Nanda Parbat: Ezio Auditore Bedroom

Season 4

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    Annarita
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    “Spero che tutti abbiate ben chiaro ciò che accadrà quando porteremo a termine questa missione. Vi chiedo tanto lo so, di rinunciare ai vostri poteri, alla vostra invincibilità... ma non vi chiederei un sacrificio tale se non fossi certa della vittoria...”
    “E questo lo sappiamo Grande Madre, lo sappiamo tutti. Ci fidiamo ciecamente della vostra guida... siamo certi della vittoria perché siamo certi di voi. È un nuovo inizio e non vediamo l’ora di farne parte!”
    Tutti i miei compagni annuirono a quelle affermazioni accorate. Adrian e Hybris sorridevano fiduciosi, Leopold sogghignava soddisfatto, la Grande Madre e il suo compagno non perdevano un colpo, sicuri come pochi di quanto stavano facendo. Tutti annuirono, sì, tutti tranne me. Lasciavo che la mia maschera mostrasse indifferenza e non curanza, in fondo era quanto ognuno di loro si aspettava da me. Avevo fatto finta di leggere un libro mentre l’ago infilato nella vena del braccio mi trasmetteva una forza a cui non riuscivo a dare un nome. Non lo avrei mai ammesso ad alta voce, ma dentro di me ero… terrorizzato. Quella mattina mi ero svegliato di soprassalto, la pelle pallida ricoperta di sudore ghiacciato, il cuore galoppava in maniera irregolare e così anche il respiro che usciva dalla bocca spalancata in cerca di ossigeno. La sera precedente Herr Doktor mi aveva informato della missione in atto e di ciò che sarebbe accaduto l’indomani… forse l’ansia mi aveva giocato brutti scherzi? Non ne ero sicuro, ma la sensazione che avevo provato non mi era piaciuta per niente. E adesso che quell’energia tanto dirompente stava entrando nel mio corpo, adesso che potevo percepire le mie cellule abbeverarsi, adesso che il mio “caricamento” era quasi completato… mi ponevo una semplice quanto brutale domanda: cosa sarebbe successo dopo? Quando la percentuale avrebbe raggiunto la soglia massima, quando sarei stato finalmente in grado di esprimere il mio ruolo di sorgente… cosa sarebbe accaduto?
    La verità? In tre anni non mi ero mai posto quella domanda. Come se il voler far parte di qualcosa avesse sradicato qualsiasi dubbio e lo avesse sepolto in profondità nel mio inconscio.
    Fissai la vena pulsante, il siero luminoso che scorreva sotto pelle, ormai un tutt’uno col mio sangue, e strinsi le mani in pugni ferrei. Nessuno si accorse della mia titubanza, la loro attenzione era catalizzata dallo schermo.
    89%
    Una goccia di sudore rigò la mia tempia e la sensazione di panico di poche ore prima si impossessò nuovamente di me. Spinsi il pugno chiuso contro la bocca dello stomaco… bruciava terribilmente. Un capogiro mi costrinse ad appoggiare la testa contro la parete dietro di me. Serrai le palpebre e cercai di allontanare ancora una volta ogni reticenza. Avevano bisogno di me per risvegliare i Deviati della Terra, avevano bisogno di me per riportare equilibro nella mia razza bistrattata… solo questo. Odiavo gli “struzzi”, ma in quel momento sentivo di non essere pronto ad affrontare ulteriori dubbi… non quando il caricamento era così vicino a giungere al termine.
    98%
    Percepivo la pelle tirare, i muscoli gonfiarsi, il sangue scorrere furioso. L’energia dentro di me era travolgente, tanto da lasciarmi senza fiato.
    100%
    Aprì gli occhi, rendendomi conto che tutti gli sguardi presenti – quelli della Grande Madre e del Fuhrer trionfanti; quello di Morgan fastidiosamente folle; quelli di Adrian e consorte soddisfatti – erano fissi su di me. Avrei dovuto dire qualcosa, ne ero certo, ma per la volta in vita mia ero a corto di parole.
    Mi concentrai sulle nuove sensazioni che percepivo, i miei poteri di Deviato sembravano decuplicati: potevo udire il gocciolio del lavabo nel piccolo bagno fuori nel corridoio; vedevo distintamente i dettagli delle cuciture degli abiti dei miei compagni; il palmo delle mani era talmente sensibile che mi sembrava di stringere tra le dita mille aghi.
