Present Day #2020: Abstergo

Season 5

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  1. Tharia
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    Annarita
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    I miei passi erano veloci, affannati, desiderosi di trovare un riparo ad occhi indiscreti. E sapevo che ce n’erano fin troppi. Cercavo di non correre, di non dare nell’occhio, di sembrare normale, ma non è facile perseguire questo scopo quando il tuo corpo va a fuoco, i tremori rischiano di spezzarti in due e la febbre ti lacera dall’interno.
    Il mio tempo stava per finire. Il mio tempo tiranno stava dandomi nuovi segnali.
    “Tic-toc, tic-toc, datti una mossa O’Brien, oppure farai la fine del topo...” Ecco cosa mi urlava nella testa, spingendomi ad andare ogni volta oltre i limiti, portandomi a ferire e a perdere le persone a me care. In fondo, cominciavo a credere che fosse questo il mio destino, fin dall’inizio. Fin da quando questa maledizione si era incarnata nelle mie cellule e aveva cominciato a cambiarle. Mentre io rimanevo lo stesso, non volevo mutare con esse. Era questo il gap incriminato, l’anello debole dell’intera catena, l’unica vera motivazione a tutte le mie follie. Perché una certezza ce l’avevo in mezzo a tanta confusione: io non volevo essere un Deviante, piuttosto avrei trovato il modo di darmi la morte. Con la stessa consapevolezza però, non volevo che tale morte arrivasse da loro.
    Mi infilai di soppiatto nei bagni comuni per soli uomini, l’unico rifugio utile per sfuggire al controllo testardo della mia inseguitrice di quei giorni: Evie Frye.
    Dagli eventi del Fight Club, gli Originali mi stavano alle calcagna. A dirla tutta, ero sorpreso di non aver già subito qualche rappresaglia, anche se la vendetta non era tra le loro prerogative, sapevo che tra le loro fila militavano teste calde capaci di tutto: la rissa di qualche settimana prima ne era la prova. Tuttavia, si erano limitati a uno stalkeraggio serrato, quasi h24. Si davano i turni per giorni interi, salvo mollare la presa nelle ore notturne quando tutti i prigionieri erano costretti a rimanere chiusi nelle proprie celle. Pensando a questa “fortuna”, non potei fare a meno di tirare un sospiro di sollievo. Senza questa regola non avrei potuto attuare la seconda parte del mio piano.
    Trovai una cabina libera, tentando di ignorare gli sguardi curiosi di altri due prigionieri che si stavano lavando prima di uscire. Mi rannicchiai nel piccolo vano e respirai a fondo, le dita a massaggiare le tempie bollenti, le palpebre dolenti e le labbra secche. Dovevo solo attendere che passasse il peggio, per tornare presentabile. Mostrarmi debole avrebbe solo innescato un meccanismo terribile in cui non solo io ci sarei andato di mezzo… D’altro canto, dovevo preoccuparmi solo degli Originali ficcanaso, perché i Grigi, da tempo ormai, mi stavano alla larga. Ognuno, a loro modo, risentiva del gelo che si era creato fra me e Yulia. Yelena per ovvi rapporti con lei, Lin di conseguenza, Morrigan ed Emir avevano sempre rappresentato un nucleo a sé.
    Paradossalmente, l’assenza delle persone che mi stavano più a cuore, in questo momento, rappresentava la mia salvezza.
    Dovevo darmi una mossa, altrimenti la Frye si sarebbe insospettita se fossi rimasto qui troppo a lungo. Uscii dalla cabina e con sollievo constatai di essere solo. Mi avvicinai ai lavandini e feci scorrere l’acqua dal rubinetto per un tempo che mi parve infinito prima di riempire le mani a coppa e buttarmela sul viso, una, due, più volte. Lasciai che il liquido fresco lenisse la temperatura e alleviasse i tremori, poi mi guardai allo specchio e fui costretto a stringere le palpebre per il fastidio.
