanti a noi. Ero certa però, che percorrerlo insieme, l’una accanto all’altro, sarebbe stato meno gravoso che farlo da soli. Ognuno immerso nella propria catarsi personale.
    “Facciamo un patto: io abbasso lo scudo, apro la porta che ho sbarrato con prepotenza e tu mi prometti di entrare. Io sarò qui ad attenderti. Che ne pensi?”
    Un leggero sorriso che, di rado concedeva, si fece largo a rilassare la sua espressione perennemente corrucciata.
    Era la risposta che mi serviva.
    Non sapevo dove il nostro “accordo” ci avrebbe portato, né se mi avrebbe aiutato a definire questi strani sentimenti che in me erano nati e cresciuti, ma di una cosa ero certa: non avevo più intenzione di lasciarlo solo con il suo dolore.


    ᴄᴏɴᴛɪɴᴜᴀ ǫᴜɪ: 𝐈𝐭𝐡𝐨𝐫



    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 25/3/2024, 20:12
  6. .
    :Selene:
    Ero seduta di fronte all'elegante toeletta di cristallo e specchi nella mia camera. Avevo appena fatto delle abluzioni con Sali profumati e adesso stavo acconciando i miei lunghi capelli dorati. Avrei potuto avere stuoli di servitori e cameriere, ma adoravo la solitudine raccolta di quei momenti. E adoravo l’impegno che ci mettevo in ogni singolo gesto.
    Mi osservai con attenzione e potei notare, oltre alla mia diafana bellezza, la solita vena di malinconia che colorava i miei occhi e la mia espressione.
    Era questa che aveva spinto i miei sudditi a regalarmi l’appellativo di “principessa triste”. Io fingevo di non sapere e di ignorare tali pettegolezzi. Non avevo nessuna intenzione di dare giustificazioni false o ulteriore importanza a dicerie senza senso.
    Una cosa, però, era certa: la tristezza che tutti mi attribuivano non era altro che stanchezza.
    Erano anni che lottavo strenuamente affinché le cose cambiassero. Affinché i miei genitori riconoscessero che loro non erano migliori di altri e non avevano nessun diritto di prevaricare il prossimo, a cominciare dai nostri fratelli di Nemesis e finendo con la Terra e gli esseri umani.
    Ero esausta di continuare a combattere da sola, ma non mi sarei mai arresa. Tutti gli ostacoli non mi avrebbero impedito di continuare a tentare. Non esistevano razze migliori o peggiori. Ma erano proprio le differenze tra i popoli ad arricchire il confronto e tutti noi avevano diritto a questa chance di evoluzione.
    Gli oscuri stavano mettendo in atto ogni sorta di malefatte per impedire ai terresti di proseguire lungo il cammino dell’ascesa dimensionale, ma chi erano loro per decidere le sorti di un intero pianeta? E ancora più grave, chi erano gli imperatori della Luna per impedire che venissero aiutati, perché considerati inferiori?
    Mi posi una mano sul petto per calmarmi. I battiti erano accelerati e dovetti fare uno sforzo immane per ritrovare il controllo.
    In quei giorni avremmo avuto la possibilità di riunirci per mettere tutto sul tavolo e decidere la strategia migliore per il futuro.
    Tornai a guardarmi nello specchio, gli occhi della malinconia erano spariti per lasciare spazio al furore della determinazione. Non avremmo avuto altre occasioni e non volevo proprio sprecarla.
    Dovevamo confrontarci con Nemesis e trovare un punto comune di azione. I miei genitori non potevano continuare sulla scia degli antichi rancori.
    La piena responsabilità di quanto sarebbe accaduto era sulle mie spalle e quelle di Lucifer, principe di Nemesis.
    Ero addirittura arrivata alla scelta estrema di organizzare un finto rapimento, per poter parlare con i reggenti i Nemesis, ma per fortuna avevamo avuto una notizia migliore: Astrea, la sorella di Lucifer, era riuscita a organizzare questo grande incontro tra le nostre fazioni e tentare una riconciliazione.
    L’acconciatura era perfetta e mi apprestai a indossare l’abito che era stato confezionato appositamente per quella sera: un lungo vestito di seta dal colore cangiante tra il lucido candido del tessuto e sfumature di un azzurro leggero, le spalline di velure e un decolté non troppo profondo. La sobrietà non doveva inficiare l’eleganza richiesta dai protocolli di corte per quelle occasioni. Il gran Gala stava per avere inizio e tutti avevamo bisogno di un po’ di tregua, dopo giorni di preparazioni estenuanti.

    Improvvisamente, la presenza di tutta quella gente mi causò un capogiro. Era davvero dura essere rimpallata tra gli esponenti della Luna del lato chiaro e quelli del lato scuro. Si stava tentando di creare distensione, era pur sempre una festa no?! Eppure, sembravano tutti sul filo del rasoio, pronti a sputarsi addosso quello che realmente pensavano l’uno dell’altro. Avevo provato a resistere e alleggerire i toni, ma adesso necessitavo proprio di una pausa.