    “Non sono ancora esploso, è già qualcosa direi!”
    Mi godetti a metà la reazione sdegnata del Dottore e quella divertita di Adrian, le mie battute sarcastiche avevano il potere di farlo sorridere sul serio (per lui l’equivalente dell’espressione “sbellicarsi dalla risate”!). Tuttavia, la mia attenzione fu subito attirata dal sussulto che la Grande Madre aveva avuto nell’udire le mie parole, subito dopo si era scambiata uno sguardo fugace col suo compagno, ma era stato talmente rapido che mi convinsi di averlo solo immaginato.
    Cosa diavolo nascondevano quei due? La mia natura diffidente stava prendendo il sopravvento dopo quasi tre anni di latitanza, non sapevo con esattezza cosa l’avesse risvegliata, ma era lì, più ingombrante che mai. Cercai di nuovo di metterla a tacere, ma questa volta non fu facile… avrei dovuto preoccuparmi? O stavo solo ricordando come ci si sentiva ad essere paranoici? Una certezza l’avevo: quella sensazione di disagio che avevo provato nel guardare la Grande Madre non mi piaceva, no, non mi piaceva per niente.
     
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    :Pandia:
    Il buio e la desolazione erano stati così pressanti e paurosi che lentamente avevo come la sensazione che pareti invisibili mi schiacciassero, mi stavo lentamente abbandonando sempre più all'oblio ed al terrore se non fosse stato che nella mia mente, per fortuna, iniziarono ad affiorare ricordi felici, volti amici che riuscirono a ricordarmi che non ero sola... Ezio e Toth erano lì per me e dimenticarmene voleva dire metterli in pericolo, voleva dire che nessuno di noi sarebbe mai uscito da quel folle mondo.
    Fu prendendo consapevolezza di ciò che lentamente un viottolo composto da fuochi fatui inizio a formarsi di fronte a me, ad ogni passo una fiammella azzurra si accendeva e se prima avanzavo con timore via via camminai sempre più veloce fino a raggiungere una porta posta nel mezzo al nulla che non esitai ad aprire. Fu una volta dentro che quella si chiuse alle mie spalle mentre tutto intorno a me divenne definitivo. Ero dentro una cella di contenimento, le pareti bianche ed una sola finestrella da cui osservare l'esterno e se all'inizio non vidi nulla pian piano notai due figure a me note corrermi incontro e poco dopo entrare anch'essi nella cella, chissà cosa avevano visto, che porta avevano creduto di aprire, perchè come me parevano confusi e persi nello scoprire dove si trovavano e soprattutto a non aver possibilità di uscirvi perchè come tale quel posto non era provvisto di una porta che si poteva aprire dall'interno!
    "Sei proprio una sadica pazza furiosa" mi urlò contro prima Ezio con il fiato corto e le mani sulle ginocchia.
    "La vera te mi ha appena strappato il cuore con il suo pugnale d'osso" rincarò Toth con una mano sul fianco e l'altra a tastarsi il dorso.
    Non sapevo cosa avessero vissuto ma entrambi sobbalzarono quando dalla finestrella potemmo notare la me oscura ed la Dottoresa McKay iniziare a girare intorno alla nostra cella, dando tanto l'impressione di squali che stavano aspettando il momento perfetto per agire.
    "Beh adesso sapete cosa provo ogni singolo giorno" urlai anche io in preda alla frustrazione più profonda nei confronti di entrambi. Erano stati comprensivi, lo ammetto, considerando quello che di me avevano visto, ma si permettevano di giudicare senza capire veramente.
    "Sì ma non sappiamo cosa abbiamo fatto per meritarci quel film dell'orrore" esclamò Ezio indicando la versione oscura di me che con il suo sguardo folle ci guardava dalla finestrella picchiando sulla stessa con il suo pugnale d'osso, sicura che questo avesse provocato un brivido a Toth che sembrò voler celare.
    "State scherzando? Non sapevo cosa fosse il dolore prima di incontrarti!" risposi di getto prima guardando entrambi e poi finendo di picchiettare il mio dito sul petto di Ezio.
    "Oh quindi ora è colpa mia? Pandia sei tu che hai rinchiuso tutto in un maledetto carillon invece di parlare!"