    Non perché il mio riflesso non fosse più quello a cui avevo abituato tutti coloro che mi conoscevano – i cerchi scuri sotto gli occhi, la pelle fin troppo pallida, le iridi chiare più simili al vetro che a un lago cristallino – ma a causa del secondo riflesso che vi scorsi.
    “Vedo che neppure i bagni degli uomini riescono a darmi un po’ di privacy, se intendi aiutarmi anche nei miei bisogni primari, basta avvisarmi…” La mia voce era resa tagliente dall’irritazione, un po’ camuffata dal mio solito sarcasmo.
    Evie Frye se ne stava appoggiata allo stipite della porta con la spalla, in posizione di totale rilassamento. Mi sfidava, forse, oppure semplicemente non gliene fregava nulla di essere beccata in luoghi proibiti.
    “Non sono interessata ai tuoi bisogni, non ti montare la testa. Eseguo solo degli ordini. E tu sai bene quanto io sia ligia al mio codice…”
    Il riferimento poco velato all’imboscata che avevo teso ai suoi compagni, insieme allo sdegno di cui erano intrise le sue parole mi fecero comprendere ben più di una cosa: dovevo agire con maggiore attenzione per portare a termine il mio piano, dovevo stare in campana e tenere gli occhi ben aperti se non volevo ritrovarmi a compiere qualche passo falso.
    Il suo sguardo indagatore frugava il mio viso in cerca di indizi e risposte in merito al mio stato. Di certo aveva notato che non ero in salute come ricordava durante i nostri ultimi “approcci”, ma i motivi potevano essere milioni ed io non avevo alcuna voglia di star lì a ciarlare ancora con il nemico. Avevo cose ben più importanti da fare.
    “Stai per caso perdendo colpi, O’Brien?” Piegò la testa di lato e non smise di fissarmi nello specchio. Fu allora che ruppi il contatto visivo e mi voltai di lato per asciugarmi con qualche salvietta di carta.
    “Vi piacerebbe, vi farebbe comodo, vi renderebbe tutto più facile, vero? Ma no, Frye, riferiscilo pure a chi di dovere. Porterò a termine quanto c’è da portare a termine, con o senza di voi a rompermi le palle.” Non le diedi tempo di replicare, non avevo voglia di esporre ancora una volta la mia debolezza al mondo, tantomeno a un’Assassina che continuavo a trovarmi tra i piedi. Sbuffai, prima di sbattermi la porta del bagno dietro le spalle.
    […]
    “Ehi… ciao. Possiamo parlare un attimo?”
    Aspettavo questo momento da tempo, non che l’avessi sollecitato in qualche modo, intendiamoci. Tuttavia, sentivo che sarebbe giunto quando i tempi sarebbero stati maturi e lei avrebbe riflettuto a lungo sul nostro rapporto.
    “Parliamo pure. È arrivato il momento!”
    Un po’ a fatica, mi sedetti su una panchina in direzione della distesa erbosa che circondava questa maledetta prigione. Un modo come un altro con cui l’Abstergo ci informava di averci rinchiusi, come miserabili insetti, in una campana di vetro. Stranamente, però, questo punto di osservazione mi aiutava a riflettere, forse perché mi distraeva dal mare di bianco in cui eravamo costretti a vivere giorno e notte.
    “Non stai bene…” constatò Yulia con voce preoccupata, anche se ancora tesa.
    “Sapevamo che sarebbe successo. Ma non siamo qui a parlare di questo, o sbaglio?” Parlavo con tono calmo, conciliante, non desideravo issare un muro impenetrabile. Ciò nonostante, continuavo a guardare verso l’orizzonte, l’unico punto fermo che avevo in questo istante.
    “No, hai ragione. La verità è che ho bisogno di capire…Perché? Perché l’hai fatto alle mie spalle, perché mi hai tenuta fuori dal tuo piano, perché non ti sei fidato di me?” Aveva parlato tutto in un fiato, come se avesse trattenuto ogni singola sillaba in una pentola a pressione per troppo tempo.
