Present Day #2020: Abstergo

Season 5

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  1. SydneyD
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    La delusione continuava a serrarmi il petto da giorni, come da giorni tentavo di restare da sola con Liam per capire cosa era successo nella gabbia. Ancora non ero in grado di darmi una spiegazione e lui mi evitava come la peste. Mi sfuggiva tra le dita come se non volesse affrontare il mio disappunto, o più semplicemente, non era affatto interessato al mio modo di vedere le cose. Dopo l'ennesimo pranzo con il gruppo, in cui aveva aleggiato, ancora una volta, un silenzio agghicciante, ero riuscita a intercettarlo poco prima che si defilasse. Lo avevo incastrato e costretto ad una sedia…

    “Ma cosa diavolo ti prende?” gli dissi, ormai non poco fuori di me. “Scappi? È diventata una chimera parlare con te…” iniziai a redarguirlo. Lui alzò gli occhi al cielo come se si fosse aspettato una mia simile reazione e poi rispose mantenendo la sua espressione di totale indifferenza.
    “Io non scappo… perché dovrei?”
    “Allora non hai problemi se ti chiedo che cosa è successo nella gabbia! No, perché sinceramente non ci ho capito nulla! Io pensavo che avrei dovuto condurre da te gli Originali per costringerli, una buona volta, a cedere alle nostre condizioni e poter avere finalmente una tregua. Invece…” Avevo quasi il fiatone, le immagini di quei combattimenti mi riempirono la mente e per un brevissimo attimo, quasi impercepibile, mi misero i brividi.
    “Invece?” ribattè lui.
    “Invece è stato un dannato massacro. Non mi riferisco ai duelli, sai benissimo che il sangue non mi impressiona, ma dopo? Hai tramato “tutto da solo” per spedire due Originali al Livello 2 e… Federico Auditore è in fin di vita!” tentai in tutti i modi di contenere il tremolio nella mia voce, mentre pronunciavo l’ultima frase. “Non era questo il piano… non avevo idea di cosa avessi in mente” dissi colta da un profondo fastidio. Mi sentivo tradita.
    “So benissimo qual è il piano e in quel momento non era prevista la vostra collaborazione. Certe cose le faccio da solo” mi rispose ferreo.
    “Ad esempio ingannarmi senza remore? E da quando non ti fidi di me? Da quando le cose le fai da solo?” lo incalzai, ormai una furia cieca mi stava montando in petto. Io ero sempre stata fredda, determinata, ma il mio carattere glaciale prendeva fuoco solo di fronte a Liam. Non ero in grado di mantenere la mia facciata di indifferenza come facevo con tutti gli altri! E questo lui lo sapeva, ma… non glie ne fregava niente.
    “Non è questione di fiducia. Si tratta semplicemente di ottenere dei risultati…”
    “Il fine giustifica i mezzi?” lo interruppi con una famosa massima che ricalcava a pieno il suo deplorevole atteggiamento. “Dunque non ti faresti scrupoli a passare sul cadavere di uno di noi, dei tuoi amici, dei tuoi alleati, se questo ti aiutasse a raggiungere i tuoi obiettivi? Perché, tanto che tu lo sappia, moralmente, lo hai appena fatto con me!”
    Il suo sguardo fisso davanti a se, gelido e penetrante, in totale assenza di una risposta, mi aveva pugnalata direttamente al cuore.