    Mi accusò portandomi a spalancare la bocca con fare del tutto sorpreso mentre portandomi le mani sui fianchi corrucciavo la fronte e scuotevo il capo incredula.
    "Funzionava ok? Era bello. Un bel modo per contenere alcune cosette e non permettere che nessuno le vedesse... che Selene le veda, non posso... capite? Non posso!" mi giustificai sentendo che stavo per esplodere.
    "Per sopprimerle vorrai dire"
    "Tutto era preciso, semplice e pulito! E voi due da quando siete alleati contro di me?" mi trovai quasi ad urlare guardandoli genuflessa.
    "No Pandia Toth ha ragione! Hai soppresso molte cose, tipo profondi rancori. Sai cosa è davvero buffo? Che sei tu ad avermi fatto scoprire cosa voglia dire, per davvero, soffrire per amore. Tu mi fai del male tanto quanto te ne faccio io. Sono morto dentro quando te ne sei andata sulla Luna per così tanto tempo..."
    "Sei ingiusto alle sue parole quasi per difendermi incrociai le braccia al petto ed iniziai a scuotere il capo. Non volevo ascoltarlo. Non avevo voglia di affrontare quel discorso. Non in quel momento.
    "E poi ti hanno promesso a lui... in sposa... Dio mio vi sposerete..." sbottò Ezio indicando prima Toth che alzando le mani se ne uscì con un "Ehi non avevamo scelta", mentre io cercavo di riportare la conversazione al suo tema centrale "Esatto e poi non ci sposeremo! Vogliamo parlare di te Auditore? Non mi sembra che tu abbia fatto nulla per impedirlo! Ti ho lanciato più e più volte richieste di soccorso... ma tu non le vedevi... hai fatto finta di nulla!
    Gli vomitai addosso quelle parole incapace di trattenermi, ero completamente fuori di me e forse tutto sommato non era male che tutto quello era venuto a galla perchè poter urlare quelle cose ad alta voce era maledettamente bello!
    "Stai modificando la realtà"
    "Sto modificando la realtà non credo!"
    "Già ed immagino che sia tu quella che mi fa restare sano... concentrato..."
    "Direi di sì, sì"
    "La santarellina... mi stai dando ragione!"
    "Ok ragazzi... basta! Dobbiamo concentrarci! Dobbiamo trovare un modo di uscire da qui, affrontare quelle due, ed andarcene!" cercò di dire Toth mettendosi tra noi, sperando che la sua larga stazza e la sua voce perentoria fossero bastati per farci smettere, ma no. Era come invisibile ai miei occhi ed anche a quelli di Ezio considerando come continuammo a gridarci contro completamente distaccati dalla realtà, dimenticandoci dove fossimo e con chi fossimo. Esistevano tutto ciò che ci eravamo tenuti dentro, ciò che non ci eravamo detti ed ora che tutto stava uscendo era come un fiume in piena impossibile da fermare.
     
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    Annarita
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    :Thot:

    Avevano davvero il coraggio di vomitarsi addosso anni di incomprensioni proprio in questo preciso istante? Non riuscivo a crederci! Eravamo davvero finiti nei peggiori incubi di Pandia, e Auditore non sembrava fare nulla per placare quel risentimento! Dovevo prendere in mano la situazione, o avremmo fatto una fine orribile. Me lo sentivo.
    “Ok ragazzi... basta! Dobbiamo concentrarci! Dobbiamo trovare un modo di uscire da qui, affrontare quelle due, e andarcene!”
    Afferrai Pandia per le spalle e cercai di frappormi tra i due che continuavano a urlarsi contro come se non mi avessero neppure visto. Il che era già di per sé sorprendente visto che – potenzialmente – coprivo per intero il corpo della Principessa agli occhi dell’Assassino. Quest’ultimo però mi ignorò bellamente, aggirandomi e andando al fianco di Pandia. Scossi la testa esasperato.
    “Ah è così? Beh, tu sei un egocentrico!” Eccola che tornava all’attacco.
    “Egocentrico io? Scherzi? Il tuo ego sembra essere uscito da The Ring!” Oh Santo cielo, Ezio ci andava giù pesante! Non che avessi capito il riferimento, ma l’espressione di Pandia fu molto eloquente. Era letteralmente livida.
    “Oh, ma davvero?”