    Attesi qualche attimo prima di rispondere, volevo che il cuore – che batteva forte nel mio petto – riprendesse a un ritmo normale. Non doveva comprendere il mio turbamento.
    “Non ho mai perso la fiducia in te, non me ne hai mai dato motivo. Al contrario, io te ne ho dati mille per dubitare di me. Nei tuoi panni mi sarei comportato alla stessa maniera” esordii, schiarendomi subito dopo la voce: era diventata troppo roca. “Non posso coinvolgere te e i ragazzi in tutto questo. Ho deciso che se qualcuno deve procedere a passo spedito verso l’inferno, quel qualcuno devo essere io.” Con un cenno della mano le impedii di interrompermi. “Fammi finire, solo così potrai trarre le tue conclusioni. I piccoli non sanno del mio problema, ma tu sì. Conosci molto bene le conseguenze a cui vado incontro se non usciamo da qui prima che il tempo scada. Per questa ragione devo agire oltre le regole, oltre la morale, oltre quello che ci lega. Se ti avessi messa a parte del mio piano al Fight Club me lo avresti impedito, oppure ti saresti macchiata con me di un’azione non degna del nostro codice. Credo in ciò che vi ho insegnato, ma per me è arrivato il momento di scavalcarlo. Ciò non significa che debba toccare anche a voi la stessa sorte.” Presi fiato e lei approfittò per inserirsi, anche se parlò con una voce talmente sottile che feci fatica a udirla.
    “Non hai alcun diritto di decidere per tutti noi.” Non era una vera protesta, lo sentivo, in fondo comprendeva le mie ragioni anche se non le condivideva. Lei era una persona buona, pura più di quanto immaginava.
    “Per permettervi di decidere, dovrei raccontare ogni cosa. Come pensi che la prenderebbero i ragazzi? E tu? Riusciresti davvero ad andare fino in fondo per restare al mio fianco? Significherebbe sporcare la propria dignità di Grigio e di essere umano. Non sono domande per le quali voglio una risposta. Le conosco alla perfezione. Per questa ragione ho agito così… e continuerò a farlo. La sentii voltarsi di scatto nella mia direzione, io però, seguitai a guardare in avanti.
    “Non è ancora finita, vero? Fin dove dovrai spingerti ancora?” mi chiese con voce tremante.
    “Fin oltre la soglia di questa dannata prigione… E farò tutto il necessario per arrivarci. Senza di te, senza di voi.” Il mio cuore prese a tempestare la gabbia toracica, percepii una breccia farsi largo sulla sua superficie. Non immaginavo che il dolore della perdita sarebbe stato così lacerante. Per questo mi alzai, sfiorandola appena con il mio sguardo contrito. Solo per pochissimo tempo, qualche attimo in più e sarebbe stato ancora più difficile.
    “Non puoi mollarci così, ci devi un po’ di rispetto dopo quanto ti abbiamo dato…” Un groppo in gola le impediva di parlare chiaramente, mentre alcune lacrime affollavano gli angoli dei suoi occhi chiari ma si rifiutavano di scorrere via. Era chiaro che parlava al plurale ma si riferiva soprattutto a se stessa. Fu come ricevere una coltellata in pieno petto, ma non arretrai.
    “Se mollarvi corrisponde a salvarvi la vita, allora lo farò eccome. Anzi, direi che è addirittura un mio dovere” rincarai la dose, con tono volutamente duro. Tuttavia, prima di avviarmi verso il cortile e chiudere del tutto la questione, avevo un’ultima cosa da dirle. “Sono vivi. Auditore e Ibn-La'Ahad sono ancora vivi. Saranno sottoposti a prove molto difficili, ma potrebbero farcela. Riferisci anche tu a chi di dovere.” Non poteva immaginare che solo qualche ora prima avevo inviato un altro messaggio agli Originali attraverso Evie Frye. Questo però aveva una duplice valenza: una specie di regalo di addio e un monito: doveva sapere che le sue mosse non mi erano sconosciute. Non avrei smesso di interessarmi al loro destino, solo che non sarei stato io a determinarlo. Non più.
     
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