Present Day #2020: Imperial Palace

Season 5

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    Sono Helios, il dio del Sole. Nasco come paradosso. Rampollo della famiglia che regna sulla Luna da generazioni e generazioni, erede al trono di un Impero Galattico che ha come sede proprio la superficie del piccolo astro, eppure governo il Sole, traino la sua forza immensa e la spargo in tutto il Sistema. Ciò nonostante, sono stato barbaramente falciato da una forza oscura quanto la notte. Ho perso tutto ciò che ero, che avevo, che sarei potuto essere e che avrei potuto avere. Sono diventato un niente tra gli avelli di un Ade che avrei dovuto conoscere, ma che si era dimostrato un luogo tanto sorprendente quanto spaventoso. Immaginavo che non avrei avuto pensieri, una coscienza, dei ricordi; e invece no, avevo sofferto l’ingiustizia di una morte fin troppo prematura, avevo osservato la mia amata sorella – e promessa sposa – proseguire la sua esistenza senza di me, senza la sua amata famiglia. Il cuore si era squassato nel mio torace quando il nostro più acerrimo nemico aveva preso il mio posto al suo fianco, accaparrandosi non solo il benvolere di una delle donne più importanti della mia vita, ma soprattutto un titolo che non avrebbe mai dovuto cadere in mani simili. Ma il tempo era trascorso, in maniera strana, quasi dilatato nel suo “non-scorrere”, fino ad attutire il dolore, il risentimento, la paura di un imminente tradimento.
    Ritornare a vivere non era mai stato nei miei piani, né in quelli di mio padre, di mia madre, della mia sorellina. Ma i piani di altri avevano previsto proprio questo: riportarci – in carne ed ossa – al cospetto di un Impero che ci spettava di diritto. Tuttavia, come avevo avuto modo di “vedere”, ogni cosa era cambiata. Dall’altra parte del fiume Stige, i sentimenti erano ovattati, quasi da farmi temere di non essere davvero io a provarli, ma qui, adesso, tutto era diverso, più intenso. Vivevo ancora: sentivo sulla pelle il calore di quell’astro che avevo sempre amato e protetto, assaporavo la gioia di aver ritrovato Selene, potevo di nuovo bearmi del profumo di mia madre, del cipiglio di mio padre, della spocchia di Eos – non che mi fosse particolarmente mancata – ma era un suo tratto distintivo che a volte trovavo persino divertente. Oltre lo Stige tutto ciò era come congelato, senza spessore e reazioni, in fondo… eravamo morti.
    Assieme a tutto questo, però, mi ero ritrovato ad ammettere che avevo smesso di “odiare” Endymion, la prova che mio padre gli aveva fatto sostenere nella Sala dei Troni mi era stata sufficiente per capire che il loro amore era indissolubile e la mia intromissione avrebbe solo ed esclusivamente scatenato incidenti inutili, che non avrebbero portato a nulla. E io non amavo creare baruffe senza scopo, ma di una cosa ero sicuro, non sarei stato a guardare mentre tutto ciò che un tempo mi apparteneva veniva affidato a stranieri e miseri umani. Per questa ragione avevo assistito paziente alla riunione della famiglia reale, avevo lasciato che ognuno esponesse i propri dubbi e le proprie condizioni, ma attendevo con trepidazione il mio momento.
    La notizia di avere delle nipotine mi aveva entusiasmato, non vedevo l’ora di poterle vedere crescere, per me questo era uno dei tanti miracoli a cui stavo assistendo, e quindi venire a sapere dell’intenzione di Selene di tornare a vestire i panni di Guerriera mi aveva impensierito non poco. Come sempre, nostra madre aveva posto le sue condizioni e quelle avevano, di contro, acquietato il mio animo. Ero abbastanza furbo da capire che, se la veggente Theia le stava permettendo una cosa del genere, aveva di già previsto un futuro non tragico per lei. Il cuore prese a battere furiosamente, di nuovo, quando quest’ultima mi diede finalmente la parola. Era giunto il momento di mettere le carte in tavola, come tutti avevano fatto prima di me.
    “Sorella, cognato, vorrei farvi presente il mio più totale appoggio alle vostre decisioni e mi metto a disposizione nel caso in cui i nostri genitori, o voi, abbiate bisogno di supporto in qualsiasi settore riteniate opportuno. Tuttavia, visto che ognuno di noi ha esposto le proprie esigenze, ho deciso di fare altrettanto.” Notai la mascella di Endymion farsi più rigida, mentre Selene continuava a guardarmi con un sorriso radioso. Il primo aveva già intuito quali sarebbero state le mie rimostranze, la seconda forse ancora no, oppure era certa che non avrebbe trovato problemi a porvi rimedio. Io, comunque, mi rivolsi a tutti gli astanti, il potere era formalmente passato ai miei, ma loro due avrebbero fatto da consiglieri, ignorarli non sarebbe stato saggio. Mi schiarii la voce prima di continuare. “Da quando ho ricevuto il dono di una seconda vita, solo due cose hanno oscurato questo ritorno. La prima: il mio ruolo di Generale dei Moon Knights ricoperto da un marziano, non riesco a capire il motivo di una simile scelta. Ci saranno stati molti valorosi soldati della Luna che avrebbero potuto prendere il mio posto con lo stesso valore e lealtà. Perché avete scelto di affidarlo a un marziano, certo, di famiglia reale, ma comunque uno straniero? La seconda: conferire ai Templari, a degli umani, a degli esseri inferiori, un ruolo tanto importante come quello di Esercito di tutto l’Impero mi è parsa una vera follia. Non solo, ad oggi, il loro Gran Maestro è ancora un umano! Certo, di sicuro avete fatto in modo da renderlo più longevo, con abilità sopra la norma, ma ho comunque la sensazione che si tratti di un grave affronto verso il lavoro di nostro padre e di suo fratello che hanno lavorato su di loro come se fossero scimmie. Ritrovarli così in “alto” mi ha lasciato sbalordito!” Avevo parlato con una calma invidiabile, prendendo le giuste pause, osservando le reazioni dei vecchi e dei nuovi Imperatori. Selene era serena, ma pareva scalpitare per darmi le spiegazioni cui anelavo. Aveva atteso che terminassi di parlare, come il suo carattere dedito alle regole le imponeva, e non mancò di fare un bel respiro profondo prima di ribattere.