    Quando arrivai su uno degli affacci a est del palazzo, il mio preferito, mi resi conto che qualcun altro aveva trovato il luogo con la vista più bella.
    Lo riconobbi subito. Lucifer si stagliava di spalle davanti a a me. Fasciato da un elegante abito di velluto color della notte. Mi avvicinai a lui e palesai la mia presenza grazie al lieve tintinnio dei tacchi sul pavimento di cristallo.
    Mi tremò un po’ il cuore a stargli così vicino senza nessun altro in giro. Eravamo stati presentati in maniera molto formale qualche giorno prima, ma non avevamo avuto modo di incontrarci di nuovo.
    Scoprii quanto era facile parlare con lui. Scherzammo delle nostre battutine stupide e ci confrontammo amabilmente sulle nostre rispettive famiglie.
    Notai che avevamo davvero un sacco di punti in comune e per un brevissimo istante provai a non sentirmi sola contro tutti.
    Quando alla fine, mi definì una sua alleata ebbi un piccolo sussulto.
    Mille dubbi mi affollarono la mente e la sensazione di non essere sola, tornò prepotente a bussare alla porta del mio cuore.
    Non mi volevo illudere. Sapevo che stavamo per affrontare un incontro epocale, che mai era avvenuto prima negli annali della nostra storia eppure… fino a qualche ora fa sentivo che tutto potesse crollare da un momento all’altro. Che l’equilibrio precario faticosamente raggiunto potesse sgretolarsi in minuscoli granelli di sabbia… e adesso? Una fiammella di speranza animò il mio sguardo e un sorriso carezzò le mie labbra.
    “Spero ti riferisca a me come ad un’alleata per portare la pace e non solo un’alleata di sventure, visto le famiglie che ritroviamo!” aggiunsi con un pizzico di ironia…
    Dovevo esorcizzare le emozioni prorompenti che mi avevano avvolto quando mi ero accorta di essere fin troppo vicino al suo viso, alle sue labbra. Mi sovrastava di una spanna e io potevo ritenermi tutto fuorché bassa, ma lui era lì, a guardarmi con due occhi tanto intensi…
    Poi, la mia battuta ottenne il risultato sperato: si riscosse e tossicchiò leggermente. Tornando a guardare di fronte a sé.
    Io tirai un profondo sospiro di sollievo.
    Odiavo sentirmi vulnerabile e quello non era il momento adatto per cedere a stupide sensazioni o sentimentalismi.
    “L’alleanza che mi aspetto da te ha molte sfumature. Possiamo fare grandi cose insieme. Da anni lottiamo contro i pregiudizi e i rancori che hanno legato e diviso il nostro popolo…” il suo ardore era palpabile, ma gli posi un mano delicata sull’avambraccio per fermare il suo discorso.
    “Credimi, io la penso esattamente come te… non sono io quella da convincere. So bene che il nostro popolo è uno e queste assurde divisioni sono solo una scusa per non affrontare la realtà"
    Strinsi leggermente la presa per fargli notare la mia vicinanza, ma fu un gesto avventato. Perché l’elettricità che poco prima avevamo spezzato, tornò ad avvolgerci…
    “Hai ragione, principessa. Dovrei attendere fino a domani per la mia convincente arringa. Questa sera dovremmo solo rilassarci e tentare di goderci la festa. Che ne dici?” Mi rispose con un sorriso ammaliatore.
    Feci per togliere la mia mano dal suo braccio, ma lui con un gesto casuale vi posò sopra il suo palmo e me lo impedì.
    Io repressi un minuscolo moto di stupore.
    “D’accordo… potremmo solo per una sera dimenticare di essere il principe Lucifer e la principessa Selene. Potrebbe funzionare…” non era una domanda la mia, bensì una constatazione. Solo la sua presenza mi risvegliava un senso di sicurezza e protezione, quando avrebbe dovuto essere un mio nemico giurato.
    Svuotai la mente e mi obbligai a non razionalizzare troppo quanto stava accadendo e quanto stavo provando.
    Feci un profondo sospiro e mi concessi un unico istante di serenità, come non avevo da tempo immemore.
    Appoggiai il capo alla spalla di Lucifer e mi lasciai cullare dal suo calore e dal suo respiro pieno.
    Un panorama mozzafiato ci scorreva davanti e mi trovai a desiderare ardentemente che quel momento non finisse mai.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 17/4/2024, 11:28
  7. .
    :Mara:
    Il dolore alle tempie fu lancinante e mi costrinse a sorreggermi la testa con una mano e piegarmi in due. Non persi la presa sulla spada, ma di sicuro avevo abbassato la guardia. Imperdonabile!
    Ritornai in posizione e lo attaccai con irruenza e lo accusai senza pietà.
    Cos'era quello che avevo visto? Ancora sentivo il calore delle sue mani su di me, il cuore che batteva all’impazzata, i suoi baci umidi sulle mie labbra. Mi sentii sopraffatta e, in effetti, i miei movimenti risultavano sicuramente più meccanici e imprecisi del solito.
    Il desiderio che avevo provato per lui era tatuato sulla mia pelle. Sentivo ancora il suo corpo scolpito sotto le dita a definirne i dettagli.
    Tentai di sfuggire a un suo attacco ma, senza volerlo, mi ritrovai di nuovo sua prigioniera.
    Nemmeno mi sfiorava, ma io lo percepivo come se mi stesse accarezzando leggero e lo faceva con il potere della Forza. Mi teneva ferma e proprio nel momento in cui i miei occhi incontrarono quelli liquidi di lui, venni investita da un’altra potente visione.
    Il respiro mozzato nel petto. Una sofferenza indicibile. Quel Jedi tra le mie braccia, morente, che mi incoraggia, che mi osanna, che mi adora… e io che lo sfioro con dolcezza, lo abbraccio, lo bacio, lo supplico di non lasciarmi, lo amo disperatamente… e disperatamente temo di perderlo per sempre.
    Aveva nominato proprio quel momento su Orax, e lo aveva definito l’inizio di tutto, ma di cosa? A cosa saremmo arrivati e da dove saremmo partiti? Il suo sorriso placido mi salutò nella visione, proprio poco prima di scomparire.
    Ritornai alla realtà, in maniera tanto brusca da non riuscire a respirare. Mi trovai davanti il volto cesellato di Luke Skywalker e non potei fare a meno di pensare a quanto fosse bello, a quanto lo avessi amato nel sogno a occhi aperti che avevo appena fatto. Il dolore era ancora marchiato a fuoco nella mia anima. Ma perché dovevo soffrire così, perché?
    Luke, però, non aveva nessuna espressione stranita addosso… come era stato per la prima visione. Quella l’avevamo vista entrambi, mentre adesso, solo io lo avevo accompagnato nel suo letto di morte.
    Quindi, non era lui direttamente la causa di tutto questo, ma era lui certamente che aveva scatenato, seppur involontariamente il fenomeno. Era quella connessione sottile nella Forza che ci aveva fatto vedere qualcosa del futuro? Oppure, era tutta una montatura per distrarmi, per farmi perdere di vista il mio scopo.
    Io dovevo ucciderlo! Era la mia preda da tempo immemore. Nulla di quanto avevo visto poteva essere vero! Era molto forte e di sicuro sapeva manipolare la Forza a suo piacimento. Non avevo mai visto nulla del genere, però…
    Ero confusa. Avrei voluto urlare ed esprimere tutta la mia frustrazione, ma non volevo sottolineare il mio stato d’animo, mostrando così debolezza.
    Raccolsi tutte le energie che mi rimanevano e le proiettai verso l’esterno.
    Mi liberai dalla sua presa. Non gli avrei permesso di continuare a toccarmi, neppure con il soffio di Forza che emanava. Era come fuoco sui miei polsi e come spine nel mio cuore.
    Lo scaraventai a terra, a pochi passi da me.
    Riattivai la mia spada e gliela puntai contro. Avrei dovuto attaccare, avrei dovuto approfittare del suo momentaneo attimo di stordimento, avrei dovuto UCCIDERLO! Ma non feci nulla di tutto questo.
    Le mani tremavano e i piedi non accennavano a scollarsi dal suolo. Il respiro affannoso danzava all’unisono con lo scorrere furioso del sangue nelle tempie.
    Poco prima che potessi decidere di far qualcosa di sensato, mi arrivò un messaggio di Shin. Chiedeva aiuto. Aveva perso la diplomatica e stava combattendo con dei nemici.
    Rimasi per un attimo interdetta, poi mi riscossi. Il tempo della stasi era terminato. Dovevo passare di nuovo all’azione, oppure mi sarei persa per sempre.
    Notai che anche Luke aveva ricevuto un messaggio, lo sentivo. Con ogni probabilità non era solo sul pianeta e Shin stava lottando proprio contro i suoi alleati.
    Non persi altro tempo. Dovevo scrollarmi di dosso quel dannato senso di colpa per non aver portato a termine la mia missione, per avendola su un piatto d’argento davanti ai miei occhi.
    Corsi in direzione di Shin, verso dove sentivo arrivare l’impronta della sua aura e feci in tempo a vedere un movimento sincrono e fluido da parte di Luke. Stava facendo esattamente lo stesso. Correvamo quasi gomito a gomito, per andare ad aiutare le nostre fazioni, che erano nemiche, avverse eppure… non avevo nessuna intenzione di attaccare “lui”. Al solo pensiero mi tremava il cuore.
    “ti stai rammollendo mia cara Mara… sei proprio messa male!”
    Arrivammo sulla scena allo stesso momento e Shin mi piantò i suoi occhi gelidi addosso, squadrando dopo di me anche Luke. Non so che idea si fece, ma non restai oltre a rifletterci su.
    La spada laser era già attivata e scintillante e mi lanciai al fianco della mia compagnia di missione. Non era in buone condizioni. Aveva delle escoriazioni e degli arrossamenti sul viso e su una spalla. Evidentemente lo scontro era stato arduo e impari. Di fronte aveva due avversari.
    Li osservai e mi misi tra loro. Una ragazza stava sorreggendo la diplomatica con un braccio attorno al collo e un giovane mi osservava con fare minaccioso.
    Luke li affiancò. Non aveva nemmeno l’arma spianata. Che presuntuoso! Si assicurò che i suoi stessero bene e un nodo mi si strinse nello stomaco, quando notai lo sguardo dolce che rivolse alla giovane donna.
    Ci teneva a lei…
    “Shin, stai bene?” dissi rivolta alle mie spalle. Lei respirava a fatica, ma ero certa non avrebbe mai ammesso di stare male, neppure in punto di morte.
    “Me la cavo! Ma non possiamo lasciarli fuggire. Dobbiamo fermarli!” disse con voce strascicata e sputando del sangue.
    Mentre tenevo ancora sott’occhio i nemici con la luce magenta della mia arma, la presi sotto braccio e le consentii di appoggiarsi a me.
    “Hai bisogno di cure urgenti. Dobbiamo andare.” sussurrai in maniera quasi impercettibile. Non mi capacitavo neppure io della mia decisione, ma non potevo combattere ancora, non contro di “lui”.
    Con la coda dell’occhio notai un movimento improvviso del giovane uomo appena incontrato. Aveva sollevato il blaster per sparare, ma Luke lo bloccò di rimando, impedendogli di fare fuoco direttamente su di me. Lui lo guardò allibito e quell’unico atto di disattenzione fu fatale.
    Ero rimasta troppo stupita dal gesto del Jedi e non notai Shin, che aveva posato la sua spada arancione e aveva teso un blaster, sparando in direzione della diplomatica.
    Tutto si svolse così rapidamente da lasciarmi senza fiato.
    La ragazza che stava sostenendo Amilyn Holdo si sporse verso di lei e le fece scudo con il suo corpo, ricevendo in pieno il raggio laser. Un urlo atroce trafisse i miei timpani e il tempo si congelò.
    Shin, dopo quello sforzo, si afflosciò su di me priva di energie.
    “Che cosa hai fatto?” urlai con una voce che non sembrava neppure la mia.
    “Non devono… vincere… loro…” Mi rispose in un soffio.
    Ero rimasta senza parole di fronte a un ragionamento tanto estremo.
    Ma cosa stava cambiando dentro di me?
    Non avevo il tempo di crogiolarmi in quei pensieri.
    Feci l’unica cosa possibile per non diventare subito preda di ritorsioni più che giustificate da parte dei nostri avversari.
    Agganciai la spada alla cintola e lasciai andare per un istante Shin al suolo. Poi emanai una potente onda d’urto nella loro direzione, per poi sollevare uno scudo di energia con entrambe le mani.
    Ormai mi aspettavo di tutto. Le ultime cose che vidi furono: il ragazzo che avvolgeva tra le sue braccia le due compagne ferite e tentava di attutirne la caduta; gli occhi cristallini di Luke che mi trafissero come aguzze stalattiti.
  8. .
    :Mara:
    Sentivo goccioline di sudore ricoprirmi il volto, il collo e scivolare giù lungo la spina dorsale. Mi stavo allenando già da quattro ore di fila il mio corpo iniziava a chiedere un po’ di pietà.
    Ero stanca, ma avrei continuato a dare calci a quel fantoccio di legno e paglia, ad addestrarmi all'uso della spada.
    L’Imperatore aveva riposto enorme fiducia in me e io non avevo nessuna intenzione di fallire.
    Mi aveva strappato a una vita di miseria e stenti, mi aveva ripetuto più volte.
    I miei genitori erano poveri e, sebbene riluttanti, mi avevano consegnata a lui.
    Non ho mai saputo se era stato affetto puro a spingerli a farlo, nella speranza di darmi un futuro migliore, oppure la disperazione per togliersi di mezzo una bocca in più da sfamare.
    Non avevo conosciuto le carezze di una madre e il supporto di un padre, ma avevo messo tutto in secondo piano, perché la Forza che scorreva in me era un dono raro e Palpatine mi avrebbe aiutata a espanderla e sfruttarla al meglio.
    Era per quello che mi allenavo fino allo sfinimento. Non volevo e non potevo deluderlo…
    Mi aveva fatto una sola richiesta in cambio del suo aiuto: “segui i miei ordini e non te ne pentirai. Ti insegnerò le vie della Forza e il potere sarà tuo”. Quello era diventato il mantra che mi aveva accompagnato durante la mia giovinezza fino a quel momento. Non era il potere fine a sé stesso a destare il mio interesse, ma la facoltà di poter gestire l'energia prorompente che scalpitava dentro di me.
    Ufficialmente ero una danzatrice di corte, ma era solo una copertura. Nessuno doveva sapere del mio addestramento segreto. Ero diventata l’agente personale di Palpatine e per suo conto avevo svolto innumerevoli compiti, affinché la solidità del suo dominio non venisse meno.
    Mi fermai di colpo, con il fiatone che ancora mi spezzava il respiro. Appoggiai i palmi sulle ginocchia e mi diedi un attimo di tregua.
    In quel momento, il portavoce dell’Imperatore, l’unico a sapere di me, si avvicinò e con voce greve, mi comunicò di essere stata convocata da Palpatine. C’era una missione molto importante ad attendermi.