    “Siamo uguali Pandia. A te piace reprimere i pensieri cattivi e far finta che non siano mai esistiti. Ti fa sentire grande pensare di essere la Jane Goodall di turno che si può permettere il lusso di salvare esserini indifesi… come il sottoscritto!”
    “Oh, ma sentilo! Non è affatto vero!!”
    “Ma certo che sì!”
    “Semmai sei tu che salvi me, sempre!”
    Mi misi i palmi contro le orecchie per tentare di evitare la sordità a vita, quelle poche briciole di vita che restavano ovviamente. Stavo valutando di dare a entrambi un sonoro pugno in faccia per farli tacere, ma proprio in quell’attimo udii un boato assurdo. Da bocchettoni che prima non avevo notato – e che prima, molto probabilmente, nemmeno esistevano – vidi una enorme massa d’acqua riversarsi nella stanza. Pensai: Poco male, le finestre non sono certo ermetiche, basterà distruggerle e farla defluire! Fissai oltre i vetri lo sguardo rosso fuoco della Pandia oscura, era follemente divertita come se stesse guardando dei topi in trappola dimenarsi mentre il fuoco si avvicinava inesorabile. In questo caso era però l’acqua il nostro nemico. Spostai lo sguardo sull’altra figura, a cui non riuscivo a dare un nome e che – come la Pandia dei peggiori incubi – mi metteva addosso brividi mai provati. I suoi occhi erano luminosi e fissavano Pandia ed Ezio come se fosse affamata… affamata di non sapevo bene cosa. Più loro urlavano, più il suo ghigno sadico si allargava. Più si davano contro e più il flusso dell’acqua aumentava la sua intensità! All’improvviso anche le finestre sparirono e ci trasformammo ben presto in miseri topi intrappolati. Il livello era salito ormai alle ginocchia e fu inutile il giro di ricognizione che effettuai per scoprire qualche falla, anche la più piccola e insignificante. Niente, non c’era nessuna via d’uscita. Il senso di claustrofobia tornò feroce a tormentarmi, mentre la sensazione che le pareti stessero avvicinandosi sempre di più si faceva più forte e pressante.
    “Mi hai incasinata! Tutto il mio male viene da te!”
    “Beh tutto il mio dolore viene da te!”
    Le ennesime invettive di Pandia contro Ezio e viceversa ruppeto tutti gli argini, dei bocchettoni e della mia pazienza: erano loro la causa di tutto quel pandemonio. La strega stava utilizzando i rancori di entrambi per toglierci di mezzo! Che figlia di p…! Calma Thot, calma, non farti prendere dal panico. Respira e pensa a una soluzione efficace, in fondo è sempre stato questo il tuo miglior pregio! L’unica via di salvezza che vedevo al momento era chiara e semplice: quei due dovevano smetterla di sbraitare, in un modo o nell’altro! Non si erano neppure accorti che il livello dell’acqua lambiva adesso il busto, ancora pochi minuti e non avremmo più avuto scampo. Mi avvicinai ad Auditore e gli mollai un pugno così forte in faccia da farlo cadere a gambe all’aria. Lo fissai per un attimo annaspare, rendendosi finalmente conto del “mare” che ci circondava. Poi mi voltai verso Pandia, la strattonai con foga e la costrinsi a guardarmi negli occhi.
    “Guardami, dannazione! Adesso basta, dovete smetterla altrimenti moriremo tutti! È questo che vogliono! Quella pazza sta ritorcendo contro di voi le vostre paure, i vostri sensi di colpa, i vostri rancori…” Anche lo sguardo confuso di Ezio era adesso puntato su di me. Parevano finalmente tornati in sé o almeno lo speravo.


    Edited by KillerCreed - 7/12/2019, 21:03
     
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    :Ezio:
    Un incubo, uno dei peggiori mai avuti. Gli occhi di quella donna avevano avuto il potere di trasportarmi per l'ennesima volta in un altro luogo, ma questo era forse il peggiore tra quelli in cui mi ero trovato in questa missione pazzesca.
    Chi era questa persona? Una manifestazione del subconscio di Pandia, come la sua versione horror e le Guerriere bambine, oppure la responsabile di tutto questo casino?
    E se fosse stata davvero lei a manovrare tutto, facendo cadere Pandia in quel sonno profondo e improvviso? Facendole dimenticare di sé stessa, e costringendoci a girare come dei disperati dentro a scatole cinesi via via sempre più orribili? Era questa l'ipotesi più verosimile.