    “Caro fratello, so bene quanto questi cambiamenti possano turbare chi come voi ha lasciato un Impero con un determinato assetto e lo ritrova dopo millenni totalmente cambiato. Anche noi siamo soggetti al tempo ed è lui il tiranno e il benefattore dei nostri giorni, ci ha permesso di aprire nuovi orizzonti, far cadere inutili barriere e trarre i migliori vantaggi da un potere più ‘aperto’ verso l’esterno. Thot, erede al trono della Contea di Marte, ha salvato la mia vita diversi anni orsono, sacrificando la sua. Per questa ragione ho deciso di usare su di lui il potere della Luna e riportarlo tra noi, conferendogli successivamente questo ruolo molto importante. Ha dimostrato una lealtà senza limiti, una competenza militare – grazie proprio alle sue origini marziane – davvero strabiliante e ci fidiamo di lui tanto quanto ci fidiamo di noi stessi…” Strinsi forte i denti, ingoiando il rospo che sembrava essersi incastrato nell’esofago. Tentai di non mutare la mia espressione, ma non fu facile. Selene aveva parlato mostrando decisione, ma anche affetto e una purezza d’animo che mi aveva letteralmente falciato. La sua vita era troppo preziosa per non ripagare in maniera adeguata colui che l’aveva preservata con tanto ardore. I pugni si trasformarono in due morse di metallo, ma tornarono ad essere semplici dita poco dopo. Mi obbligai ad annuire, riconoscendo il mio plauso alla loro scelta. Fu allora che prese la parola Endymion, non prima di aver stretto la mano di Selene nella propria.
    “Per quanto riguarda i Templari, invece, si è trattato di un percorso molto lungo. Sul Pianeta Proibito hanno fin da subito mostrato il loro valore e la loro dedizione, solo successivamente hanno portato a termine missioni molto difficili su altri pianeti, dimostrando che la loro ‘caducità’ non rappresentava un deterrente. Hanno inventato macchine, armi, mezzi per superare i loro limiti e a un certo punto, quando uno di loro – il Gran Maestro Haytham Kenway – è stato ucciso, la nostra decisione è stata quella di portarlo qui. Non potevamo permettere che un essere così brillante ed eroico terminasse in modo tanto barbaro la propria esistenza. Senza di lui i Templari avrebbero perso la scia prodigiosa che stavano seguendo, e da qui il resto è abbastanza intuibile. Sono diventati una forza armata diversificata, addestrata a muoversi in qualsiasi tipo di ambiente, utilissima per tenere al sicuro persino le zone più remote dell’Impero. Il loro Gran Maestro si è dunque guadagnato sul campo, in centinaia di anni, il ruolo che ricopre.” Non avevo osato interrompere. La realtà era che non avevo argomenti per farlo. Fui attratto dallo sbuffo irritato di mio padre. Il grande Hyperion faticava quanto me ad accettare che un semplice umano fosse arrivato a tanto, ma i fatti non lo potevano smentire. Ingoiai un secondo rospo e i pugni tornarono a farsi di ferro, questa volta rimanendo tali.
    “Dal momento che ci sono due valorosi a ricoprire i ruoli di comando più importanti del Sistema, di grazia, quale ruolo dovrebbe ricoprire il sottoscritto? Un semplice Principe dell’Impero Galattico? Non era mia intenzione farcire con feroce sarcasmo la mia domanda, ma non ero riuscito a trattenermi. Volevo ritornare a combattere, a mettere in pratica il mio addestramento, ad avere uno scopo nella mia nuova esistenza. Desideravo dimenticare l’inattività patita, l’assenza di emozioni, la morte dell’anima. Rimasi dunque in attesa di una risposta, che non arrivò né da Selene, né da Endymion. Ma di questo non rimasi affatto sorpreso.
    “Figlio mio, le tue motivazioni sono più che lecite. Ed è anche vero che rimuovere uno dei due esponenti più in vista delle Forze Armate dell’Impero potrebbe creare troppa confusione e malcontento nei due eserciti. Entrambi godono di una fiducia incondizionata. Pertanto, avrei una proposta che non andrebbe a intaccare alcun ruolo, né ti porterebbe ad avere contatto diretto con i soldati…” La voce di Theia irruppe con la sua solita diplomazia, leggendo persino i miei pensieri più reconditi. Sapevo che conosceva il mio cuore meglio di chiunque altro, perciò mi affidai completamente al suo giudizio. Non mi avrebbe deluso.
    “Prego, madre, dicci cosa hai in mente!” la esortai curioso, invidiando per un attimo le abilità di strega delle donne della mia famiglia.
    “Ti occuperai di fare da collegamento tra noi Imperatori e i Templari, conferendo con il Gran Maestro Kenway. Fino ad oggi, quest’ultimo ha stretto un legame di fiducia con i precedenti Imperatori, ma ora è tutto cambiato. Lui manterrà la sua sfera di comando e di controllo dell'esercito, ma dovrà riferire a te ogni dettaglio in qualità di Stato Maggiore. Tu, a tua volta, riporterai a noi le questioni che riterrai degne di nota e bisognose del nostro giudizio. Mi sembra un ottimo compromesso, non sei d’accordo?”
    Il mio sguardo concentrato si fissò in quello soddisfatto della donna che mi aveva generato, ragionavo sulle sue parole, mentre la consapevolezza di non essermi sbagliato a fidarmi di lei si faceva strada dentro di me. Non avrei avuto a che fare direttamente con i discendenti degli umani. Kenway avrei potuto tollerarlo e – se dovevo essere del tutto sincero – ero curioso di conoscere questo “grande uomo”. E avrei mantenuto una posizione di considerevole potere politico e militare.
    “Sì, madre, credo che si possa fare. Non ci resta che annunciare il tutto al diretto interessato!” conclusi, ignaro degli strani sguardi che Selene ed Endymion si scambiarono di sottecchi. In realtà, non potevo immaginare come sarebbe stato l'incontro con il Templare, né mi sembrò il caso di pormi un dilemma simile, la decisione era stata ormai presa.


    :Haytham:
    Accavallai le gambe con fare disinvolto, incrociando le dita sul grembo. Il mio viso non mostrava alcuna espressione riconoscibile, ma non per questo non stavo provando nulla. Al contrario, il centro del mio petto assomigliava a una piccola burrasca, contenuta, misurata, com'era tutto ciò che mi riguardava, ma questo non smentiva la natura di quanto si muoveva proprio lì, tra le costole.
    Avrei dovuto riferire ogni mia decisione, ogni mio movimento, ogni mia idea a un damerino impettito appena tornato dall’aldilà? Poteva anche essere un Principe dell’Impero redivivo, ma ai miei occhi assomigliava molto di più a un ragazzino viziato che reclamava un po' di attenzioni dai suoi genitori altolocati. No, non dovevo pensare certe cose! Ero prima di tutto un soldato, eseguivo gli ordini dei miei Imperatori, mi fidavo ciecamente del loro giudizio. Ma erano lì lo stesso quei pensieri, come lame in stato di affilatura, che aspettavano di affondare in carne tenera e cedevole. Sì, perche ogni certezza era stata capovolta: erano cambiati gli Imperatori, i rapporti di fiducia creati in anni e anni di complicità erano stati spazzati via da un semplice comunicato, al generale Thot sarebbe venuto un infarto non appena avesse appreso la notizia.