    Solo dopo poche ore dall’incontro, mi trovavo nella mia stanza a guardare il soffitto sontuoso. I capelli color del fuoco erano sparsi sul cuscino e alcune ciocche tormentate dalle mie dita. Riflettevo furiosamente. Afferrai poi la spada laser, sempre fissa alla mia cintola e la attivai. Mi specchiai nel color magenta della lama incandescente…era una tonalità molto strana, forse mai vista tra i force users. Non era viola e non era rossa… il mio mentore aveva minimizzato, senza mai rispondere davvero alle mie innumerevoli richieste, ma io non mi davo pace. La spostai da destra a sinistra e mi lasciai ipnotizzare dal suo movimento fluido. Un volto si materializzò nella scia elettrostatica: Luke Skywalker. I suoi occhi azzurri mi avevano colpito per la loro lucentezza, erano come mare color cristallo.
    Ancora non capivo il motivo per cui l’imperatore lo odiasse tanto, ancora di più, non sapevo il pericolo che potesse rappresentare, ora che l’Ordine Jedi era stato messo al bando e tutti i suoi componenti erano braccati e in fuga. Lui non aveva un esercito, non aveva più nulla. Perché lo temeva a tal punto da affidarmi questa missione, che aveva definito “di vitale importanza”?
    Tutta questa solerzia e addirittura ossessione aveva risvegliato la mia innata curiosità. Volevo incontrare Luke e comprendere cosa avesse di così tanto speciale. Chissà, l’occasione avrebbe potuto essere dietro l’angolo…
    […]
    Così non era stato. Palpatine era morto e l’Impero ridotto a brandelli, ma io non mi ero arresa. Dopo alcuni anni dedicati al contrabbando, mi ero unita a ciò che del sogno dell’Imperatore era rimasto e mi dedicai a svolgere delle missioni sotto la guida dell'ammiraglio Gallius Rax.
    In fondo, non avevo dimenticato il mio ultimo scopo.
    Mi ero messa più volte sulle tracce del Jedi, ma non era semplice scovarlo e seguirlo.
    Avevo inviato delle cellule segrete per trovare delle informazioni e, in alcuni casi, ucciderlo. Tutti avevano sempre fallito. E poi, scompariva nel nulla e passavano periodi davvero molto lunghi, prima di riuscire a individuare qualche altro piccolo indizio su dove trovarlo. Era a dir poco frustrante.

    La mia mente era persa proprio in questi pensieri quando, accanto a Shin, una Force user potente anche se ancora acerba, stavo raggiungendo il pianeta Orax.
    Era previsto un comizio ufficiale della Repubblica. E noi avevamo una missione di depistaggio da svolgere ai danni dei Ribelli.
    Il nostro compito era fingerci proprio alcuni di loro durante un intervento diplomatico. Solo così, la Nuova Repubblica avrebbe preso sott’occhio questa frangia indipendente di combattenti e noi, con i nostri piani di ricostruzione dell’Impero, saremmo passati inosservati.
    La ragazza al mio fianco non era di molte parole, ma nemmeno a me interessava fare conversazione. Avevo in mente solo la missione e nient’altro…