    Quello che mi aveva colpito di lei non erano tanto le sue intenzioni, ma la sua presenza. Nel sogno che stavamo vivendo, lei era più reale, più affilata, come se possedesse una messa a fuoco diversa dalla nostra. E per di più, aveva un modo strano di comportarsi: pareva essere in contatto con qualcuno o qualcosa, che a me non era visibile. Nel fare quello che mi stava facendo sembrava assorta, in ascolto per ricevere istruzioni particolari.
    Mi concentravo su questi pensieri, mi sforzavo di cogliere i particolari della stanza - le pareti bianche, la luce fredda dei neon, il luccichio dei vassoi metallici con i bisturi affilati disposti in perfetto ordine, il colore dei liquidi che stillavano dagli aghi delle siringhe... tutto, pur di non soffermarmi troppo su altro. Sul suo lavoro, sul dolore che mi infliggeva. Anche se era solo un sogno, lo strazio che causavano le lame affilate quando incidevano la pelle delle braccia e del torace era intenso, pulsante, sembrava quasi che si spandesse all'interno del corpo.
    All'inizio, erano tagli superficiali, poi erano diventati più profondi, alcuni avevano raggiunto l'osso; la fase successiva era stata l'asportazione di lembi di pelle, tanto che sul petto e sugli avambracci potevo vedere le striature dei muscoli.
    Il tavolo di alluminio sul quale ero immobilizzato sembrava un tavolo da autopsie, e nei canaletti di scolo si andavano accumulando sangue e sudore.
    L'addestramento fatto serviva a non perdere lucidità, e a trovare il modo di convincere il torturatore a desistere, ma anche se avessi potuto parlare, se non avessi avuto una paletta di legno usata per l'elettroshock bloccata in bocca a mo' di morso, quella persona sembrava insensibile e non interessata alle mie reazioni. Solo in due casi mi rivolse la parola.
    Quando la lama stava per infierire per l'ennesima volta sul mio corpo, dopo ore di tortura, chiusi gli occhi, allo stremo della volontà. C'era un limite al dolore che qualsiasi essere umano poteva sopportare, ed io l'avevo raggiunto. Sentii la lama fredda sullo zigomo; le cambiava di sovente, aveva decine di bisturi a disposizione perché fossero sempre affilati. La sua voce bassa e gradevole mi soffiò un avvertimento:
    ”Non chiudere gli occhi, o ti asporterò le palpebre per impedirtelo”
    Nella poca lucidità che mi restava, capii il suo intento: da ma non voleva nient'altro che questo, che soffrissi, o che qualcun altro soffrisse, assistendo in qualche modo... Pandia.
    La seconda volta non si stava proprio rivolgendo a me, quanto più ai suoi invisibili interlocutori: ”Ci siamo quasi, solo qualche momento ancora e raggiungeremo il 100% dell'energia necessaria!”
    Il suo sorriso raccapricciante si allargò, allungando una mano verso il suo arsenale di strumenti. Repressi un conato di vomito. Se pensavo di aver già visto e passato il peggio, non sapevo cosa mi aspettava.
    Prese una siringa di metallo con una delicatezza riservata solo ad oggetti preziosi e fragili, e l'avvicinò al mio collo. Il liquido che iniettò sembrava piombo fuso, che si faceva strada dentro le mie vene, ustionando tessuti e muscoli al suo passaggio. Ogni battito del mio cuore lo spingeva di alcuni centimetri in circolo. Non avevo un nome per l'agonia che provavo. Il mio corpo tremava e si inarcava in movimenti inconsulti, incontrollabili. Le cinghie di cuoio che mi immobilizzavano mi segavano polsi e caviglie. Le urla e i gemiti erano sempre più soffocati, flebili, perché il liquido mefitico aveva raggiunto la trachea e i polmoni non riuscivano più a far passare l'aria per respirare. Stavo soffocando. La mia aguzzina assisteva trionfante, quasi rapita, ai miei ultimi istanti di vita.