    Fissai negli occhi il giovane Principe, impettito di fronte a me, contrariato per il fatto che mi ero a malapena alzato per omaggiarlo salvo poi ritornare al mio posto dietro la scrivania massiccia del mio studio. Lo sapevo bene, lo stavo trattando come un qualsiasi altro sottoposto, ma avevo dalla mia la scusante di non essermi ancora abituato a un cambio di potere ai vertici fin troppo repentino. Fino a qualche giorno prima non sapevo nemmeno che faccia avesse costui!
    “Maestro Kenway, quel foglio che stringe tra le mani ha soddisfatto la sua curiosità in merito alla mia visita?” mi chiese quando i secondi si trasformarono in interi minuti e io mi ostinavo a non commentare il contenuto dell'informativa imperiale. Dovevo ammettere che farlo irritare, tenendolo sulle spine, mi stava facendo godere in una maniera fin troppo sadica, ma la mia esperienza mi suggeriva che non era il caso di tirare troppo la corda. Il principe Helios stava reggendo in maniera egregia la pressione del mio sguardo. Chissà che, col tempo, non saremmo riusciti a confrontarci senza mandarci mentalmente a quel paese. Eh già, perché anche lui, tra i suoi pensieri, non mi stava cantando canzoni d'amore.
    Così mi alzai, deposi il foglio di carta pregiata sulla scrivania, feci il giro con passo lento e solenne, fino a trovarmi proprio di fronte a lui. A quel punto, battei il pugno chiuso sul petto e mi inginocchiai, schiena dritta e sguardo fiero ancora fisso su di lui.
    “Presto il mio giuramento qui e ora, votando la mia lealtà all'antica famiglia imperiale.” Mi alzai senza attendere un ordine esplicito, il mio non era stato un gesto di sottomissione ma di fedeltà. Il principe Helios parve soddisfatto della mia risposta anche se non del tutto convinto. Aveva letto tra righe dei miei gesti e questo deponeva a favore di una futura collaborazione senza troppi screzi.
    Avrei continuato a servire l'Impero con lo stesso fervore e lo stesso impegno dimostrati fin qui, ma ciò non significava che avrei perso la mia dignità di uomo e Templare di fronte a un Principe che ci considerava feccia. Avrei però colto l’occasione per mostrargli di che pasta eravamo fatti, non perché avessimo bisogno di dimostrare qualcosa a qualcuno, piuttosto come monito a non sottovalutarci. I miei veri Imperatori mi avevano dato grande fiducia e io li avevo ampiamente ripagati, adesso toccava ai nuovi Imperatori farsene una ragione. I Templari erano la principale Forza Armata dell’Impero, si erano guadagnati questo ruolo versando sangue, e meritavano rispetto assoluto.


    Edited by KillerCreed - 13/6/2020, 13:34
     
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    Io non ero odiosa, ero semplicemente esigente.
    Io non ero capricciosa, ero semplicemente giudizioso.
    Io non ero critica, ero semplicemente oggettiva.
    Tuttavia molto spesso tutte queste mie caratteristiche non ero soliti vederle. A parte ovviamente il mio bellissimo, dolcissimo ed innamoratissimo Astreo. Così tanto che mi aveva riempito il cuore sapere che nonostante i lunghissimi anni passati lui non aveva più avuto alcun tipo di relazione, ma era rimasto a vegliare sulla mia tomba portandovi ogni giorno fiori freschi.
    Inutile dire che se così non fosse stato avrei rintracciato ed ucciso ogni ragazza avesse avuto, ma non essendo accaduto la pace regnava nell'Impero ed io ero persa in sogni di macramè e sorrisi di letizia in attesa del nostro matrimonio che immediatamente avevo preteso che si celebrasse il prima possibile.
    Ci amavamo e desideravamo semplicemente riprendere la nostra vita da dove l'avevamo lasciata, tuttavia ora mi trovavo nella sala del trono a sbuffare annoiata di quelle noiose sceneggiate e da tutte quelle regole e questioni di diplomazia che mi tediavano.
    "Credevo che sarei morta di nuovo, per la noia però!" sbuffai sottovoce ad Helios che ridacchiando alzò gli occhi al cielo, mentre Selene dall'altra parte si stringeva maggiormente al mio braccio.
    Finita la riunione passammo un po' di tempo insieme e fu come tornare bambini. Eravamo diversissimi l'uno dall'altra ma ci volevamo bene e tra noi non esistevano regole o segreti, erano i brevi momenti in cui potevamo non pensare a nulla.
    Raggiunti i giardini imboccammo il labirinto, c'era un passaggio nascosto, che solo noi conoscevamo, e portava ad un piccolo castelletto di legno che da sempre era il nostro rifugio.
    Ero convinta che l'avremmo trovato riempito di rovi e decadente ed invece era ancora come ricordavo, con tanto di bandiera svolazzante colorata ed intatta.
    "Credevo avremmo trovato un rudere!" esclamò Helios.
    "Anch'io!" aggiunsi ed entrambi osservammo Selene che presto ci raggiunse sullo stesso.
    "Non lo avrei mai permesso! Anche io non ci vengo da molto tempo, ma ammetto che ogni tanto qui sono scappata... è l'unico posto dove non mi trova mai nessuno!" esclamò ridacchiando.
    "Deve essere stata dura, insomma avere tutte quelle responsabilità addosso... così da un momento all'altro..."
    "Dura ma a quanto pare Selene se l'è cavata benissimo anzi ha fatto pure cambiamenti che... dubito ancora degli stessi..." ammisi arricciando il naso e poggiando le mani sul piccola balconata dondolare le gambe che sporgevano. Ero "affacciata" ad uno dei piccoli balconi del castelletto.
    "Da quando ammassi di roccia grandi quanto un granello di sabbia generano Guerriere? Insomma sono delle ragazzine... dove sono le Senior... le Guerriere vere?" chiese scocciata, mentre Selene scuoteva il caso ridacchiando al mio capriccio che però fortunatamente Helios raccolse.
    "Devo dare ragione ad Eos... insomma quanto irresponsabili devono essere per andarsene e lasciar scoperti i loro pianeti?"
    "I Crystal Seed hanno prosperato dopo... bè dopo quello che vi è successo... era come se il Cosmo comprendesse che ne avessimo bisogno, di sempre più Guardiane pronte a preservare la vita... ognuna delle giovani Guerriere che avete visto hanno fatto qualcosa per i piccoli villaggi posti su quegli asteroidi e la loro bontà d'animo è stata ricompensata con i Crystal Seed degli stessi... Non fatevi ingannare dalla loro giovane età, sono preparate. E per le altre..." sospirò perdendo lo sguardo verso il buio cosmico. Verso quel lontano puntino azzurro da sempre considerato proibito.