    L’esplosione, avvenuta durante il comizio di Amilyn Holdo, era stata devastante.
    La carica era stata fatta saltare a una certa distanza dal palco di fortuna che era stato messo su ed era esplosa su un’ala laterale dell’area, attorno alla gente che stava assistendo.
    Mi ero raccomandata che venisse posta nel punto più marginale possibile, ma la mia indicazione era stata disattesa o forse modificata in corso d’opera. Era troppo vicina, dannatamente vicina.
    Una rabbia cieca mi avvolse e strattonai Shin per un braccio.
    “Chi diavolo si è occupato della carica? Era troppo vicina! I civili non dovevano essere il bersaglio principale, ne è venuta fuori una strage!” il mio volto era trasfigurato dalla collera. Incontrai gli occhi gelidi di Shin. Non era minimamente toccata dall’evento.
    “Sono solo un effetto collaterale. La missione è riuscita! Vado sul palco a vedere se qualcuno è sopravvissuto, sarebbe interessante avere qualche prigioniero della Nuova Repubblica!” Un ghigno le si disegnò sul viso e io, che avrei voluto urlare e prenderla a schiaffi, mi limitai a rispondere:
    “Vengo con te!” volevo assicurarmi che non uccidesse a sangue freddo nessun altro. Non mi sarei stupita del contrario.
    Mi ritrovai a riflettere mentre la seguivo. Perché quelle morti mi toccavano tanto? Io stessa avevo ucciso spietatamente e mai avevo avuto un rimorso o una remora. Non uccidevo con il sorriso sulla faccia, ma non mi ero neppure tirata indietro davanti a un incarico. Cosa c’era di diverso adesso? Mi riscossi.
    Amilyn Holdo era riversa a terra ferita, ma ancora viva. Ci dirigemmo verso di lei e proprio in quel momento una fortissima onda di energia mi colpì. Era potente e profonda. Non sapevo a cosa fosse dovuta, ma percepii chiaramente fosse una manifestazione della Forza. Non eravamo i soli Force users su quel pianeta ed erano piuttosto vicini.
    Anche Shin lo aveva notato e mi guardò con sguardo interrogativo.
    “Tu porta via la diplomatica, io cerco di attirare questa strana energia su di me. È meglio se ci dividiamo!”
    Mi fece un cenno di assenso, ma prima che si potesse allontanare troppo, la richiamai. Si voltò…
    “Shin… niente errori. Dobbiamo arrivare fino in fondo, senza sbavature. Intesi?” Lei parve quasi risentita di quel mio appunto e senza degnarmi di una risposta, corse in direzione di Amilyn.
    Una strana sensazione mi si muoveva nel petto. Ero agitata.
    Mi mossi rapida verso un punto ben preciso, quasi calamitata dall’impronta della Forza che aveva attirato la mia attenzione poco prima. La sentivo sempre più intensa e pulsava al ritmo forsennato del mio cuore.
    Mi trovavo in una zona più periferica. Lontana dalla baraonda dell’esplosione e del rastrellamento che le truppe della Nuova Repubblica stavano attuando contro chi ci aveva accompagnati in quella missione.
    Erano solo una copertura, capri espiatori messi lì per essere sacrificati sull’altare della causa. Le vere artefici di quel disastro, io e Shin, avevamo agito nell’ombra, ma era chiaro che qualcuno “al nostro livello” fosse sulle nostre tracce.
    Mi mossi guardinga, estrassi la spada laser e la attivai.
    La Forza che percepivo era sempre più intensa.
    E all’improvviso la visualizzai, prima nella mia mente, con il contorno di un volto dalla mascella decisa e occhi chiarissimi, come l’acqua cristallina; e poi in carne ed ossa, proprio di fronte a me. Un uomo alto e slanciato, avvolto in un mantello scuro mi fronteggiava. Nessuna arma spianata, ma ero certa ne avesse una. Solo un pazzo sarebbe corso ad affrontarmi senza essere armato.
    I ricordi di un vecchio ologramma solleticarono la mia mente…
    “Luke Skywalker” Un brivido intenso mi percorse la colonna vertebrale.
    L’unica missione, rincorsa per tutta la mia vita, era proprio davanti a me.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 7/3/2024, 19:46
  9. .
    :Jyn:
    I pugni erano serrati con forza e il cuore batteva all'impazzata. La frase di Luke mi rimbombava in testa come un tamburo. Era vero, stavamo facendo un lavoro a 360° sul mio carattere, sulla mia persona, sulla Forza che scorreva inesorabile nelle mie vene, ma c’era qualcosa che bloccava il percorso. Ed era la mia rabbia. Una collera repressa che affiorava ogni volta che si nominava Cassian o quello che era accaduto sul pianeta distrutto dalla Morte Nera.
    Prima che lui apparisse di nuovo, i sentimenti che mi animavano e mi tormentavano erano tristezza, malinconia e un cocente senso di colpa, che mi logorava il petto e l’anima. Quando, invece, avevo scoperto che era sopravvissuto e che si era fatto vivo dopo un tempo che mi era parso interminabile, la rabbia aveva pervaso il forte senso di sollievo.
    Ero un disastro emotivo e questa girandola di emozioni non mi stava aiutando per niente con il mio percorso per diventare una Jedi.
    Luke ci aveva provato a farmi fare pace con me stessa e con le mie sensazioni contrastanti. Mi aveva spinta a fare chiarezza e a fare quelle domande che mi ronzavano in testa come un tarlo rosicchiante.
    Ma io mi ero rifiutata di affrontare una realtà che mi faceva troppo male e questo era il risultato: una costante guerra fredda che logorava i nervi e il cuore.
    Luke era stato chiaro, era una cosa che dovevo risolvere da sola e prima l’avessi fatto e prima mi sarei liberata di un fardello.
    Cassian era appoggiato alla scrivania con finto fare rilassato. Le spalle erano rigide e le braccia conserte erano un muro invalicabile.
    Aveva provato a parlarmi. Aveva provato a cercarmi, ma la parete inarrivabile l’avevo costruita io, fatta di mattoni di ira e repressione.
    Lo avevo fisicamente aggredito. Non ero stata in grado di tenere a freno il mio furore.
    Il mio cuore era scoppiato di felicità nel saperlo sano e salvo, vivo. Lo avevo guardato: Era in forma, anche se due profonde occhiaie bluastre gli circondavano gli occhi e gli zigomi erano un po’ più scarni del solito. Era dimagrito, ma stava bene. Subito dopo, l’angoscia della perdita e della colpa si erano materializzate e avevo sentito il bisogno di sfogarla su un sacco da boxe. Ero fuggita via senza riuscire a dire neppure una parola. Lui mi aveva seguita e io lo avevo attaccato, con i pugni e con le parole taglienti della sofferenza. Dopo di che, il gelo. Una cascata di chiodi ghiacciati che ci separava inesorabilmente.
    “Luke crede che dovremmo parlare, noi due…” il mio timbro era atono.
    “Parlare, mi sembra che ci abbiamo provato in passato… o meglio ci ho provato, con scarsi risultati.” La sua voce voleva essere altrettanto inespressiva, ma percepii un leggero sfondo di nervosismo.
    Potevo capire di cosa si trattava, perché era lo stesso che succedeva anche a me.
    “Hai ragione… forse quando ci siamo rivisti, sono stata un po’ troppo… impulsiva.” concessi con enorme sforzo, quando l’unica cosa che desideravo era fuggire da lì a gambe levate. “Ma questa guerra fredda tra noi, non ci porterà da nessuna parte” lo stavo dicendo ad alta voce, ci credevo davvero, ma i denti stridevano per la rabbia che volevo trattenere a tutti i costi.
    Cassian fece un respiro profondo, quasi esasperato.
    “Un poco impulsiva? Mi sei saltata addosso come un gatto selvatico, se avessi avuto gli artigli non sarei qui vivo adesso.” Il tono forse voleva essere ironico, ma invece ne uscì sconcertato. Come sempre quando si rivolgeva a me. “No, questa guerra fredda non ci porta da nessuna parte, ma adesso non saprei proprio da dove iniziare... Mi hai chiuso la porta in faccia, ora la vuoi riaprire, ma solo perché a dirtelo è stato Luke...”
    La sua ultima frase fu come uno schiaffo. Ebbene sì, la verità faceva male e lui me la stava spiattellando in faccia senza alcuna pietà. Se non fosse stato per Luke, non avrei mai deciso di parlargli per riaprire ferite che credevo impossibili da risanare.
    “Hai dannatamente ragione! Parlare con te era l'ultima cosa che avrei voluto fare ma, riflettendoci su, credo davvero che dirci quello che pensiamo una volta per tutte, possa essere d’aiuto!” Ero serissima e mi avvicinai di qualche passo a lui. Con voce bassa aggiunsi: “Ogni volta che ti guardo, ti rivedo sul quel pianeta maledetto, ferito, che mi implori di lasciarti andare…e mi imponi di lasciarti morire. Io come una pazza, alla fine, ti ho dato retta e ho vissuto il resto dei miei giorni logorata da un senso di colpa insopportabile, per non parlare del….” “dolore di averti perso” avrei voluto aggiungere, ma mi trattenni. Poi proseguii. “E poi, un bel giorno torni… sano e salvo. Non una parola prima, non uno schifoso messaggio per dirmi di essere sopravvissuto. Non credo per te sarebbe stato difficile scoprire dove fossi. Eppure…” Respiravo a fatica e continuavo ad avvicinarmi a lui come se fosse una calamita, o una luce che avrebbe bruciato le mie ali di falena. “È questo che non riesco a perdonarti! L’ho detto!”
    Cassian stringeva i denti talmente forte che quasi potei sentirli scricchiolare. Era teso e nervoso. Eravamo come due corde di violino sul punto di spezzarsi.
    “Non mi hai dato nemmeno il tempo di spiegare cosa mi fosse successo e perché… non ti ho cercata dopo essermi ripreso. Forse, su quel pianeta, è come se fossi morto sul serio.” Sbuffò cercando di buttare fuori l’aria che aveva trattenuto troppo a lungo. “Hai deciso che ti ho tradita e abbandonata, l’hai deciso TU senza chiedere niente a me, hai fatto tutto TU, Jyn!” Notai che gli tremavano le mani, forse per la frustrazione.
    “Io non ho deciso proprio niente. Ho solo provato a sopravvivere, prima senza di te, con la consapevolezza che fossi morto, che ti avessi abbandonato, e dopo che sei tornato, con la furia che mi monta nel petto, ogni volta che ti guardo!” Non mi ero resa conto di aver alzato la voce e che mi ero avvicinata ancora. Eravamo divisi solo da un soffio di vento. “Non ho avuto modo di decidere. Tutto mi è crollato addosso e sono stata travolta! Queste emozioni sono…” Non ebbi il tempo di terminare il mio sproloquio, perché lui mi interruppe: le sue mani sulle mie guance, le sue labbra sulle mie, il suo calore mi incendiò come una scintilla con la paglia.
    Improvvisamente, ebbi una voglia sfrenata di piangere. Volevo urlare e versare tutte le mie lacrime disperate, ma la sua bocca me lo stava impedendo, non in modo dolce, ma con un bacio selvaggio e sfrontato. Dopo un primo attimo di smarrimento e dopo essermi impedita di abbracciarlo con tutta la forza che avevo in corpo, lo allontanai malamente e interruppi il nostro contatto. Sentii il vuoto, un baratro che ci avrebbe potuto inghiottire. La mia mente era una landa desolata, non riuscivo a riflettere con lucidità e feci quello che più mi veniva meglio: attaccare invece di parlare, assalire invece di chiarire.
    Gli assestai un pugno proprio all’altezza della mandibola. Non credevo se lo aspettasse, ma forse un po’ sì. Non si difese e mi lasciò fare.
    “Non sono ancora pronta a non odiarti…”
    Con quella laconica frase lo lasciai lì, con espressione addolorata e me ne andai.
    Non sarebbe stato semplice lavorare fianco a fianco. Avevo di nuovo deluso Luke, ma cosa più importante, avevo di nuovo deluso me stessa. Avevo fallito e il suo sguardo rassegnato e il dolore lacerante che sentivo all’altezza del cuore, ne erano la prova lampante.


    ᴄᴏɴᴛɪɴᴜᴀ ǫᴜɪ: 𝐎𝐫𝐚𝐱



    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 3/3/2024, 13:37
  10. .
    :Ishtar:
    L’abito di seta nera fasciava elegantemente il mio corpo per poi sfociare in una cascata di onde fino al pavimento. Il morbido tessuto mi sfiorava la pelle mentre camminavo spedita lungo il corridoio che portava alla sala delle riunioni.
    L’ambiente era buio, ma non cupo. Alcune spire di luce naturale riuscivano a penetrare e a creare giochi di bagliori e ombre. Solo nelle aree più profonde erano necessarie delle torce di fuoco verde, che perennemente ardevano per rischiarare il percorso.
    Le viscere di Plutone erano ben più accoglienti della superficie, totalmente inadatta alla vita e alla natura.
    Il Bastone di Pluto, ben saldo nella mia mano, produceva un tintinnio, ogni volta che toccava il pavimento di alabastro nero. Nella sala delle riunioni avrei trovato le mie sorelle.
    Era giunto il momento di agire in maniera concreta e proprio io avrei dovuto gestire la missione, assegnare i compiti e assicurarmi che tutto andasse per il verso giusto.
    Sentivo ancora risuonare dentro le ultime parole che la mia mentore mi aveva donato, insieme a una responsabilità enorme e quanto più gravosa.