    Mi stavo dirigendo con passo felpato in infermeria, attraversando con cautela i corridoi deserti a quell'ora della notte. Ormai era diventata un'abitudine da parecchi giorni. Una guardia, che era tra gli accoliti di noi Grigi, aveva un debole per me e senza mai essere troppo esplicita la tenevo all'amo per poter avere dei “favori” in caso di necessità. In quel periodo aveva “l‘ordine” di non chiudere la mia cella dopo l’ispezione, così io potevo sgattaiolare fuori e andare in un posto ben preciso…
    Varcai la soglia dell'infermeria facendo attenzione a non farmi beccare. Di notte il personale era ridotto e l’ora delle visite era passato da un pezzo, così non correvo il rischio di essere vista.
    Quella sera uno strano presentimento mi fece indugiare più del dovuto a fianco della porta aperta della sala infermieri. I pochi in servizio sostavano lì chiacchierando e sonnecchiando, monitorando i parametri vitali dei pazienti ricoverati tramite monitor personalizzati, che emettevano dei bip snervanti.
    Udii un’infermiera parlottare e quando un nome in particolare giunse alle mie orecchie mi pietrificai sul posto.
    “Auditore oggi è stato stubato e lo abbiamo risvegliato. Le sue condizioni sono migliorate e può iniziare a respirare da solo senza particolari sforzi. Non ci avrei mai creduto che potesse riprendersi tanto in fretta. Hai visto in che stato era quando è arrivato? Sembrava passato sotto un treno. È un miracolo che sia sopravvissuto all'intervento…”
    La voce della donna mi giunse pacata, ma era ben percepibile l'orrore che aveva provato di fronte a quella scena.
    Io ricordavo molto bene l’espressione attonita di Federico quando aveva realizzato che Liam lo aveva pugnalato, i suoi occhi sgranati… non aveva gettato fuori neppure un urlo, quando era stato brutalmente caricato e pestato dalle guardie. Ma erano troppe, e benché avesse tentato di proteggere gli organi vitali, non era stato sufficiente. Erano in troppi, maledetti bastardi! Mi resi conto di star digrinando i denti e di aver sostato fin troppo in quel luogo. Avrebbero potuto scoprirmi. Mi spostai e raggiunsi la degenza che mi interessava. Entrai senza far rumore, sperando di trovarlo addormentato e le mie preghiere furono esaudite. Federico era lì disteso, inerme e con le palpebre abbassate. Un altro flash del suo volto ricoperto di liquido scarlatto, appena dopo l’assalto, si insinuò pericoloso nella mia mente. Mi fermai a pochi passi da lui, colta da un conato di nausea. Perché diamine reagivo così? La vista del sangue non era mai stato un problema per me ed ora solo un ricordo era in grado di destabilizzarmi… non riuscivo a spiegarmelo e questa cosa mi faceva infuriare.
    Dall'altro lato, fui felice di rivedere quello stesso viso libero dai tubi del respiratore. Ora aveva solo l'ossigeno attaccato direttamente al naso, ciò mi consentiva di notare come le ferite e le tumefazioni fossero ancora visibili ma sulla via della guarigione. “‘Felice’? Ho pensato proprio questa parola e perché mai? Forse intendevo: ‘sollevata’!” Mi sentivo dannatamente in colpa! Li avevo condotti io stessa nella tana del lupo ma non avrei mai sospettato un simile epilogo. Era per questo che avevo vegliato la sua convalescenza ogni volta che mi era stato possibile, soprattutto durante la notte, ma anche di giorno, appena avevo un varco libero per far passare inosservata la mia assenza, mi precipitavo lì. Grazie anche all'appoggio di un'infermiera che ormai si considerava mia amica. Io non l'avevo mai contraddetta, mi faceva comodo. Mi teneva aggiornata sulle condizioni di salute di Federico e copriva le mie incursioni diurne. Avrei dovuto ringraziarla in qualche modo. E lo avrei fatto.
    L'unica domanda che continuava a frullarmi in testa era: Perché?
    Mentre ero seduta su una seggiola a fianco del letto con i gomiti appoggiati al materasso e il viso adagiato sulle mani, guardavo Federico mentre dormiva beato, adesso non avevo più una smorfia di dolore stampata in faccia, la fronte non era più aggrottata e le labbra erano distese, non più contratte. “Perché sono qui?” continuavo a torturarmi con quella domanda, convinta che il senso di colpa, per quanto possente, non mi avrebbe mai condizionata al tal punto. Ogni notte lo stesso risultato: nessuna risposta.
    Erano passati circa dieci minuti. Per fortuna, Federico non si era svegliato e la mia presenza stava passando inosservata. A volte rimanevo molto di più, altre meno, tentavo di regolarmi in base al movimento e al via vai degli infermieri all’esterno. Quella sera, nonostante fosse tutto fin troppo tranquillo, decisi di andare via prima, un fastidioso magone in gola mi rendeva inquieta ed io seguivo sempre il mio istinto.
    Mi alzai con cautela, facendo attenzione a non toccare il suo braccio a pochissima distanza da me. Ma mentre stavo per recuperare la sedia e rimetterla al suo posto, mi sentii afferrare per un polso. Il sangue mi si gelò nelle vene. Mi voltai piano, temendo dentro di me l’espressione che mi avrebbe accolta a breve. Un panico improvviso mi fece pianificare una fuga rapida e indolore, ma la morsa della sua mano grande e fredda, sebbene non fosse implacabile, mi fece desistere. Che cosa gli avrei raccontato per giustificare la mia presenza? Che scusa potevo inventarmi? In un primo momento, il vuoto cosmico mi invase la mente e mi sentii come in trappola. Poi… un'illuminazione. Ecco la mia SCUSA: il senso di colpa!
    “No, aspetta! Non è mica una scusa? È la pura e semplice verità” tentai ancora di convincermi, costringendomi ad affrontare una volta per tutte il suo sguardo.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 12/4/2020, 10:22
     
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