    "Lottano per amore e non mi sento di giudicarle per questo anche se... mi mancano le mie amiche... le mie sorelle, più di quanto posso ammettere... nessuno sa ufficialmente dove sono dunque vi prego... vi prego..." sottolineò guardando soprattutto me "... tenete il segreto!"
    Alzai le mani in segno di resa poco convinta della sua arringa, ma preferendo non inferire oltre. Anzi guardando Helios mi mordicchiai il labbro, sapeva cosa mi frullava nella mente e seppur non ero solita chiedere a nessuno se fare o meno una cosa in quel caso ci tenevo a sapere se avevo il suo consenso. Lui assentì e Selene si accorse di quel gioco di sguardi.
    "Ehi cosa confabulate voi due?"
    "Un segreto per un segreto" pronunciai solenne.
    "Mamma non vuole che te lo diciamo, ma... noi non ci nascondiamo nulla no?" feci presente l'ovvio prima di parlare.
    "Sappiamo molto bene come la nostra "rinascita" è stata possibile, ma è chiaro che nè tu nè nessuno invece ne capisce il motivo. E' stato per via della Pietra di Brahmasta" Selene corrucciò la fronte, ben capendo a cosa mi riferissi.
    "E' una reliquia molto antica, viene da Saturno e si dice appartenesse alla Guerriera Solitaria, l'unica in grado di seminare la morte come la vita... Hades gliela rubata e la custodisce con cura... non desidera perdere anime, cosa che con la stessa accadrebbe visto che può riportarle nei loro corpi mortali... "
    "Beh... ha senso. Ogni anima persa per Hades, soprattutto di valore come voi, equivale ad una perdita di potere..." esclamò mia sorella sempre più turbata e perplessa.
    "E dunque perchè permettere che gli venisse sottratta ed ancor più usata per riportarci qui? Facile, perchè probabilmente è una perdita accettabile a fronte del vero obbiettivo... del premio finale..."
    "Giravano voci nell'Ade! Ogni anima ne parlava... di un'entità così potente ed Antica che perfino Hades era nulla al suo confronto... molti dicevano che per lui non esiste nè spazio nè tempo e muovendosi tra lo stesso aveva già conquistato varie realtà..."
    "E a quanto pare il suo modus operandi è sempre lo stesso: ogni volta che si appresta ad una conquista si avvale dell'aiuto di un araldo che mette in piedi un esercito che possa servirlo..."
    "Se quello che dite è vero allora... la minaccia all'Impero è più grande di quel che credevo... non c'è tempo da perdere! Venite!"
    Selene di tutta fretta si era alzata mentre io ed Helios ci guardavamo, ovviamente non l'avremmo abbandonata e tanto meno saremmo venuti meno a renderci utili per l'Impero anche se eravamo venuti meno alla disposizione di tener per noi qualsiasi cosa avevamo scoperto nell'Ade.
    Ma c'era un giuramento più grande tra noi, una fratellanza di sangue basata su un'unica regola: non mentire. Mai.
     
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    Rivoli di sudore rigavano le tempie, la fronte, il collo. Finivano sotto le vesti, facendomi pentire di aver scelto un luogo così lontano dal cuore del mio Regno; me li ritrovavo negli occhi e li sentivo bruciare come se avessi le fiamme al posto delle iridi. I muscoli erano tesi, potevo percepire i tendini e i legamenti tirare fino allo spasimo; il cuore e il respiro però erano regolari, ero nel mio mondo, facevo ciò per cui avevo studiato, millenni e millenni di alchimia mi avevano insegnato a non subire i turbamenti di un corpo materiale. Dominavo molto bene gli istinti ed era un bene visto che il mio primo istinto, in questo momento, era solo quello di ringhiare per il fastidio.
    Ciò nonostante, non erano ammesse distrazioni, avevo una missione da compiere: potenziare la pietra Brahmasta. L’avevo richiamata senza alcuno sforzo, era ormai parte di me, la maneggiavo da talmente tanto tempo che il solo averla distante mi toglieva il respiro. Era espressione del mio ruolo di custode delle anime, ma non mi causava alcun disagio usarla per i miei scopi personali. Ricordate? Non sono affatto uno stinco di santo.
    Il perché di questa missione non mi era ancora noto, ma io per sicurezza avevo deciso di compiere questo delicato rituale in una zona remota della dimensione in cui si estendeva l’Ade, dove il calore interno alle rocce era fin troppo alto per permettere a chiunque di giungere e disturbare il mio lavoro.
    Uno, due, tre boati parvero smentire i pensieri appena formulati. Qualcuno si stava facendo largo nei cunicoli di minerali quasi incandescenti; qualcuno stava venendo a prendermi. E no, non poteva essere l’essere oscuro, lui non aveva problemi a materializzarsi nel punto esatto in cui desiderava trovarsi… La mia mente analitica prese a formulare ipotesi in maniera frenetica, mentre mi affrettavo a interrompere il rituale e a indossare il mio travestimento. Non era ancora arrivato il momento di calare la maschera! Non volontariamente, almeno.
    Il fastidio si stava trasformando in irritazione, man mano che la verità si faceva strada dentro di me. La consapevolezza di essere stato tradito mi fece venir voglia di urlare, ma non ero abituato a mostrare le mie emozioni, nemmeno a me stesso. Una sola persona era a conoscenza di questo posto, l’unica a cui avevo mostrato ogni angolo del mio Regno, della mia casa, del mio universo. L’unica a cui avevo aperto uno spiraglio della mia anima, non che considerassi quest’ultima chissà quanto preziosa, ma non potevo fare a meno di esserne risentito: Persephone aveva rivelato il mio rifugio, la mia missione, il momento in cui mi sarei trovato qui.
    Respirai a fondo per allontanare la rabbia – sapevo bene che non era una buona consigliera – e mi voltai giusto in tempo per scorgere la voragine creata dall’ennesima esplosione, quella che portava i nemici al mio cospetto.
    Non fui affatto sorpreso nel vedere l’ormai ex Imperatrice, Selene, a capo della maggior parte delle baby guerriere, se la memoria non mi ingannava, riconoscevo la marziana Iuventas e le venusiane Cerere e Vesta, la vista di quest’ultima mi diede un’idea a dir poco insperata! A quanto pareva anche le rogne potevano tornare utili, a volte. Fui distratto ancora dalle loro uniformi, parevano scintillare di luce propria tanto quanto le armi che impugnavano. Tuttavia, fui costretto a cedere all’incredulità quando poco dopo scorsi il redivivo Principe dell’Impero: Helios, con l’armatura dorata e brillante sembrava quasi risplendere della luce del Sole. Tutta quella luminosità stava cominciando a innervosirmi, io manipolavo le ombre, vivevo tra le ombre, mi nutrivo di ombre. Dovevo stare molto attento. Il Gran Maestro dei Templari completava il gruppo d’assalto inviato per… farmi fuori? Ne dubitavo. Impedirmi di portare a termine il rituale e catturarmi? Molto probabile. La prima parte l’avevano completata con successo, ma non gli avrei dato troppo agio nel terminare la loro missione.