    “Ishtar, non ci resta molto tempo. La nostra condanna è segnata e non ci sarà nessuna possibilità di appello. Siamo state giudicate colpevoli di tradimento e di azioni sovversive, quando il nostro intento era solo proteggere i nostri pianeti e la nostra gente. Ma noi siamo Guerriere, abbiamo un compito molto più importante, che va al di là del volere di un Imperatore visionario e ingiusto. Purtroppo, noi non potremo più farlo, non ci sottrarremo alla pena e saremo il vessillo della follia di un reggente, tutti sapranno che la nostra morte è stato frutto del terrore e non fondata su motivi reali. Tu, però, dovrai portare avanti la missione e…” La interruppi con la tristezza nel cuore.
    “Ma, maestra, possiamo ancora fare qualcosa per impedire questo scempio. Possiamo combattere, possiamo ribellarci… non potete morire così, non puoi… lasciarmi…” Avevo parlato con un tono pacato, ma alimentato dalla rabbia dell’ingiustizia che si stava perpetrando sotto ai miei occhi. Non ero un tipo che si lasciava andare alle scenate o alle emozioni ribelli, ma dentro, il mio cuore era in fiamme e pian piano si stava riducendo in cenere, senza che potessi fare nulla per evitarlo.
    “Mia cara, tu sei molto più che un’ancella. Ti ho sempre considerata un’allieva dal valore inestimabile. E forse, tutto quello che ti ho insegnato è servito proprio per questo momento. Combattere contro l’Impero sarebbe solo un atto suicida e insensato, ma nemmeno fuggiremo. È così che deve andare… non possiamo ribellarci al destino. Ma non è tutto perduto. Tu farai ciò che devi. Riunirai un nuovo gruppo di sorelle che ci succederà e proseguirete, all’inizio nell’ombra, quanto noi abbiamo iniziato e quando sarà arrivato il momento giusto, farete vedere quanto valete e quanto è importante ciò che siamo. ” concluse decisa, mentre mi porgeva lo scettro del suo potere. Il Bastone di Pluto, dallo stelo levigato, risplendeva di luce violacea all’interno del globo che lo sovrastava.
    “Non so… se sarò in grado di fare quanto hai detto. Io, non ero… nessuno prima di incontrarti. E senza di te, cosa potrei mai fare?” Il mio tono non era di rammarico, ma era freddo nel constatare quanto per me era reale.
    Persefone mi sorrise dolcemente. Non lo faceva quasi mai. Continuò a porgermi il bastone e prese una mia mano, guidandomi nell’afferrarlo.
    “Tu sei molto più di quanto credi e quando io non ci sarò più, avrai modo di capirlo. Ti prenderai cura delle tue sorelle e svolgerai egregiamente i compiti a cui hai sempre partecipato, anche se solo come spettatrice. Sarai la Custode del Tempo e Padrona del Regno degli Inferi. Tutte quelle povere anime hanno bisogno di una guida. ”
    Io spalancai gli occhi, mostrando una sorpresa che mi logorava il petto. “So che pensi sia troppo, tutto insieme, tutto per una sola persona. Ma ti conosco profondamente e so che tu potrai farlo. Nessun altro potrebbe, ma tu sì”
    Lasciò il bastone custodito dal mio palmo tremante e poi mi regalò una carezza leggera sulla guancia. Mi diede un bacio sulla fronte e andò via… Quello era stato il nostro Addio…
    Dopo che lei se ne era andata per sempre, avevo ricevuto anche il suo starseed ed ero consapevole che quell'ennesimo dono avrebbe cambiato la mia vita per sempre.


    Era passato molto tempo da quel giorno, ma allo stesso era tutto eternamente presente nella mia mente e nel mio cuore. D’altronde, chi custodisce le spire del Tempo non può essere soggetta alle sue regole.
    In questo senso, però, non solo gli eventi felici, ma anche il dolore e la sofferenza ti restavano tatuati addosso come marchi indelebili.
    Entrai nella sala delle riunioni e trovai le mie sorelle. Tutte ragazze non di stirpe reale, come me. Non elette ufficialmente come Guerriere, ma comunque persone motivate a proteggere e servire la causa.
    Amaterasu, Guerriera di Urano, Morrigan di Saturno, Atargatis di Nettuno. Eccole le mie alleate. Con loro al mio fianco, avrei potuto davvero fare qualcosa di buono e finalmente colpire dritto al cuore il potere indiscusso degli Oscuri sul pianeta Terra. Era quella la nostra missione: proteggere gli esseri umani dal Male, per impedire che quella stessa oscurità potesse espandersi e raggiungere quindi il nostro Sistema e i nostri pianeti di origine.
    “Sorelle, siamo qui riunite perché è arrivato il momento di mettervi a parte del piano che ho creato per poter infiltrarci nell’organizzazione dei Neri. Le loro manie di grandezza e la loro attenzione alla prosecuzione della stirpe, li hanno portati ad essere troppo sfrontati e meno attenti. Si è presentata l’occasione perfetta per essere sul posto e spiarli da vicino. Solo così potremo scoprire i loro punti deboli e abbatterli dall’interno.” La mia voce era bassa e modulata ed esprimeva tutta la mia determinazione.
    Avevo su di me la loro completa attenzione. Gli occhi saggi di Amaterasu, quelli malinconici di Morrigan e i più dolci e ingenui di Atargatis. Ognuna mi aveva colpito per il suo carattere e peculiarità, elementi che mi avevano spinta a sceglierle per accogliere il seme dei pianeti a cui appartenevano, nonostante il loro passato e il loro substrato sociale e familiare.
    Avevano delle potenzialità infinite e la motivazione che le animava le avrebbe aiutate nella missione che stavo per assegnargli.
    “L’idra oscura che dovremo affrontare è composta da moltissime teste, ma noi dovremo avvicinarci alle tre strategicamente più utili e più semplici da gestire.” Mi rivolsi direttamente alla guerriera di Saturno. “Morrigan. Io e te ci infiltreremo proprio in una delle famiglie di punta degli oscuri. Il discendente della stirpe non ha ancora procreato con la moglie per proseguirne il nome. Non ne conosciamo i motivi, ma il vecchio padre è intenzionato ad avere un erede e quindi ha scelto una ragazza per perseguire lo scopo. Tu prenderai il posto di quella donna. Io sarò la tua accompagnatrice. Più tardi ti darò altri dettagli per calarti meglio nel ruolo.” attesi un suo lieve cenno del capo e proseguii. Non era di molte parole, ma se avesse avuto qualche dubbio, ero sicura me lo avrebbe esposto.
    “Amaterasu e Atargatis, voi vi occuperete di entrare in contatto con due agenti dell’FBI, ma che fanno parte dell’organizzazione. Dobbiamo capire fino a che punto hanno infettato il tessuto sociale e come stanno influenzando il destino degli umani…”
    Mi soffermai sull’espressione terrorizzata della piccola sirena. Sapevo perfettamente come si sentiva e mi aspettavo la sua reazione.
    “Ehm… Ishtar. Sei sicura che io sia in grado di fare una cosa del genere? Insomma, non sono molto brava nei rapporti con gli altri. Anzi, va sempre a finire che combino qualche guaio. Io non voglio rovinare tutto.” La sua pausa era palpabile, ma non le avrei consentito di tirarsi indietro. Se solo lo avesse voluto, sarebbe stata in grado di fare questo ed altro.
    “Sei una sirena, è nel tuo DNA saper ammaliare e attrarre gli umani. Se ti ho scelta per questa missione è perché so che puoi farlo. L’unica ad avere dei dubbi sei tu!” La mia voce voleva essere incoraggiante, ma forse era risuonata un po’ troppo dura.
    “Temo solo di fallire e di deluderti…” disse abbassando lo sguardo, incerta.
    “Ti consiglio di scrollarti di dosso tutte le incertezze. Non c’è spazio per i fallimenti. Vedrai che andrà come deve. Abbi fede nelle tue capacità. Conta solo questo” chiusi lì ogni discussione. Comprendevo benissimo che fosse al suo primo incarico, ma le insicurezze avrebbero solo creato ostacoli. Non l’avrei compatita. Aveva bisogno di tutto il supporto possibile.
    Vidi Amaterasu osservarmi e poi posare una mano sulla spalla della sorella. Sapevo che a volte, non condivideva i miei metodi un po’ ruvidi, ma non avevo altro modo. Lei svolgeva il ruolo di cuscinetto di protezione. Colei che ammorbidiva le mie richieste e supportava nel momento del bisogno.
    Io avrei dato la mia vita per proteggerle e tenerle al sicuro. Erano le mie sorelle, anche se non di sangue, ma la gentilezza e la delicatezza erano fiammelle sciolte dal gelo del mio essere come ero.

