Present Day #2020: Abstergo

Season 5

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  1. SydneyD
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    :Yulia:

    Il mio cuore batteva furioso nel petto. Fin troppo rapido per riuscire a ossigenare bene i polmoni. L'aria mi mancava... o forse era semplicemente l'effetto magnetico del suo sguardo? Mi sentivo pietrificata e non sapevo come avrei reagito se quella voce dietro la porta non avesse interrotto il suo malefico sortilegio. Presa dal panico mi fiondai al riparo dell'enorme testiera del letto, dotata di ampi schermi e attrezzature elettroniche per monitorare i parametri vitali del paziente. Rallentai il respiro che assomigliava sempre più a un fiatone e mi zittii. Non potevo permettermi di essere scoperta, chiunque fosse il misterioso visitatore.
    [...]
    La voce di Bayek di Siwa era pacata e controllata, come potevano esserlo le chete acque di un lago. Dal suo tono traspariva la preoccupazione per le condizioni precarie in cui versava il compagno ferito; l'apprensione di non sapere, riferita ai due Mentori spediti al Livello 2; tutta la tensione di quel momento travagliato che il suo gruppo stava attraversando. Tante emozioni contrastanti, sempre immerse nelle acque del famoso lago cheto.
    Ero certa come la morte che se mi avesse scoperta, in questo preciso istante, non avrebbe dato di matto, insomma non ai livelli di Jacob Frye che mi avrebbe anche tranquillamente staccato la testa dal collo in una situazione simile. Ma d'altronde come biasimare la loro collera, il loro astio e la loro sete di vendetta? Erano stati ingannati ad ogni piè sospinto solo nella speranza "comune" di poter porre finire alle ostilità e collaborare per uscire indenni dall'Abstergo.
    Se solo avessi saputo qualcosa di più. Che cosa avrei fatto? Avrei appoggiato Liam? Avrei tentato di farlo ragionare? No... di certo. Forse aveva fatto bene a tenermi all'oscuro, perché conoscendomi bene, non gli avrei mai consentito un gioco tanto sporco. A costo della nostra amicizia e della nostra alleanza. Anche se poi... anche se non così palesemente, il nostro rapporto si era incrinato sul serio. Dov'era la fiducia che tanto avevo riposto in lui, mio leader, mio amico? Aveva rovinato tutto e ancora ero all’oscuro di troppe cose. Situazione che mi faceva infuriare.
    Per quanto avessi tentato di estraniare la mia mente non avevo comunque potuto fare a meno di ascoltare l'intera conversazione tra i due Assassini e una parte in particolare aveva attratto la mia attenzione. Chi erano queste fantomatiche "ragazze"? Quale sorta di fanciulla era in grado di mettere su un piano per penetrare nell'Abstergo e liberare gli Originali? Si trattava forse di altre Assassine alleate? E perché mai tutte donne? Mmm la cosa proprio non mi convinceva...
    Una strana sensazione mi colse di sorpresa, come uno sguardo indagatore che infilzava la mia schiena. Ma non era possibile. Bayek non mi aveva scoperto. Stava tranquillamente accomiatandosi dal suo compagno.
    "Vieni fuori" mi chiamò Federico, una volta che fu certo che il Mentore fosse andato via. In una condizione di forte disagio, e per la spiacevole percezione di poco prima e per le informazioni "origliate" dalla loro conversazione, uscii allo scoperto.
    Camminavo ancora circospetta, come se da un momento all'altro la porta potesse spalancarsi di nuovo.
    Mi voltai e rimirai in silenzio il volto di Federico, che appariva chiaramente sulle spine. Era evidente che fosse del tutto contrario che io fossi a conoscenza di informazioni tanto delicate (anche se non sapevo fino a che punto). Nonostante ciò, lo vedevo ancora sofferente e lo stress di quegli ultimi momenti lo aveva provato molto. Insomma, si era svegliato dal coma solo poche ore prima e aveva passato quasi tutta la notte a lottare con me e ad affrontare funeree notizie.
    "Io vado" dissi con decisione e mantenendomi a debita distanza da lui. Non ero certa che mi sarei sottratta al suo tocco incandescente, se qualcun altro non fosse intervenuto. Non potevo rischiare.
    "Non se ne parla nemmeno!" affermò sul piede di guerra. "Dobbiamo parlare di un sacco di cose io e te. E tu lo sai" concluse con evidente nervosismo.
    Temeva senza dubbio che potessi spifferare quanto avevo sentito al mio gruppo. E come biasimarlo? Neppure io mi sarei fidata di una tipa come me, dopo tutto quello che era successo. Ma io non potevo rimanere... la notte stava fuggendo via e non potevo rischiare che mi beccassero in flagrante. E poi...
    "Devo riflettere..." dissi ad alta voce dirigendomi verso la porta chiusa. Ciò che non mi aspettai fu la reazione di quel pazzo di Federico, che iniziò a tirar via le cannule e gli elettrodi attaccati al suo corpo, con la seria intenzione di raggiungermi.