    “Amici, nessuno vi ha insegnato che non è educatmpere in una festa senza essere stati invitati?” La mia voce cavernosa era venuta fuori sarcastica, forse un po’ troppo, ma non me ne curai. Come sempre avevo priorità tutte strane, preferivo infastidire i miei nemici piuttosto che avere salva la pelle grazie a un pizzico di diplomazia. Non avevo idea se avessero già intuito la mia identità, non ero l’unico abitante di questa dimensione, ma non potevo essere certo di cosa la mia “cara mogliettina” gli avesse spifferato.
    “Non siamo tuoi amici e non vediamo alcuna festa in atto!” Selene mi parlò con calma, tesa, pronta allo scontro. Sapeva bene che non avrei ceduto le armi con facilità. Perspicace la Guerriera.
    Io, dal mio canto, risi di gusto. La maschera amplificò e distorse il mio tono, rendendo macabro un qualcosa che non voleva essere tale. Poco male.
    “Evidentemente abbiamo punti di vista diversi sulla questione…” Sotto il mantello la mano era già sulla spada corta e ricurva che portavo sempre con me.
    “Se non farai resistenza non ti sarà fatto alcun male, ma devi venire con noi, abbiamo molte domande da farti!” Il Principe aveva fatto sentire la sua voce e non scoppiai nuovamente a ridere per il paradosso a cui stavo assistendo solo per non destare particolari sospetti. La mia identità doveva rimanere celata il più a lungo possibile.
    “Perdonate la mia ignoranza, ma per quale ragione dovrei accettare di seguirvi e rispondere ai vostri quesiti?” Domanda retorica. Tentavo solo di prendere tempo, valutare la situazione. Dire di essere in inferiorità numerica sarebbe stato un eufemismo, ma pensandoci ero felice di non aver perso il mio senso dell’umorismo neppure in una condizione simile. Era chiaro che sarei finito nelle loro mani, non mi illudevo di poter vincere contro una squadra tanto agguerrita, ma dovevo necessariamente trovare un modo di attuare il mio piano per mettere al sicuro la pietra.
    Proprio mentre l’ennesima goccia di sudore, questa volta causata dalla dannata maschera, colava lungo la tempia e i miei nemici si mettevano in posizione di attacco, un’altra sorpresa sembrò giungere a ribaltare le sorti di una partita già persa in partenza.
    L’essere con cui ero in combutta apparì in tutta la sua “magnificenza”, altro eufemismo, l’ho già detto che ho un senso dell’umorismo fuori dal comune, vero?
    “Era ora, stavo cominciando a pensare che avessi bisogno di un invito scritto per intervenire!” lo stuzzicai, era più forte di me. Godetti nel percepirlo sbuffare, non potevo dirlo con certezza visto che non aveva una bocca né una voce “normale”. E ancora, mi godetti anche l’espressione tra lo stupore e l’angoscia che si era dipinta sul volto degli “eroi” che erano venuti a prendermi! No, non lo avevano ancora visto nelle sue reali sembianze e, credetemi, era molto meglio osservare le ombre di cui si cingeva per proteggersi.
    Dopo un intero minuto di impasse, però, sembrò scatenarsi l’inferno, non il “mio” intendiamoci. Ma quando l’essere oscuro decise di attaccare la terra iniziò a tremare, le rocce intorno a noi scricchiolarono in maniera sinistra prima di cominciare a sbriciolarsi. Non si metteva bene, dannazione! Il gruppo di guerrieri si divise per fronteggiarci: il Principe e il Templare si prepararono a scontrarsi contro il mio amico, mentre le donne, capeggiate da Selene, caricarono il sottoscritto con le loro armi lampeggianti.
    Combattere con quella maledetta palandrana addosso era un incubo, in senso letterale, anche solo sfoderare la mia spada fu un’impresa, ma riuscii a tenere testa agli attacchi combinati delle guerriere. Pensavo freneticamente al modo di trovarmi faccia a faccia con Vesta, avevo bisogno di lei per mettere al sicuro la pietra. Mi ritrovai ben presto in ginocchio, il mantello strappato in più punti, Selene irradiava raggi lunari come se avesse portato con sé la Luna stessa ed erano talmente abbaglianti da impedirmi di vedere a un palmo dal mio naso. Stanco di attendere – la pazienza non era mai stata uno dei miei pregi migliori – posi una mano direttamente sul terreno e creai un’onda d’urto talmente potente da scaraventare le mie avversarie contro le pareti di roccia, che continuavano a sgretolarsi. Usare questa tecnica non avrebbe fatto altro che accelerare la frana, ma come si dice: a mali estremi, estremi rimedi. Afferrai un oggetto da uno degli scaffali ormai crollati e in un balzo fui accanto a Vesta. Anche se stordita, si accorse quasi subito della mia presenza e riuscì a sputare il suo alito infuocato per difendersi dal mio attacco. Tutto premeditato, “Brava, bambina, molto brava!” mi ritrovai a sussurrare tra i pensieri, nel mentre immergevo l’oggetto in quel fuoco sacro, lasciando che mi ustionasse le mani e incendiasse la veste. Non mi mossi di un solo millimetro, dovevo essere certo che il mio piano di riserva era stato portato a termine. Feci dunque appello alle mie conoscenze, affinché il dolore fosse accantonato in un cassettino della mente e mi permettesse di resistere. Dopo attimi che mi parvero eterni, il fuoco si dissolse rivelando uno scrigno molto antico ricoperto di simboli sacri e con la serratura ancora arroventata: lì dentro avevo riposto la pietra Brahmasta e nessuno avrebbe potuto più accedervi senza una chiave forgiata dall’alito dello stesso drago…
    Le mie dita erano un disastro e la palandrana non era da meno, la maschera era mezza bruciata, la parte bassa del viso e del collo era rimasta ferita anche se le ustioni erano più leggere rispetto a quelle sulle mani. Sapevo di non avere scampo, così come sapevo che questo mio atto avrebbe generato conseguenze inimmaginabili, perciò decisi di posare lo scrigno a terra e alzare in alto le braccia. Passarono pochi attimi e un collare inibitore finì intorno al mio collo ricordandomi ogni singola ferita, il mio potere era stato annullato e il dolore mi invase come un fiume in piena a cui vengono tolti gli argini. Maledetti!
    Gettai uno sguardo attorno a me, per quanto mi fu possibile, per calcolare i danni e mi accorsi che anche la battaglia con l’essere oscuro era appena terminata. Non certo perché i guerrieri avessero avuto la meglio, al contrario, lui aveva semplicemente deciso di abbandonare il campo di battaglia. Che bastardo! Con la pietra chiusa nello scrigno avrebbe dovuto rivedere i suoi dannati piani e riflettei sul fatto che forse sarebbe stato meglio che l’alito di Vesta mi avesse fatto fuori sul serio. Ma non sono il tipo da forzare il destino, trovavo sempre una via d’uscita, sempre!