    Due giorni dopo, arrivammo alla magione della ricca famiglia.
    Ogni anfratto, anche il più nascosto, urlava lusso e ricchezza, ma io sapevo che ogni centesimo speso era macchiato di sangue. Si erano arricchiti sulla pelle della povera gente, stringendo patti con un “diavolo” molto più potente di quello conosciuto canonicamente dagli umani.
    Anche la famiglia di provenienza della ragazza prescelta era più che benestante ed era stata scelta poiché all’interno della cerchia ristretta delle loro conoscenze fidate.
    La vistosa limousine sulla quale eravamo arrivate, si fermò proprio davanti all’ingresso e due uscieri aprirono le portiere e ci aiutarono a scendere.
    Io indossavo un tubino nero lungo fino alle ginocchia, accompagnato da una giacca da tallieur dal taglio classico. Un paio di delcolté dal tacco alto completavano la mia figura. Morrigan era altrettanto elegante, ma il suo stile era meno sobrio e con un tocco di colore in più.
    Io avevo preso il posto dell’assistente del padre della donna. Ero lì per supervisionare che gli accordi presi fossero stati rispettati da entrambe le parti.
    Avremmo dovuto incontrare il signor Alaric Weishaupt, l’erede della famiglia nera. Mi sarei occupata delle presentazioni e avrei lasciato a Morrigan il resto dell’incarico relativo all’uomo. Io avrei trovato un modo per fare un giro della casa. Dovevo assicurarmi di conoscere bene il posto e i suoi abitanti per consentirmi di raccogliere più informazioni utili possibile.
    Mentre eravamo sulla soglia, notai l’arrivo di un’altra auto nera dai vetri oscurati e mi fermai, tenendo sotto braccio Morrigan.
    Mi voltai giusto in tempo per vedere scendere dalla vettura un uomo alto e distinto.
    Non ebbi modo di notare altri dettagli della sua figura, perché la mia attenzione fu calamitata da due occhi celesti come il cielo della Terra. Lui incatenò il suo sguardo al mio e rimasi per un attimo interdetta.
    Io potevo percepire l’essenza di ogni animo umano e, una volta arrivata in quel luogo, mi sarei aspettata solo occhi viscidi e atteggiamenti di superbia.
    Invece, la sua aura era del tutto diversa.
    Mi riscossi violentemente con uno strattone interiore.
    Dovevo essermi sbagliata. C’era qualcosa che non quadrava in lui.
    Era il fratello minore di Alaric, ma non sapevo vivesse in quella casa.
    Avrei dovuto indagare meglio anche sul suo conto. Non avevo nessuna intenzione di farmi prendere di sorpresa anche dal più piccolo degli imprevisti.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 17/4/2024, 19:28
  11. .
    :Dalia:
    Dovevo ammettere che non mi aspettavo un simile trattamento. Insomma, avevo ucciso un loro nemico con le mie mani e avevo salvato uno dei loro ufficiali e loro come mi ripagavano? Rinchiudendomi al pari della peggiore delle delinquenti. Era vero, mi ero introdotta nella base di soppiatto per riportare indietro Giaele e Raphael, rappresentante di Nemesis, li aveva minacciati tutti, ma io… io che colpa ne avevo?
    Mi resi conto di star mentendo spudoratamente a me stessa… io ero parte di Nemesis e non mi fidavo di loro “umani”, ma anche io lo ero. Per questo… ero lì, in quella cella solitaria e isolata, ad arrovellarmi per quanto era appena accaduto.
    Stavo facendo su e giù per la stanzetta. Dovevo essere impazzita. Io ero solo andata a recuperare mia sorella e invece tutto era precipitato.
    Giale mi aveva confessato di voler rimanere sulla Terra, che “loro” non erano così male, che l’avevano trattata bene, tutto sommato. Che lì aveva trovato l’amore e lo avevo visto quel sentimento, dipinto nitido e brillante sul suo viso. Non avrei potuto dubitarne, mai. Mi fermai vicino a una brandina addossata al muro e poi crollai, di schianto seduta. Mi osservai le mani e mi sembrò di vederle ancora imbrattate di sangue. Tremavano, avevo perso completamente il controllo. All’improvviso sentii freddo e mi torsi le dita, strofinando i palmi l’uno contro l’altro. Era la prima volta che toglievo la vita a qualcuno e sebbene si trattasse di un essere spregevole, io non ero un’assassina… io non ero un’assassina!
    Mi sentivo sola, anche Raphael mi aveva lasciata qui, o forse ero una stupida a sentirmi abbandonata, ero voluta rimanere per Giaele e per … me. Dovevo fare chiarezza su ciò che provavo e ciò che sentivo dentro al petto. Adesso non ero più una Virtù. La mia ragione di vita, lo scopo della mia esistenza era evaporata nello spazio di pochi istanti ed era rimasta solo una Dalia fragile e totalmente “umana”… proprio come coloro che mi tenevano prigioniera.
    Ero confusa e ancora tremante, quando udii lo schiocco della porta automatica aprirsi e i passi di una persona avvicinarsi.
    Il calore di una giacca mi avvolse e una voce suadente ingentilì il freddo di quella stanza.
    Colonnello Jefferson… Gareth.
    Era lui… ancora non avevo sollevato il viso nella sua direzione, ma riconobbi il suo profumo. Sapeva di sandalo e patchouli.
    Poi, delle immagini mi riempirono la mente: io che blocco l’emorragia sul suo addome, io che afferro una pistola con mani decise e faccio fuori un temibile nemico, la mia mano intrecciata alla sua, mentre stava morendo.
    No… era troppo. Perché tutte queste emozioni mi stavano travolgendo a tal punto? Non era da me. Non ero io…
    Mi alzai di scatto e la giacca ricadde sulla branda. Mi allontanai da lui e mi abbracciai con forza. Sentivo di nuovo freddo. Maledizione!
    “Non so se sia un piacere conoscerti o meno, visto che dopo averti salvato mi hanno rinchiusa, ma sono felice che non sia morto. Questo sì!” dissi agitata.
    Non volevo sentirmi vulnerabile, eppure lo ero. La virtù della Prudenza completamente fuori controllo. Odiavo questa cosa e non volevo permetterlo.
    “Sai che rinchiuderti è stata solo una mossa cautelativa dopo le minacce ricevute da parte dell’Arcangelo. E poi… ti sei introdotta di nascosto nella Base…”
    “Ebbene, mi sembra ovvio che vogliate essere ‘prudenti’, ma non credete che vi abbia dato già abbastanza informazioni per dimostrare la mia buona fede? Senza contare l’uccisione di quel mostro!” lo interruppi di getto, sull’onda delle emozioni. “E poi… io sono solo venuta a salvare mia sorella. Pensavo che fosse in pericolo! Siete stati voi a incasinare tutto con Raphael! Non siete poi così innocenti! Lo ripeto: io non sono una minaccia, semmai vorrete capirlo!”
    Alla fine di quella lunga arringa, la voce mi tremò. Avrei voluto essere forte come Ariel in quel momento. Il suo essere risoluto sarebbe stato di aiuto, ma non credevo di essere andata poi tanto male.
    Non lo avevo ancora guardato mentre parlavo, e quando lo feci restai stupita di ciò che vidi. Mi sarei aspettata astio e rancore per via delle mie dure parole e invece riscontrai uno strano sorriso, che per essere sincera non ero in grado di decifrare. Era rimasto seduto con la testa leggermente piegata su un lato e… sorrideva…
    In quel frangente, desiderai poter avere ancora le mie capacità di virtù, per poter carpire la veridicità delle sue emozioni e interpretare la sua espressione senza ombra di dubbio che, al contrario, mi stava torturando.
  12. .
    :Merrin:
    Purtroppo ero abituata a quegli sguardi di sospetto e di odio. Sapevo bene che la stirpe alla quale appartenevo era considerata oscura e malvagia, ma in quel momento, l’occhiata truce di Sabine mi ferì il modo particolare.
    Ovviamente non lo diedi a vedere e ricambiai il suo gesto di cortesia con una reazione non proprio amichevole.
    Guardai Cal e lui, con una sola occhiata mi consolò, lui sapeva, lui percepiva ogni mio pensiero, senza che nemmeno parlassi.
    Avevo idealizzato la figura di Sabine insieme a quella di Ashoka attraverso i racconti di Ezra. La Mandaloriana che aveva maneggiato la spada oscura e che aveva scoperto di essere una Force user.
    Avevo percepito la Forza in lei, era vibrante e attiva ma non al pari di quella di Cal o di altri Jedi che avevo conosciuto.
    Eppure, Ezra mi aveva parlato del suo modo di essere fumantino e impulsivo. Perché me la prendevo tanto?
    D’altronde, come avrei potuto darle torto? Avevano combattuto una lotta senza esclusione di colpi con tre alleate del nostro nemico comune. Tre grandi madri. Non potevo pretendere che si fidasse di me nei primi cinque minuti dal nostro incontro.
    Sarei dovuta essere paziente e farle capire che non ero io la sua avversaria. Che ero lì solo per dare una mano.
    Per fortuna non avevo ricevuto lo stesso trattamento di diffidenza da parte di Ashoka. Lei mi aveva guardato intensamente come se volesse leggermi dentro e forse lo aveva fatto davvero.