    Fui certo di sentirla mormorare: ”Ci siamo riusciti, Leopold!” prima che fosse spinta via, lontana da me, con violenza. Piombò su quei maledetti vassoi e sui bisturi insanguinati. L'istante successivo, Federico mi stava liberando dalle costrizioni, aiutandomi a mettermi seduto. Ero così spossato che nell'immediato non mi accorsi neanche che respiravo nuovamente, ma notai invece che i vestiti che indossavo, jeans e maglietta bianca, erano tornati intatti e puliti. Anche la mia pelle era sana, segnata solo dalle cicatrici che già mi erano familiari. Alzai lo sguardo grato su mio fratello e lui, senza parlare, mi indicò la porta. Era davvero lui o solo una proiezione della mente di Pandia? Decisi per la seconda idea, non capii neanche bene il perché.
    Mentre raggiungevo la porta di quel luogo da incubo, Ophelia McKay si rialzò da terra, estraendo dalle braccia e dalle gambe i bisturi che le si erano conficcati nella caduta. Il nome che avevo udito dalle sue labbra la aveva collegata a dei dossier che avevamo raccolto sulla Trinity e sugli esperimenti aberranti che stavano conducendo; anche se le nostre informazioni avevano dato tutti loro per morti durante la Guerra dei Deviati, queste non erano semplici coincidenze: così non ero abituato a ritenerle io. La Trinity e la loro ideologia immonda erano ancora all'opera, alleati chissà con chi e per quale scopo.
    Federico si buttò addosso alla scienziata, per darmi il tempo di scappare. Oltre il laboratorio trovai un corridoio lunghissimo, senza altre vie di fuga se non una porta in fondo. Cominciai a correre sempre più veloce, con lo sguardo fisso su quella porta che, pregavo, fosse la mia salvezza. Non avevo altra scelta se non fuggire.
    Ero quasi arrivato in fondo quando, sempre correndo, mi girai: i rumori di lotta erano cessati, e udivo dei passi lenti e sicuri che si avvicinavano. Quella donna era dietro di me. No, non di nuovo...
    Mentre mi appendevo alla maniglia e mi precipitavo dentro alla stanza alla cieca, udii rimbombare la sua risata soddisfatta. Mi appoggiai con la schiena alla porta, sfinito. Pandia e Thot mi fissavano. Non riuscii a controllare la rabbia che mi assalì, come se un interruttore fosse scattato nella mia testa.
    Tutto questo era insensato, una follia che dipendeva in qualche modo da Pandia. Maledizione, perché non era ancora finita? Perché se lei poteva controllare cose come l'invio di persone per aiutarmi, non poteva far terminare per tutti noi questo incubo?
    ”Sei proprio una pazza sadica furiosa!”
    (...)
    Ansimai per il colpo e mi trovai ad ingurgitare acqua. Subito dopo mi tastai con la mano la bocca che sanguinava. Cosa era successo? Mi ricordavo vagamente di aver urlato, litigato con Pandia, di averla accusata di tutte le colpe che le attribuivo, di tutta la rabbia e la frustrazione che mi ero portato dietro negli ultimi tempi a causa della nostra relazione. Era stato così liberatorio...
    Ma da quando la stanza si era riempita di acqua, che continuava a salire? Scossi la testa, per scacciare via la confusione. Eravamo stati nuovamente manipolati dalla McKay e dai suoi compagni. Perché non ce ne eravamo resi conto? Pandia mi stava fissando, la mia stessa consapevolezza negli occhi.
    ”Siete finiti qui solo per colpa mia. Avete passato tutto questo per salvarmi...”
    Mi rialzai da terra, mettendo le mani sui fianchi: ”E ti salverò questa e mille altre volte, non mi importa quanto mi costerà, fosse anche la mia vita!”
    Era vero: avevo appena sfiorato questa possibilità, ma ero pronto a rifarlo. Rimanemmo lì a fissarci per qualche secondo, bagnati fradici.
    ”Ti amo, Ezio!”
    Scrollai le spalle, sorridendo: ”Beh, ti amo anche io, Pandia!”
    Perché avevamo complicato tanto le cose, lei insistendo con richieste futili e io sottraendomi per non essere costretto ad accettarle?
    Ci riportò alla nostra missione l'esclamazione di Thot: ”Ehi, l'acqua ha smesso di uscire, ed è ricomparsa la porta, ora che avete smesso di litigare come due stupidi!”
    La sua voce era tesa, come se a fatica controllasse qualche paura che lo stava inquietando. Lo capivo benissimo: i ricordi di quanto avevo passato in quel laboratorio non mi avrebbero mai abbandonato del tutto.