    "Non credere che te la caverai tanto facilmente, biondina..." aveva iniziato a dire, ma io ero già lì, vicina a lui, che tentavo di rimettere tutto a posto, per evitare che qualche sensore dei suoi parametri vitali iniziasse a trillare, richiamando l'attenzione delle infermiere al completo. A quel punto non avrei avuto scampo.
    "Ma sei pazzo? Vuoi che mi scoprano?" lo rimproverai mentre già seduto, e con le gambe penzoloni, provavo a farlo stendere di nuovo. In quel momento però biascicò: "Non puoi andare vi..." e svenne.
    La sua mole non indifferente si accasciò all'improvviso e per non farlo scivolare a terra, lo sostenni da sotto le braccia in un abbraccio caldo ma che di romantico aveva ben poco. Sembrava avesse il peso di una montagna e con non poca fatica riuscii a risistemarlo tra le lenzuola. Per fortuna aveva appena fatto in tempo a staccare le flebo ma gli elettrodi erano ancora al loro posto. L'allarme non era scattato. Tirai un sospiro di sollievo e mi soffermai solo un attimo a osservarlo da vicino. Mentre dormiva era decisamente più semplice. Lo avevo sperimentato molte volte. Riordinai i corti riccioli neri con la punta delle dita e potei notare la mandibola contratta e la fronte aggrottata. Soffriva ancora.
    "Alla fine hai ceduto..." sussurrai piano. "Riposati adesso... avremo tempo per parlare" conclusi con un’inspiegabile morsa che mi attanagliava il cuore.
    [...]
    Finalmente la giornata era giunta al termine. Riuscivo ad ottenere sempre gli ultimi turni alle docce per avere un po’ di privacy e un po’ più di tempo rispetto a quello concesso alle altre prigioniere. Non era certo una velleità di bellezza o un motivo per dedicare più attenzioni al mio corpo, ma era più un momento di relax in cui potevo rimanere sola con i miei pensieri, senza interruzioni esterne.
    La sala degli spogliatoi, anticamera delle docce, era deserta e presi a spogliarmi con tutta calma per poi infilarmi in uno dei box, incubato da piastrelle candide ma rimaneva aperto sulla parte posteriore. Non avevo nulla di cui vergognarmi. Avevo un fisico sinuoso e slanciato, ma odiavo il solo pensiero che qualcun altro potesse vedermi nuda contro la mia volontà. Che diamine, un po’ di riserbo era dovuto a un essere umano, no? Eravamo pur sempre in una prigione e parecchie di queste “questioni” passavano del tutto inosservate. Mi scrollai anche da quei pensieri snervanti e mi godetti il getto dell’acqua bollente che cadeva in rivoli gentili su tutto il mio corpo.
    Senza neppure volerlo, la mia mente volò a quattro giorni prima, quando avevo memorizzato in ogni suo tratto il volto addormentato di Federico. Era l’unico modo per potergli stare accanto senza franare in una furiosa litigata. Da svegli era impossibile stare l’uno di fianco all’altra e non urlarci contro. Da quel giorno non ero più tornata in infermeria. Non potevo rischiare tanto, ma questo non era l’unico motivo. La realtà era che lui sarebbe stato sveglio e che i discorsi che avremmo dovuto affrontare sarebbero stati troppo spinosi e importanti per non assicurarci l’ennesima lite. Non ne avevo proprio voglia.
    L’acqua calda ormai stava per finire, avevo svolto tutte le mie abluzioni, ma continuavo ad indugiare senza un reale motivo. All’improvviso, una presenza incombente alla mie spalle mi gelò il sangue nelle vene e non feci in tempo a voltarmi che una mano mi tappò la bocca e mi costrinse con la tempia contro le piastrelle gelate della doccia.
    Una cosa però mi parve fin troppo strana: oltre a sentire il peso del corpo del mio aggressore, percepivo il contatto con un tessuto morbido, che stonava in tutto il contesto. La soffice spugna di un asciugamano poggiava sulle mie spalle e avvolgeva le mie braccia. Era trattenuta in bilico tra la mia schiena e il petto dell'uomo. Se solo lui si fosse spostato mi sarei trovata nuda come un verme davanti a lui. Poi un profumo speziato, come di muschio aromatico e vaniglia... lo avrei riconosciuto tra mille, come riuscivo a distinguerlo anche tra i disinfettanti e gli odori pungenti dell'infermeria.
    "Federico..." dissi biascicando nella sua mano. Lo sentii sorridere con un tono basso ed inquietante.
    "Abbiamo lasciato qualcosa in sospeso, io e te, biondina!" disse con ironia e mi lasciò libera la bocca, ma non si scostò dal mio corpo.
    "Che diavolo ti è saltato in mente? E che stai facendo lì dietro appiccicato come una sanguisuga?" sussurrai con la gola in fiamme. Avrei voluto urlare ma non potevo attirare attenzioni indesiderate e lui lo sapeva bene. Il calore della sua vicinanza mi stava facendo perdere il senno e non avevo nessuna intenzione di cedere al suo fascino. Perché sì, dannazione, era sexy da morire ed io non ero nelle migliori condizioni per poterlo affrontare senza fallire miseramente.
