Present Day #2019: Toronto's Roads

Season 3

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Illiana
        +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    282
    Reputation
    +658

    Status
    :Ezio:
    Quando una missione poteva definirsi riuscita? Domanda banale, forse, ma ecco la mia prima risposta: quando veniva centrato il suo obiettivo. Pandia stava andando via portando con sé i Frutti, quegli oggetti che da secoli Assassini e Templari si contendevano senza esclusioni di colpi, perché il loro possesso avrebbe donato conoscenze infinite o poteri sovrumani.
    Apprendere da Atlas che la volontà di Pandia era quella di distruggerli era stata una sorpresa che non mi era piaciuta affatto, ma non avevo avuto modo di protestare, o di accusarla di non essere stata limpida con me. Forse lo avrei fatto quando ci saremo rivisti. Forse.
    Paralizzato come ero, non potei consigliare a Pandia come agire, ma fui sollevato quando fece la scelta giusta, ovvero quella di lasciare la cripta e non scatenare su di lei l'ira di quell'essere. Udii i suoi passi allontanarsi, e l'elevatore muoversi per riportarla in superficie.
    Nel momento in cui la piattaforma si bloccò in alto, la costrizione che mi aveva intrappolato cessò. Caddi in ginocchio, ansimante, dolorante e come svuotato da ogni forza. Il potere di Atlas mi aveva stretto come in una morsa, impedendomi anche solo di respirare liberamente, ed ora il mio corpo reagiva con un tremito violento e diffuso ovunque.
    Mi alzai in piedi, lentamente, con fatica. Per tutto il tempo, il ragazzo mi aveva dato la schiena, come se avesse completa fiducia e controllo della situazione. Non potevo vederla in altro modo. Ero troppo debole per combattere contro di lui, e l'unica possibilità a mia disposizione poteva venirmi solo da un'azione che non avrebbe previsto.
    Avevo ben chiaro in mente cosa dovevo fare, e mi servivano solo un pizzico di fortuna e la mia abilità nel saper coglier il momento opportuno. Non avrei fallito, me le sarei cercate usando a fondo ogni risorsa a mia disposizione.
    Non era consigliabile portare lo scontro con lui su un piano fisico, ma potevo sicuramente fare la differenza con le mie parole. Atlas poteva possedere tutta la forza dell'Universo, ma, chiaramente, era ancora un ragazzo. Una mente che potevo manipolare a mio vantaggio, se fossi stato abbastanza attento.
    ”Non ti aspetterai che ti pregherò, vero?”
    “A me è indifferente, cosa speri tu. So che vi addestrate per non temere la morte, ma non preferiresti morire senza soffrire?”
    La morte? L'avevo data ed evitata tante di quelle volte da non poterle neanche più contare, ma non avevo mai smesso di temerla, no. Mi accompagnava in ogni viaggio che facevo, e rinunciare a lei significava perdere la mia preziosa umanità.
    Come se l'avesse notato solo in quel momento, aggiunse: “E di questi abiti, tu non sei degno!”
    Mi strappò con un gesto secco il mantello di dosso, gettandolo in un angolo. Il gancio che lo chiudeva si ruppe, lasciandomi una sottile ferita sul collo. Non mi mossi di un millimetro. Avevo visto il fuoco della sua rabbia accedersi con facilità, e dovevo sfruttare quello.
    Lasciai passare qualche secondo, poi gli risposi con la calma più glaciale di cui ero capace:
    ”La nostra esistenza non è dovuta a questo. Noi esistiamo perché esistite voi!”
    ”Voi esistete perché in qualsiasi sistema possono formarsi l'ordine e il caos: noi ci battiamo perché prevalga l'ordine, e con esso la giustizia, la prosperità, l'uguaglianza!”
    Mentre parlavo, feci un passo verso un lato della stanza. Doveva sembrare una cosa casuale, un movimento compreso nei gesti di una conversazione. Il ragazzo non diede segno di averlo notato, già coinvolto nel nostro scambio verbale.
    ”L'ho già sentita troppe volta questa storia: le vostre sono solo parole vuote, che coprono una verità molto meno edificante. Il vostro blaterare di società modello nasconde solo la smania di controllo, il desiderio di sopraffare le menti. Non c'è posto per la compassione e la libertà nel vostro mondo!”
    ”Siete solo degli illusi! Cosa vi aspettate una volta ottenuta la libertà per tutti? Se ognuno sarà libero di agire a suo piacimento, regnerà il crimine, la legge del più forte, l'infelicità. I Templari vi hanno combattuti per secoli, senza mai riuscire a cancellarvi, perché come i ratti, sapete nascondervi ad aspettare che il pericolo passi, per poi tornare a rovinare ciò che abbiamo costruito. Ma non questa volta...”
    Altro passo.
    "Non ci spazzerete mai via, per una sola, semplice ragione: l'uomo anela alla libertà, ed è disposto a sacrificare tutto per ottenerla. La storia si è ripetuta migliaia di volte: quando il prepotente schiaccia i deboli sotto il suo tallone, la ribellione monta, ed il despota viene scacciato”
    ”Chi ci potrà bandire questa volta? Con mia madre instaureremo un regno che possa accogliere anche i Deviati, faremo della Terra il nostro pianeta e ogni cosa sarà regolata, per il bene di tutti!”
    La sua voce aveva cominciato ad alzarsi, le guance ad arrossarsi per la contrarietà di dover discutere con me di questioni che riteneva inviolabili. Continuai ad incalzarlo:
    "Te lo assicuro: presto o tardi lo scontento si trasformerà in protesta, e poi in ribellione più o meno palese. Non riuscirete a mantenere il controllo a quel punto, vi rinchiuderete nelle vostre fortezze, per proteggervi. E da lì, la presa sul popolo diventerà sempre più debole, fino a che vedrete fantasmi in ogni angolo. Temerete le tenebre, perché lì saremo noi!”
    ”Queste sono solo menzogne che utilizzate per avvelenare le menti dei virtuosi!”
    Ultimo passo. Ero dove volevo essere. Ora aspettavo il pizzico di fortuna.
    ”E' solo la verità. Ed è quello che vi meriterete. Nessuno deve ergersi a dominatore, solo la coscienza del singolo deve essere giudice e guida. Il vostro destino è segnato. Presto o tardi verrete giudicati a vostra volta!”
    Calcai il disprezzo che provavo per loro nelle mie ultime parole, e come un giocatore professionista, mi accorsi che fu quella la goccia che colmava la misura.
    Atlas pestò il piede a terra, mentre dava sfogo alla frustrazione che avevo alimentato:
    ”Io non devo ascoltarti! Sei...”
    La piattaforma si avviò improvvisamente. Atlas si voltò stupito ed incuriosito. Era l'occasione che aspettavo, ed ero pronto per coglierla.
    Con una mossa fluida, staccai una delle torce dalla parete e la lanciai verso il ragazzo. La torcia sfrecciò precisa e rapida come un proiettile, colpendogli il torace. Fui sbalordito dalla facilità con cui il fuoco si propagò agli abiti, e in un secondo lo trasformò in una torcia umana. Atlas si girò verso di me, quasi incurante delle fiamme che stavano avvolgendolo, con un'espressione furiosa e una luce astiosa negli occhi.
    ”Come... hai osato... colpirmi!!”
    Alzò la mano verso di me, e immediatamente una morsa invisibile mi serrò la gola. Una pressione che conteneva un'intensità ben maggiore di quando mi aveva bloccato per evitarmi di andare via con Pandia. La collera gli alterava i lineamenti e gli faceva perdere il controllo delle sue reazioni.
    Proprio quello a cui miravo.
    Non abbandonai il suo sguardo, anche se era avviluppato da una cortina di fiamme che, notai, non lo stava ferendo in alcuna maniera. La sua pelle rimaneva liscia, senza bruciature, ed anche i suoi capelli erano intatti, avevano acquisito solo la sfumatura dorata delle fiamme. La sua bocca era una smorfia di collera che rasentava la pazzia, ed in quel momento, assomigliava davvero al demone che era.
    La pressione sul mio collo aumentava: se fosse continuata ancora molto probabilmente prima di soffocarmi mi avrebbe spezzato l'osso del collo. La testa sembrava scoppiarmi, ed il cuore batteva così furiosamente che sembrava volermi uscire dal petto.
    Quando una missione poteva definirsi riuscita? Quando non ci sono perdite umane? Allora, oggi non era stato un successo. Nel momento in cui avevo udito quella voce squillante nella cripta, avevo già immaginato come sarebbe finita. Non avremmo potuto contrastarlo, ma solamente limitare i danni. Ed era quello che avevamo fatto. Di noi due, almeno lei si era salvata. E a me era rimasto solo un'ultima cosa da compiere: non farmi prendere vivo. Agli occhi dei Templari, non ero io a valere molto come persona, ma le informazioni che custodivo invece sì.
    Mi ero sottoposto, come tutti, a duri addestramenti per sopportare ogni tipo di tortura fisica e psicologica, ma ero inerme davanti alla capacità di forzare la mente che possedevano esseri mostruosi come Atlas. Tutta la Confraternita sarebbe stata in pericolo se lui fosse penetrato nei miei pensieri, ed era questo che dovevo evitare, sacrificando me stesso.
    Sentii che i miei piedi perdevano il contatto con il pavimento. La sua volontà mi stava sollevando a mezz'aria, ma questo non era ancora sufficiente ai miei fini. La piattaforma stava scendendo, ed intravidi solo una sagoma, dato che la mancanza di ossigeno al cervello cominciava a manifestarsi nell'appannamento della vista. Ero ad un passo dalla conclusione, e non avrei permesso che un altro imprevisto si mettesse in mezzo. Questa missione doveva chiudersi qui, e ora.
    ”Pensavo che... avresti potuto... fare... più di... così”
    Atlas mi rispose con un ringhio inumano e la sua mano scattò a sinistra. Venni scagliato verso il muro con una potenza inaudita. L'impatto fu lo stesso che andare a sbattere contro un treno in corsa.
    Sentii distintamente la clavicola e le ossa del braccio sbriciolarsi, mentre tutte le costole di destra si frantumavano in piccoli pezzi, andando a conficcarsi come tanti coltelli affilati nel polmone, che collassò.
    Il mio corpo martoriato crollò a terra. La bocca si riempì velocemente di sangue che fuoriusciva dalle numerose ferite interne. Le orecchie mi fischiavano tremendamente per il colpo ricevuto. Se avessi avuto ancora del fiato, avrei riso.
    Ma sentivo che le forze mi scivolavano via, e dopo la vista anche l'udito cominciava ad affievolirsi. Udii una voce maschile, parole concitate, ma non rivolte a me.
    Avevo portato a termine il mio compito, ed ora, potevo lasciare la presa sulla mia vita.
    Con mio fratello, quando ancora eravamo due giovani nobili perdigiorno, avevamo passato un pomeriggio intero a comporre l'epitaffio che avremmo voluto sulla nostra lapide. Frasi autocelebrative, oscene, goliardiche. Quella che avrei voluto adesso sarebbe stata questa.
    Ho vissuto la mia vita come meglio ho potuto. Per questo non ho rimpianti
     
    Top
    .
14 replies since 24/9/2019, 19:51   180 views
  Share  
.