    Anche i miei avversari stavano facendo la conta dei danni. Un ringhio sommesso attirò la mia attenzione benché sempre più annebbiata a causa della sofferenza.
    Tolta qualche ammaccatura, qualche livido, qualche ferita lieve, lo scotto peggiore sembrava averlo pagato proprio il Principe: aveva una lesione sanguinante sul lato destro del collo. No, non potevo ridere nelle mie condizioni, che peccato però, sarebbe stato proprio liberatorio. In quel momento, mi sentii strattonare con mal grazia. Il cappuccio e la maschera furono strappati via, rivelando così il mio volto pesto e con esso la mia identità.
    La sorpresa di vedere proprio la mia faccia era genuina e superò per un attimo la preoccupazione per le condizioni di Helios, perché tutti fissarono i loro occhi sgranati su me. Con ogni probabilità, Persephone non aveva svelato proprio tutta la verità, era proprio da lei.
    “Suvvia, cosa sono quelle espressioni tanto allibite? In realtà, mi chiedo come non ci siate arrivati prima, chi diamine avrebbe potuto riportare in vita – in carne ed ossa – un’intera famiglia reale? Certo, che il mio lavoro sul Principe fosse quasi vanificato al primo tentativo mi offende un po’…” Sarcasmo, ecco come combattevo il dolore, l’irritazione, tutto ciò che non mi andava a genio. A volte, dovevo ammetterlo, che era più soddisfacente delle mie arti magiche. E, visto che nessuno accennava a muovere un solo muscolo, diedi il colpo di grazia. “Mi dispiace rompere l’incanto, ma avete intenzione di portare via da qui il vostro nobile culo, oppure desiderate finire in poltiglia prima del tempo? Tra poco questo posto andrà in malora!” Questa volta urlai, un po’ per godermi l’infrangersi della trance in cui parevano essere caduti tutti, un po’ per sfogare il marasma interiore che desiderava travolgermi. Era diventato prigioniero, ma ero certo che il “bello” doveva ancora arrivare.


    Edited by KillerCreed - 8/6/2020, 00:31
     
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    :Iuventas:

    La Sala del Consiglio era in pieno fermento. Tutti si stavano preparando per poter organizzare al meglio l’interrogatorio che di lì a breve sarebbe stato eseguito su Hades. Anche il solo pensiero di “quel nome” mi faceva risalire un brivido gelido lungo la schiena. Eravamo rimasti attoniti e sconvolti quando era stato smascherato e tutti avevamo preso coscienza dell’identità di colui che aveva offerto la pietra alla nostra Selene e con la quale aveva riportato in vita l’intera famiglia imperiale. Chi altri se non lui avrebbe potuto farlo? Ma numerosi eventi, parecchi indizi contrastanti ci avevano portati fuori strada. Eravamo troppo impegnati a combattere contro le ombre redivive per riflettere lucidamente. Alla fine, però, avevamo avuto una sola risposta a fronte di moltissime altre domande che erano sopraggiunte a corrodere la nostra mente e la nostra volontà. Un altro quesito che ci stava quasi portando alla pazzia era: chi era il mostro che ci aveva attaccato nei sotterranei? Da ciò che avevamo udito, era senz’altro un alleato di Hades e molto probabilmente, la mente che aveva impartito gli ordini. Quindi era l’artefice di tutta la follia che stavamo vivendo? Oppure c’era altro che non conoscevamo? L’interrogatorio al dio degli Inferi era fondamentale per poter chiarire i nostri dubbi.
    Mi stavo torturando con queste riflessioni intricate e senza via d’uscita. Mi ero appartata un po’ e solo quando uscii dal mio stato di trance, ancora con le braccia conserte, sollevai lo sguardo e osservai ciò che mi circondava: le mie amiche guerriere stavano confabulando con Selene, Hyperion e la sua sposa erano in disparte e vedevo l’imperatore gesticolare animatamente. Endymion era vicino a Haytham mentre scartabellava con dei documenti e non ne sembrava affatto contento. Lui odiava la burocrazia con tutto se stesso, e credevo che il ritorno del Principe Helios gli avesse fatto parecchio comodo in questo campo, solo che il principino adesso giaceva in una stanza della Sala dei curanti e, al momento, non poteva svolgere il suo “noioso” compito. Il nemico che lui e il Gran Maestro avevano affrontato aveva mostrato una forza incredibile, oltre ogni previsione e potevano considerarsi fortunati se erano ancora qui a raccontarlo.
    Mi trovai a pensare che, nonostante il Principe fosse tornato dall’oltretomba da così poco tempo, aveva combattuto bene. Aveva un movimento molto fluido e scattante, era un tutt’uno con la sua armatura scintillante, che pareva non pesargli affatto addosso. Ma ovviamente, non avrei mai detto a voce alta quanto ammiravo il suo modo di battersi, semmai il contrario. Era già sufficiente trovarmelo di fronte con il suo piglio arrogante e altezzoso. Non lo sopportavo proprio!
    Incrociai lo sguardo del Gran Maestro e con due dita mi fece segno di avvicinarmi… il suo sguardo non prometteva nulla di buono.
    “Devi andare nella Sala dei Curanti a portare delle informazione al Principe” parlava mentre frugava tra i documenti. Non mi guardava neppure in faccia.
    Io partii in quarta ancora prima di sapere che tipo di “informazioni” fosse.
    “E si potrebbe sapere perché ci devo andare proprio io? Non è mio ruolo comunicare con lo Stato Maggiore” dissi, facendo un ben poco velato riferimento al fatto che sarebbe dovuta essere una sua mansione.
    A quel punto, lui alzò lo sguardo su di me e i suoi occhi cominciarono ad agitarsi. Io ero stata molto educata nel parlare, ma era chiaro come il sole che aveva colto il mio sarcasmo e che non gli fosse piaciuto per nulla. Tutti erano a conoscenza dei miei modi di fare sempre troppo sopra le righe, ma con lui non ci eravamo mai trovati sulla stessa lunghezza d’onda. A dirla tutta, mi metteva anche un po’ di soggezione la sua presenza, sempre fredda, calcolata e “prepotente”, ma mi sarei tagliata un braccio piuttosto che ammetterlo o farlo notare agli altri, e soprattutto a lui. Quindi reagivo con la mia caustica ironia.