    Poco dopo, mentre ci trovavamo sulla nave con destinazione Ossum, proprio lei mi chiamò e mi chiese di parlarmi da sola.
    Non avevo idea di cosa potesse volere da me “in privato”, ma ovviamente non mi sottrassi. La curiosità era tanta.
    “Ho bisogno di parlarti di qualcosa di molto importante… immagino che Ezra vi abbia raccontato che quando ci siamo battuti contro Thrawn, questi era aiutato da tre Grandi Madri della tua stirpe…”
    Attese simbolicamente una mia risposta, ma era chiaro che già ne fossimo a conoscenza. Dopo un mio breve cenno del capo, lei continuò. “Credo anche sappiate che le tue simili si trovavano già sul posto. Quella era la loro terra, il loro pianeta. Ti sei mai chiesta cosa ci facessero così lontane dalla nostra Galassia, che aveva ospitato la loro casa, Dathomiri?”
    Mi sentivo sempre più confusa e credevo che ogni sua frase fosse retorica, come se la risposta fosse lapalissiana e avrei dovuto conoscere la risposta.
    Invece io non sapevo proprio nulla e quelle informazioni che mi stava riversando addosso erano pari ad una secchiata di acqua gelida.
    “Non ti nascondo che quando sono venuta a conoscenza delle tre Grandi Madri mi sono fatta molte domande. Il nostro pianeta è stato distrutto e non ci rimangono neppure macerie delle nostre origini e delle nostre tradizioni. Solo polvere nell’universo. Eppure, loro erano lì… non ti so dire il motivo, ma ti prego, se tu sai qualcosa di più dimmelo! Ho bisogno di sapere!
    La mia voce era accorata e celava una nuova speranza.
    “Il pianeta su cui siamo finiti, quando siamo andati alla ricerca di Ezra, era proprio la terra natale della tua stirpe. Quelle lande desolate e desertiche ospitavano molti resti di antichi templi e strutture riconducibili alle Dathomiri.” Mi osservò con molta attenzione. Sapevo cosa stava leggendo sul mio volto: stupore, confusione, una stilla di felicità totalmente immotivata.
    “Stai dicendo davvero?! Quindi, se dovessimo riuscire a trovare un modo per tornare in quella Galassia, beh, so che sarebbe quasi impossibile, ma se ci riuscissimo, potremmo esplorare quella terra e magari…”
    Lei bloccò il fiume in piena che ero diventata e mi prese una mano. La strinse forte, senza mai distogliere gli occhi da me.
    “Purtroppo, non si può più fare Merrin… e il problema non è la distanza o i mezzi per arrivarci. Quel luogo non esiste ormai più. Quando siamo scappati, il terreno ci stava franando sotto i piedi e credo che solo grazie al varco creato nella Forza siamo riuscite a tornare. Nemmeno io ho capito bene cosa sia accaduto, ma di una cosa sono certa: quel pianeta stava morendo. Mi dispiace molto…” Quel piccolo lampo di luce che fino a poco prima aveva animato il mio cuore si spense, oscurato da una valanga nera come la pece.
    Avrei potuto sapere di più sulle mie origini, sul luogo dal quale proveniamo, sul modo in cui maneggiamo la Forza e il nostro legame con essa.
    E adesso…mi trovavo al punto di partenza.
    “Per un solo attimo, ci ho sperato…” dissi delusa, mentre guardavo insistentemente la punta dei miei stivali.
    Ashoka non aveva smesso di stringermi la mano e il suo contatto mi confortò un poco.
    “Magari potrai dirmi tu qualcosa, visto che ci hai vissuto per un po’… non so…”
    Lei mi mise un dito sotto il mento e mi portò a rimirarla.
    Il suo sguardo color del ghiaccio era molto espressivo, lungi dal sembrare freddo.
    “Anche io ho ancora molti dubbi e non mi spiego tanti eventi, però ho capito che le Dathomiri, voi, avete un modo tutto vostro di maneggiare la Forza. Nella nostra Galassia, ci sono gli Jedi. Noi incanaliamo la forza tramite le spade laser e con le nostre abilità psichiche. Invece in quella Galassia, la manifestazione della Forza era qualcosa di più simile alla magia. Può essere convogliata grazie a dei rituali e a delle formule. Esattamente come fate voi. Questo conferma che le tue vere origini provengono proprio da lì, e chissà, magari tanto tempo fa, delle tue antenate hanno deciso di valicare i confini dell’universo per raggiungere questo posto e colonizzare Dathomir.” Mi resi conto di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo in cui lei aveva parlato. Le fui grata per quelle informazioni, per quegli scorci di passato che non avrei mai potuto scoprire.
    “Ti ringrazio per quello che mi hai detto. Purtroppo, non potremo mai avere la certezza assoluta di quanto hai detto, ma mi fido delle tue percezioni e mi farò bastare l’immaginario che mi hai descritto. Chissà, magari in futuro, troveremo un modo per saperne di più. Intanto grazie.”
    Questa volta fui io a stringere la sua mano in segno di gratitudine. “Adesso prova a riposare un po’. Abbiamo ancora molto di cui parlare prima di arrivare a destinazione. Con calma, ci racconterete come è andata su quel pianeta prima che esplodesse e come avete fatto a salvarvi, ma c’è ancora un po’ di tempo.”
    Mi voltai a guardare Sabine che pareva essersi appisolata, ma sapevo non era così. Probabilmente si sarebbe rilassata un po’ quando anche Ashoka lo avrebbe fatto. O forse quando io mi sarei allontanata a sufficienza.
    Mi allontanai in silenzio per lasciarle riposare e raggiunsi Cal.
    Lui era al posto di comando, sul sedile del pilota.
    Non avevo proprio voglia di parlare e lui lo capì dal mio sguardo. Non aveva bisogno di chiedere. Sapeva che gli avrei raccontato tutto quando mi sarei sentita pronta. Adesso avevo solo bisogno di un abbraccio, così lo abbracciai da dietro e nascosi il volto nell’incavo della sua spalla.
    Provai a mettere ordine nel mio cervello, ma fu totalmente impossibile, quindi decisi semplicemente di non pensare a nulla. Assorbii il profumo speziato di Cal e mi distrassi grazie alla sua presenza.
    Ero fortunata ad averlo al mio fianco e non avrei mai potuto rinunciare a lui.
    “Grazie di esistere.” sussurrai nel suo orecchio con dolcezza.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 17/4/2024, 11:29
  13. .
    :Sabine2:
    Ero immersa in un fitto buio, intervallato da immagini confuse che si rincorrevano e sovrapponevano. Rivissi gli ultimi istanti vissuti sul pianeta morente che ci aveva ospitati per molto tempo. Ricordai le emozioni che colorarono i miei pensieri e la speranza di farcela in qualche modo, nonostante il suolo stesse crollando sotto i nostri piedi.
    Quando Dume si era palesato davanti ai nostri occhi, era successo tutto troppo in fretta… ed eravamo state catapultate in questo tunnel scuro e illuminato allo stesso tempo.
    All’improvviso, riuscii a riprendere contatto con il mio corpo. Percepii il suolo duro sotto la schiena e la polvere sottile tra le dita.
    Quando aprii gli occhi, ebbi la sensazione di star osservando il mio incubo peggiore.
    Una Dathomir in carne ed ossa mi stava sostenendo o scuotendo, non era molto chiaro, ma non ci pensai su un secondo di più e feci per afferrare il mio blaster, ma Ashoka fu più rapida e me lo impedì. Con gli occhi mi fece capire che non era il caso. La strega non era una minaccia.
    Accettai il suo monito, ma non mi fidavo e decisi di restare all’era.
    Mi divincolai dalla sua presa e mi alzai barcollando un po’. Girava tutto, ma dopo qualche istante riuscii a recuperare il controllo e l’equilibrio.
    La Dathomir era in compagnia di un Jedi. Ma cosa stava accadendo? L’Universo si era capovolto in quel periodo di assenza?
    Troppe domande e nessuna risposta. L’unica cosa che attirò la mia attenzione fu il nome di Luke. Era una mito vivente e sapere che li avesse “mandati” lui, mi fece sotterrare per un solo istante l’ascia di guerra.
    Nel giro di pochi istanti fummo ricoperti di informazioni anche parecchio importanti. Erano troppe, ma cercammo di metabolizzarle. Però, anche io avevo un sacco di domande. Prima fra tutte: Ezra?