    Pandia rise, nervosa: ”Sono esausta come non sono mai stata in vita mia!”
    Mi avvicinai a lei per metterle un braccio intorno alle spalle. L'acqua era completamente defluita e Thot aprì la porta. ”Siamo tornati al punto di partenza, alla radura... ma come riusciremo ad andarcene?”
    La porta della cella sparì appena la attraversammo. Pandia si appoggiava a me, il suo braccio cingeva la mia vita. Il generale ci guardò pensieroso, poi disse, quasi con amarezza: ”E' chiaro, siete fatti l'uno per l'altra. Sei un uomo fortunato, Ezio Auditore!”
    Il suo sguardo si appuntò al mio collo, dove mi accorsi di avere una collana da cui non mi separavo mai, ma che nel sogno non avevo mai indossato. La aprii per prendere l'anello Lunare che Pandia mi aveva donato come pegno di sé stessa. Lo osservai assorto, mentre le mie intenzioni si facevano chiare e urgenti come mai prima. Mi morsi un labbro, annuendo all'osservazione di Thot. Qualcosa si era spostato, definitivamente, nel mio cuore. La bilancia degli svantaggi e dei benefici, che era sempre stata in bilico, ora non lo era più.
    Presi la mano di Pandia e le infilai l'anello al dito. Lei provò a sottrarla, avendo il timore che glielo stessi restituendo, che quest'ultima esperienza e la litigata feroce mi avessero fatto cambiare idea, nonostante la riappacificazione avuta. Gliela strinsi, per trattenerla, mentre pronunciavo parole lente e meditate: ”Non ho mai fatto nulla, fino ad ora, per meritarmi il tuo amore... ma voglio rimediare... ora e per sempre...”
    Una risata familiare e terrificante risuonò vicino a noi. Nella radura era comparsa Ophelia, lo sguardo folle e raggiante allo stesso tempo. D'istinto, riparai dietro di me Pandia e feci un passo avanti. Nonostante tutto, avrei sempre avuto un conto in sospeso con quella donna, e avrei potuto già cominciare a saldarlo in quello stesso istante. Anche Thot scattò sulla difensiva, ma lei ci anticipò: ”Grazie, Principessa, per il tuo prezioso aiuto! Cinque minuti e trentatré secondi del tuo tempo che per noi significano la vittoria ed un futuro glorioso!”
    Rimanemmo di sasso quando sparì. Tutto quello che era accaduto era durato solo pochi minuti? Ci guardammo increduli.
    ”Siamo liberi, lo sento... possiamo tornare nel mondo reale”
    Le strinsi la mano, quella che aveva l'anello. Nel mondo reale avremo incontrato Selene, l'Imperatrice: non ero più indeciso, né arrabbiato. Avrei affrontato le conseguenze del nostro amore, perché non era più tempo di nascondersi.
    La radura cominciò a sbiadire, mentre tutto si cancellava in una luce forte, sempre più forte...
    (…)
    ...mi strofinai gli occhi, infastiditi da quella stessa luce collocata sopra il letto su cui ero sdraiato. La testa era pesante, come dopo una bella sbornia.
    Dopo qualche secondo però, qualcosa di strano mi mise in allarme. Non era qualcosa che c'era, ma che mancava. Troppo silenzio, dove erano tutti? Ricordavo che nella stanza c'erano anche Altair e Arno, a vegliare su di noi.
    Mi misi a sedere sul letto di scatto, e le vertigini mi assalirono per qualche istante. Aprii gli occhi, impaziente di capire. Mi trovavo in una stanza piccola, spoglia, al limite dello squallore, che non era sicuramente Nanda Parbat. Balzai giù dal letto ma fu una stupidaggine. Il mio corpo stava risentendo di quello che era successo durante il sogno, e forse di altro, anche se non capivo ancora di cosa si trattasse. Mi sentii rivoltare le viscere. Caddi in ginocchio, vomitando bile verdastra. Un gelo intenso penetrò dentro le ossa, raggiungendo la mia anima. Ero da solo, in un posto sconosciuto. La avevo persa di nuovo?
    Anche se era inutile, e potenzialmente pericoloso dare prova della mia esistenza in un luogo che non sapevo se sicuro o no, non potei fare a meno di sfogare il mio dolore: ”Pandia, dove sei? PANDIA!!”


    Edited by Illiana - 9/12/2019, 16:07
     
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