    “Questa volta dovrai ‘abbassarti’ a farlo, Iuventas. Io non ho tempo, non vedi?” disse indicando il tavolo ricoperto da fogli pregiati. La sua irritazione era stampata sul volto, ma tentava di trattenere la furia. Non era abituato a dare spiegazioni, quando impartiva ordini. Ma io non ero parte del suo esercito e non facevo capo a lui per gli ordini che eseguivo. Credetti fosse stato solo per questo se non mi aveva già demolita con una delle sue ramanzine sulla disciplina e l’obbedienza. Sapevo bene di cosa era capace in quel settore.
    Sbuffai indispettiva e tornai a braccia conserte. Non volevo incontrare Helios, il solo pensiero mi faceva venire l’orticaria. Voltandomi esasperata incontrai gli occhi di Cerere. Mi stava letteralmente incenerendo, voleva che seguissi le direttive del “suo uomo”, io sostenni il suo sguardo con caparbietà. Non avevo nessuna intenzione di farle piacere, non se andava di mezzo la mia sanità mentale dietro al principino viziato. Poi, però, guardai Selene, quasi calamitata dalla sua presenza...
    “Iuventas, puoi farmi questo piacere? È necessario che Helios sia a conoscenza di cosa andremo a fare durante l’interrogatorio. Puoi?”
    Il suo viso era così dolce, che all’improvviso, mi sentii invasa da una pace immensa, al punto da farmi resistere anche al cospetto del suo odioso fratello…
    […]
    Feci quasi irruzione nella Sala dei curanti che era suddivisa in altre piccole stanze, delimitata da divisori alti e solidi. C’era un via vai frenetico ed io mi trovai in mezzo al caos. “Ma cosa succede? Da quello che so, non ci sono stati altri feriti oltre Helios, durante la battaglia.” Ero allibita. Non feci in tempo a voltarmi che un’infermiera, correndo nella mia direzione, mi venne addosso con tutto il carrello delle medicazioni. Il frastuono fu assordante ed io ero stupita oltre che dolorante.
    “Ma si può sapere cosa diavolo sta accadendo? Siete tutti impazziti?” incalzai la donna che si stava scusando in maniera frenetica, tentando di raccogliere tutto il materiale che aveva sparpagliato sul pavimento.
    Mi alzai di scatto, furiosa, non tanto per lo spiacevole accaduto quanto per quell’assurda situazione che proprio non capivo. Afferrai per un braccio l’infermiera e la costrinsi a guardarmi, era ancora accovacciata. Solo il quel momento si rese conto di chi fossi e la vidi diventare paonazza. Beh non capitava tutti i giorni di incontrare una principessa di Marte e soprattutto incazzata nera, come lo ero io in quel momento.
    “Saresti così gentile da spiegarmi il motivo di tutta questa confusione?” Le mie parole cortesi cozzavano con il mio tono al dir poco alterato.
    “Mi scusi Principessa, è che c’è il Principe Helios qui, e stiamo facendo di tutto per curarlo a dovere…”
    Un’illuminazione si fece strada nella mia mente: “Non vogliono contraddire il principino, eh?” e non potei che stamparmi un sorriso malefico sul volto. Lasciai la signorina a concludere le sue “importanti mansioni” e poi mi diressi verso la stanzetta in cui sapevo era ricoverato Helios.
    Mi sporsi a guardare dalla porta e lo vidi steso sul letto, addormentato. Entrai con passo felpato e mi sedetti su una seggiola lì di fianco. Aveva una vistosa fasciatura al collo che scendeva fino alla spalla, uno zigomo escoriato e un taglio sul sopracciglio, ma nulla di realmente serio che potesse deturpare il suo bel faccino. Un medico mi aveva detto che era stato sedato affinché non si stressasse troppo durante la lunga medicazione, ma che si sarebbe svegliato a momenti. Erano tutti in subbuglio e ormai avevo capito perché…
    In quel momento, Helios aprì gli occhi e fece appena in tempo a scorgere un sorrisino compiaciuto sul mio volto.
    “Godi proprio nel vedermi in questo stato?” disse con una voce arrochita dal torpore che lo aveva avvolto fino a poco prima, ma pur mantenendo in suo tono altero…
    “Voleva essere una battuta?” Era comodo rispondere ad una domanda con un’altra, quando non si voleva dare una risposta. Non ero intenzionata a dirgli che non gioivo affatto delle sue precarie condizioni, ma allo stesso tempo volevo continuasse a pensarlo. Non mi avrebbe mai vista accondiscendente! Mai!
    “Vedo che hai messo tutti sull’attenti qui dentro. Ti hanno addirittura medicato sotto sedativi. Non ti fanno mancare nulla, eh?!” Non avrei dovuto rivolgermi con quel tono “irrispettoso”, era pur sempre un Principe della Luna, ma mi solleticava troppo la lingua e non riuscivo a farne a meno.
    “Tu saresti la sorella di Toth?” Mi aveva ripagata con la stessa moneta. Altra domanda scomoda. Altro argomento che mi dava sui nervi. Aveva parlato come se mi avesse riconosciuta, ma da cosa? La mia fama mi aveva preceduta?!
    “E tu saresti il Principino redivivo? Per come sei messo, mi sa che devi riprendere un po’ il ritmo. Capisco che non è facile tornare a combattere dopo essere stato ‘a riposo’ tutto questo tempo…” Ok, forse questa volta ero stata fin troppo perfida, ma per quanto mi sforzassi – qualora lo facessi – proprio non mi riusciva di mostrarmi carina e gentile con lui, Mi sentivo il sangue ribollire nelle vene. Ero certa non considerasse mio fratello degno del ruolo che ricopriva, del compito che sarebbe dovuto essere suo. Ma lui non lo conosceva affatto ed io non gli avrei mai dato il beneficio del dubbio.
    Lui mi fissò con insistenza. Se fosse stato in piedi, probabilmente mi avrebbe guardata dall’alto in basso e ringraziai il cielo che fosse bello che sdraiato. Era alto, eccome se lo era… e non volevo dargli occasioni di affermare la sua “supremazia”. Sghignazzai, gioendo nella mia mente, senza però perdere la mia faccia di bronzo. Attaccare era sempre meglio che stare sulla difensiva.
     
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    Annarita
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    Faceva male, eccome se faceva male. No, non mi riferivo alla ferita al collo. Certo, quella bruciava come l’inferno ma non mi dava pena tanto quanto lo squarcio sanguinante che avevo nell’orgoglio.
    Il mio primo combattimento dopo essere tornato, la mia prima prova sul campo dopo millenni di non-vita e cosa mi ero guadagnato? Un tragico fallimento.