    Ci trovavamo tutti sulla nave, in viaggio di ritorno. La rotta era stata tracciata e il pilota automatico avrebbe fatto il resto.
    “Cal, giusto? Dicci di Ezra, è tornato sano e salvo? Sta bene?” Non riuscii a mascherare una cocente ansia. L’avevo visto andare via sulla nave di Thrawn, ma era in luogo nemico e avevo sperato con tutto il cuore che si fosse salvato.
    “Certo, lui sta benissimo. Adesso si trova insieme a Luke ed in testa alla nostra missione di rifondazione dell’Ordine.”
    “È stato proprio lui a raccontarci di quello che è accaduto nell’altra galassia e anche delle vostre gesta passate. Siete diventate una leggenda qui…” aggiunse la Dathomir con una vena di entusiasmo nella voce. Ma non lo disse guardando me, bensì Ashoka. Ovvio, era lei la vera eroina, era lei che riusciva sempre a trovare la soluzione per risolvere anche le situazioni più disperate.
    Durante quel periodo di esilio, avevamo avuto modo di parlare, di approfondire il nostro rapporto e mi aveva aiutata moltissimo nel mio percorso, ma ero lontanissima dal sentirmi un eroe o una persona importante, così come ci stavano dipingendo.
    Avevo avuto degli alti e bassi e pian piano ne stavo affrontando le conseguenze.
    Distraendomi per un attimo dalle mie elucubrazioni, tornai all’informazione importante: Ezra stava bene. Era tornato sano e salvo ed… era diventato un pezzo grosso del neo Ordine.
    Non vedevo l’ora di incontrarlo e di poterlo stringere tra le mie braccia. Era stato il mio migliore amico e compagno di infinite avventure. Dovevamo recuperare un bel po’…
    Stavamo mettendo insieme tanti tasselli e informazioni.
    Thrawn stava architettato qualcosa di grosso e noi avremmo dovuto essere pronti a tutto.
    Mi estraniai un po’ dal resto della conversazione. Mi rintanai in un angolino della nave per rimanere sola con i miei pensieri.
    Avevo bisogno di riflettere e di riprendere contatto con quella nuova realtà.
    Solo qualche istante prima, però, avevo visto Ashoka e la strega appartarsi e parlare fitto fitto.
    Ancora non ci credevo che una Dathomir potesse davvero collaborare con gli Jedi, con la Ribellione. Avevo ben impressi nella mente i ricordi della campale battaglia nell’altra galassia e le tre Grandi Madri erano al servizio di Thrawn: il nemico.
    Avevo bisogno di fare ordine nella mia testa, altrimenti sarei impazzita.
    Mi raccolsi in uno stato si simil meditazione. Non lo facevo spesso, l’addestramento con Ashoka mi aveva insegnato ad assecondare questi miei momenti di raccoglimento e tentate di lasciare fuori il mio essere impulsiva e reattiva.
    Essere mandaloriana non aiutava in questo, ma io ce la stavo mettendo tutta a far convivere queste mie due nature e coltivarne solo i pregi. Ed oggi sarei dovuta ripartire proprio da qui.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 1/1/2024, 20:38
  14. .
    :Merrin:
    Adoravo sentire il vento sulla faccia e Cal lo sapeva. Andava veloce e l'ebbrezza della velocità coinvolgeva entrambi.
    Aveva insistito affinché indossassi le lenti protettive, se non il casco almeno le lenti, ma non ne avevo voluto sapere. Aveva provato a mettere su una discussione costruttiva, ma aveva ben presto capito che con me non l'avrebbe spuntata. E alla fine… come quasi sempre accadeva, me l'aveva data vinta.
    Ed eccomi lì abbracciata a lui, verso l’ennesima missione che Luke ci aveva affidato.
    Il calore del suo corpo mi confortava e mi riscaldava dentro.
    Ero rimasta totalmente sola e lui era diventato il mio rifugio.
    Avevo la certezza che su di lui avrei potuto sempre contare e me lo dimostrava ogni giorno che passava, ma non era sempre stato così.
    Il nostro primo incontro era stato piuttosto rocambolesco. Avevamo lottato, io allora credevo che tutti gli Jedi fossero il male incarnato per aver distrutto il mio popolo, ma lui mi aveva fatto comprendere il terribile inganno di cui ero caduta vittima.
    Non era stato facile imparare a fidarmi. Dopo quell’esperienza la mia diffidenza aveva raggiunto vette inesplorate, ma Cal, lui mi aveva sempre spronato a vedere il bene nelle persone, non solo sospetto e odio.
    Avevo davvero rischiato di ucciderlo su Dathomir perché si ostinava a non attaccare, ma solo a dofendersi dai miei attacchi.
    Questo suo atteggiamento mi aveva stranita non poco e mi aveva portata a dubitare delle fandonie di Malicos.
    Da quel momento non ci eravamo più separati… lui mi aveva tenuta al suo fianco nonostante la mia stirpe non ispirasse molta fiducia. Tutti mi guardavano con odio e timore. Per via del mio volto non avrei mai potuto nascondere chi ero e, ad essere sincera, non lo avrei mai fatto. Ero fiera di essere una dathomiri e, grazie ai miei poteri, compresi che avrei potuto aiutare molta gente.
    Gli incantesimi, i rituali potevano diventare un’arma per il Bene. Dovevi solo scegliere da che parte stare. E io lo avevo fatto.
    Cal interruppe la scia dei miei pensieri e mi comunicò che eravamo giunti a destinazione.
    Dopo un primo e lungo attimo di stupore che ci costrinse con il naso all’insù, percepii il cuore in subbuglio del mio ragazzo.
    Ben conoscevo i suoi sentimenti e quanto profondamente tenesse all’Ordine Jedi, quindi guardare i suoi occhi brillare e un leggero sorriso sulla bocca mi rese felice.
    Una cosa era certa, però… non potevamo perdere di vista la missione. Allora, come facevo spesso, lo presi in giro. Nascosi bene il moto di tenerezza che avevo avuto dietro la mia solita ironia.
    Solo pochi istanti dopo stavamo già camminando verso la mastodontica struttura fatta di pietra levigata.
    Dovevamo capire cosa avesse causato il picco di energia rilevato e perché un monolite che sarebbe dovuto essere ormai distrutto, fosse di nuovo eretto davanti a noi.
    Le pareti alte e lisce parevano gole che voleva inghiottirci, ma per quanto mi sforzassi, non riuscivo a percepire energie negative o malvagie. Tutt’altro, sembrava piuttosto, un tripudio di Forza allo stato puro.
    Io non ero una Jedi, ma riuscivo a sentire la Forza a mio modo. Il mio potere vi attingeva direttamente.
    Avevamo i blaster spianati per ogni evenienza e intanto continuavamo a esplorare.
    “Cal, questo posto sembra scoppiare di energia, ma non vedo nulla. Cosa stiamo cercando?” Ero confusa e sembravamo brancolare nel buio.
    Cal non ebbe tempo di rispondere perché avvistammo all’unisono qualcosa di strano proprio su uno slargo di pietra poco distante.
    “C’è qualcuno laggiù. Andiamo!”
    Ci affrettammo a raggiungere il posto.

    Due persone riverse a terra… una femmina di razza togruta e una mandaloriana. Erano prive di sensi.
    Ma io… le conoscevo… o meglio non di persona, ma se erano chi credevo, allora erano una leggenda vivente.
    Cal prevenne ogni mia reazione.
    Si avvicinò a loro.
    “Ashoka, Sabine… svegliatevi…” Le sue parole diedero conferma ai miei dubbi.
    Ritornai con la mente ai racconti strabilianti di Ezra e rividi ogni singola scena narrata. Erano proprio loro.
    Mi occupai di Sabine. La scossi leggermente.
    La prima a riprendere i sensi fu però Ashoka.
    Mi parve molto confusa e disorientata quando ci vide.
    Cal tentò di tranquillizzarla, dicendole che era al sicuro e che si trovava a Lothal.
    Io e Cal ci guardammo intensamente.
    Le sapevamo disperse in una galassia molto distante dalla nostra, senza speranza di ritorno e forse anche morte.
    Era assurdo che fossero proprio davanti ai nostri occhi, sane e salve.
    Comunicai tutto questo solo con il mio sguardo. Ero davvero curiosa di capire cosa fosse successo e come fossero riuscite ad arrivare qui. La grande esplosione di energia era certamente un ottimo indizio.
    Ma come prima cosa, dovevamo assicurarci che le nostre “amiche” stessero effettivamente bene.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 17/4/2024, 11:29
  15. .
    :Lisbeth:
    Tentavo di assorbire tutte quelle informazioni. Mi sentivo un po’ stupida e un po’ ignara.
    Per quanto lui tentasse di confortarmi e di farmi comprendere che le lacune che avevo non erano una mia colpa, io potevo solo rammaricarmene.
    Come avevamo fatto a vivere per tutto questo tempo nell'ignoranza?
    La storia, le religioni, la filosofia, tutte invenzioni dell’uomo per rendere prigioniero i suoi simili, per mantenere il controllo e per allontanarci il più possibile dalla Verità.
    Dijibril, con la sua voce dolce, mi rese partecipe di realtà che neppure credevo esistessero.
    A quanto pareva, ciò che consideravamo leggende era invece reale.
    Il mondo era al contrario e mi sentii frustrata.
    Questa mia sensazione di inadeguatezza si fece insopportabile proprio quando mi chiamò sua promessa e dolce sposa.
    No…no… era tutto impossibile. Le sue spiegazioni non facevano una piega, ma io, io non ero nessuno. Non avrei mai potuto essere la Fiamma Gemella di un Angelo, di un essere tanto perfetto.
    Un dubbio insolente si insinuò nella mia mente: appunto perché era così perfetto, avrebbe mai potuto prendere un abbaglio, o ancora peggio, mentire?
    Ero troppo vicina a lui e mi spostai con un gesto più brusco di quanto avrei voluto.
    Mi sentivo strana in sua presenza. Mi sentivo divisa a metà nella mia essenza. Cuore e mente, anima e ragione.
    Se pensavo a quanto mi aveva detto e a quanto potesse apparire assurdo, mi davo dell’idiota, avrei dovuto ridergli in faccia e dargli del pazzo.
    Se, invece, svuotavo la mente e non ragionavo, mi sembrava tutto al posto giusto. Le sue labbra leggere si incastravano perfettamente con le mie, le sue dita gentili che carezzavano la mia pelle, sembravano non aver fatto altro per tutta la vita e oltre.
    Scossi il capo, confusa.
    Informazioni su informazioni, ma l’energia era intensa, mi stava sopraffacendo.
    Respirai a fondo cercando di riprendere il controllo.
    “Scusami, io… mi sento molto confusa. Credo… penso che tu abbia sbagliato persona. Io non sono nessuno… nessuno di importante e tu, tu sei… così!”
    Dicendo quelle parole, indicandolo con le braccia, era come se mi stessi facendo della violenza fisica. Un peso sul petto, un groppo in gola. Non volevo guardarlo, non volevo perdermi nella dolcezza e nella pace del suo sguardo. Una vocina dentro di me, però, mi spingeva a farlo. Sapeva che se lo avessi fatto ogni dolore sarebbe scomparso, ogni incertezza sarebbe evaporata.
    Lui si era alzato dal letto, ma era rimasto lì, a distanza. Non voleva forzarmi, né mettermi sotto pressione.
    Semplicemente aspettava che io facessi la mia scelta. Ma di qualche scelta si trattava? A cosa stavo andando incontro?
    “Non costringerti a ragionare, Lisbeth. Non inquadrare i tuoi sentimenti in uno schema. So che tutto questo potrebbe essere sconvolgente, ma tu puoi affrontarlo. Sei nata per questo.”
    La sua voce. La sua voce soave. Strinsi i pugni quasi a conficcarmi le unghie nei palmi. E finalmente lo guardai.
    In pochi passi lo raggiunsi e gli buttai le braccia al collo e affondai il volto sulla sua spalla. Il suo profumo non era descrivibile con parole umane, ma io “sapevo”, “percepivo” l’unicità del suo essere.
    Ogni dolore era svanito. Un sottile dubbio ancora solleticava silenziosamente la mia mente, ma non volevo continuare a torturarmi, non ero così forte da sopportare un simile supplizio.
    “Non so dove mi porterà tutto questo. Se io sia la persona giusta o se questo sia l’errore più grande delle nostre vite, ma una cosa vorrei chiederti: possiamo rimanere abbracciati ancora per un po’?” Avevo parlato, sospirando leggermente sulla sua pelle liscia. Non avevo il coraggio di spostarmi di un millimetro.
    Intuii che stesse sorridendo, poi ricambiò il mio abbraccio con calore.
    Il suo corpo era confortante e la frase che seguì lo fu ancora di più.
    “Non potrei mai abbandonarti. Non più, adesso che ti ho trovata”
68 replies since 21/1/2020
.