    Mi fece voltare piano e continuò a sostenere l'asciugamano a coprirmi anche "il davanti". Non avevo il coraggio di guardare in basso, sarebbe stato troppo imbarazzante, ma non c'era pericolo che lui sbirciasse, continuava a tenere i suoi occhi incastonati nei miei. Sarei voluta precipitare mille volte in quei suoi grandi pozzi neri, ma non lo avrei mai ammesso, neppure sotto tortura!
    "Avevo una certa fretta di incontrarti" rispose lui candidamente alle mie domande di poco prima, che io avevo pressoché dimenticato... "Mi hanno dimesso stamattina è beh, sai, non potevo aspettare. Non sei più venuta a trovarmi..." continuò con fare finto imbronciato, mentre con la punta del naso stuzzicava la mia guancia e si portava sempre più vicino all'orecchio e al collo.
    "Non mi è sembrato che gradissi le mie visite!" risposi, reprimendo un fremito improvviso. Poi tentai di recuperare le mie facoltà mentali. "Adesso potrei asciugarmi e rivestirmi? Sto congelando..." conclusi battendo leggermente i denti. La tovaglia era molto ampia, ma i capelli lunghi erano fradici e gettavano una cascata di gocce gelate sulle spalle e le braccia rimaste scoperte e che sentivo ormai rigide per il freddo.
    "Certo... anche se è proprio un peccato. Sei uno spettacolo niente male" disse sorridendo a pochissimi centimetri dal mio viso, prima di sparire per andare a recuperare un altro asciugamano. Quel senso di vuoto improvviso quasi mi diede la nausea, ma tornò in un lampo e si mise paziente a frizionare con cura i miei capelli bagnati.
    Quel gesto mi sembrò così intimo che arrossii come una quindicenne, lieta che non potesse scorgermi.
    "Vieni qui... Non voglio che ti prendi un malanno per colpa mia. Io ce l'ho una coscienza... Al contrario di qualcuno che conosco!" mi disse enfatizzando l’ultima frase.
    Io feci per allontanarmi da lui, spingendolo in malo modo, ma non calcolai il pavimento umido e scivolai in avanti, andando a sbattere contro il suo petto che pareva fatto di marmo, protetto solo da una canotta di cotone nera. Mi aggrappai disperata alle sue braccia per non rovinare a terra, con l'unico inconveniente che il telo avvolto al mio corpo cadde, lasciandomi praticamente nuda e spiaccicata contro di lui. Non osavo guardarlo e mille maledizioni mi passarono per la testa.
    "Eh no biondina. Allora è un vizio... Non sono mica fatto di pietra... e non aspiro neppure alla santità. Tutt'altro!" disse buttando fuori una risata cristallina. Mi sembrò davvero sincera, come se tutto il male che aveva vissuto fosse scomparso per un breve, piccolissimo attimo.
    Fui un razzo. Mi staccai da lui, raccolsi il telo di spugna e mi precipitai più veloce della luce nello spogliatoio. Sperando con tutto il cuore di non prendere qualche altro brutto scivolone, evitando l'ennesima pessima figura. Ma dove cavolo era finita la maschera di fredda indifferenza che mi fregiavo di esibire con tutti coloro che mi si avvicinavano? Ne avevo un dannato bisogno ma di fronte a quello sfrontato, continuava a latitare. Maledetta!
    [...]
    Ormai ero vestita di tutta punta quando Federico fece capolino da dietro gli armadietti, quasi avesse calcolato il tempo con un cronometro.
    "Va bene, adesso parliamo" iniziai con furore per coprire l'imbarazzo. "Chi sarebbero queste fantomatiche 'ragazze' che devono venire a salvarvi?" chiesi stizzita. Perché avevo dato più importanza al "chi" e non al piano per la loro salvezza? Ci avevo rimuginato su per giorni, senza riuscire a trovare una risposta e con una spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco.
    "Hai spifferato tutto ai tuoi amichetti?" incalzò lui...
    Rimasi di stucco. Era davvero convinto che avessi fatto la spia?! Ero incasinata fino al collo. Non sapevo di chi potermi fidare, ogni mia certezza era andata in frantumi. A chi avrei dovuto raccontarlo?! E poi che cosa?
    "Non arrivare a conclusioni affrettare, caro mio. La verità è che non ci ho capito proprio nulla. Quindi cosa avrei dovuto riportare, sentiamo... e poi non rispondere a una domanda con un'altra. Lo odio!"
    "Che cosa vuoi sapere? Chi sono queste ragazze... che te ne importa? Sei forse gelosa?"
    Mi sentii punta sul vivo. Aveva dato un nome alla strana sensazione che avevo provato nei giorni passati... ma non poteva essere vero, non “doveva” essere vero. Sarei stata un pazza scriteriata se fossi stata gelosa di Federico Auditore.
     
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