    D’accordo, il nostro nemico era con ogni probabilità più forte di tutti quelli affrontati in una esistenza intera, ma non era questo il punto. Quando Selene mi aveva comunicato che desiderava avermi al suo fianco in una missione tanto importante, emozioni contrastanti mi avevano travolto. Da un lato, un senso di gratitudine verso mia sorella, sapevo che lo avevo fatto con il chiaro intento di rimettermi in pista; dall’altro lato, però, avevo vissuto la voglia di rimettermi alla prova, consapevole che sarei stato sotto gli occhi di coloro che mi consideravano un principino viziato… e basta. Primo tra tutti, il Gran Maestro Haytham Kenway. Nella settimana trascorsa a coordinarci per ridefinire i nostri nuovi ruoli non erano mancati gli screzi, la maggior pare dovuti ai reciproci pregiudizi che entrambi ci eravamo buttati addosso. Tuttavia, l’ostilità era durata molto poco. Dal mio canto avevo riconosciuto il valore e la competenza di Kenway; ovvio, i suoi modi scostanti, a tratti arroganti e burberi, mal si sposavano con i miei per natura più equilibrati e distaccati ma ciò non poteva in nessun modo inficiare il mio giudizio nei suoi riguardi. Al contrario, lui aveva ammesso che non ero un completo deficiente, ma non aveva potuto verificare molto altro. Ecco perché, per me, questa missione aveva rappresentato un banco di prova… miseramente fallito.
    Quando il nemico mi aveva indirizzato contro una serie dei suoi raggi ombra (affatto inconsistenti come si potrebbe immaginare) avevo utilizzato la forza del sole che custodisco dentro di me per respingerli, ma non era stato sufficiente. Uno di questi mi aveva colpito al collo togliendomi tutte le forze, era stato allora che il Maestro si era posto a mia protezione, attaccando a sua volta il bastardo. Lo avevo visto in difficoltà e proprio quanto avevo temuto che anche lui sarebbe stato ferito gravemente ecco che il nemico si era volatilizzato. In quel preciso attimo, avevo buttato fuori un sospiro di sollievo, causandomi un dolore lancinante che mi costrinse a stringere i denti per non urlare… Haytham era salvo, Selene e le guerriere lo erano, avevamo scoperto che Hades era la figura misteriosa che ci aveva riportati in vita, a quel punto potevo anche lasciarmi andare. Orgoglio sanguinante a parte, la missione non era stata poi così disastrosa in fin dei conti.
    I sedativi mi avevano fatto viaggiare in una dimensione che non mi piaceva, troppo simile alla non-vita sperimentata nell’Ade. Non percepivo il dolore, i rumori intorno a me erano come ovattati, anche se il trambusto era più che evidente dal muoversi frenetico di curanti e aiuto curanti… erano divertenti, a loro modo. Ok, dovevo essere bello che drogato per trovare divertente una scena simile, ma qualsiasi traccia di ilarità interiore scomparve qualche minuto dopo.
    Avevo chiuso gli occhi per riprendere il contatto con la realtà, non volevo restare in quel torpore, mi opprimeva. Quando li riaprii davanti a me c’era Iuventas, la principessa di Marte, sorella del Generale Thot. Fantastico!
    Fin dal primissimo incontro – durante l’organizzazione della missione nella dimensione di Hades – la ragazza non aveva fatto mistero dell’astio che provava nei miei confronti, in realtà non ne avevo ancora capito il motivo, ma il suo caratterino non era facilmente interpretabile, almeno per me.
    Dopo una serie di battute al vetriolo, l’ultima frase che mi rivolse mi fece stringere la mascella.
    “… Per come sei messo, mi sa che devi riprendere un po’ il ritmo. Capisco che non è facile tornare a combattere dopo essere stato ‘a riposo’ tutto questo tempo…” Era capace di colpire sempre nel segno, forse per questo non riuscivo a risponderle a tono. La fissai senza cogliere la provocazione, ero ormai abituato a quel tipo di trattamento… e poi l’“altezzoso” sarei dovuto essere io. Contro qualsiasi aspettativa, sorrisi, nulla di davvero “aperto”, piuttosto un angolo della bocca tirato all’insù, così come l’arco delle mie sopracciglia doveva aver preso una posizione ironica.
    “Sono d’accordo con te, devo riprendere il ritmo! Magari potremmo allenarci assieme, così potresti assistere ai miei miglioramenti…” Piegai la testa di lato, il mio linguaggio del corpo aveva smesso di trincerarsi dietro l’usuale alterigia. Quella ragazzina mi incuriosiva e allora perché non stuzzicarla un po’?
    Ero certo che Iuventas si aspettasse una replica diversa da me, una reazione forse? La vidi agitarsi sulla sedia, leggermente in imbarazzo, ma l’esitazione durò molto poco… come avevo previsto.
    “Se vuoi farti strapazzare per bene, scelta tua. Ma non credere che ci andrò giù leggera solo perché sei il…”
    “Principino redivivo…? Tranquilla, il tuo atteggiamento non lascia spazio a simili illusioni!” Continuavo a fissarla dritta negli occhi, l’istinto – assurdo – di sorridere, abbandonandomi all’ironia, premeva con prepotenza dietro le labbra, ma lo tenni a freno. Potevo dare la colpa alle mie condizioni precarie per aver ceduto a quello stesso istinto poco prima, ma non potevo permettere che diventasse la prassi, anche se… “Allora, Iuventas, sono certo che tu non sia venuta qui per verificare il mio stato di salute.” Avevo sottolineato il suo nome, con un tono fin troppo eloquente. Niente, dovevo darmi una regolata. Mi schiarii la gola prima di continuare. “Immagino che ti abbiano inviato per portarmi qualche notizia, o sbaglio?” Era spiazzata dal mio comportamento “strano”. Ero convinto che le sue aspettative erano state del tutto deluse, da brava marziana, probabilmente desiderava uno scontro diretto, ma non era il mio stile… non quando si trattava di rapporti sociali, quando decidevo di averne qualcuno. La vidi sbuffare e prendere un bel respiro per tenere a freno l’altra lingua, quella con cui avrebbe voluto tagliarmi in due.
    “Giusta intuizione! Intanto ti informo che il Maestro Kenway era immerso in talmente tante scartoffie che stava quasi per impazzire, quindi se senti qualche fischio strano non stai impazzendo, sono le maledizioni mentali che ti sta inviando.” Perché non faticavo a immaginare la scena? Mi trattenni – ancora – dal ridere a crepapelle questa volta. Non solo per la scena appena descritta, ma per il modo in cui Iuventas arricciava il naso imitando, senza rendersene conto, la smorfia di fastidio che spesso avevo visto sul volto del Gran Maestro. Annuii compìto. “Assodato questo, mi ha chiesto – con la sua ‘usuale’ gentilezza – di venire ad aggiornarti su come hanno deciso di procedere. Vogliono interrogare Hades per farsi dire chi è il mostro che ti ha quasi stecchito. All’interrogatorio parteciperà anche tuo padre, Selene e…”
    “Ed io!” La interruppi senza mezzi termini. Non potevo mancare a quell’interrogatorio, avevo il diritto di sapere, tanto quanto gli altri, chi minacciava il nostro Impero con così tanta astuzia e potenza. Senza attendere alcuna replica, mi ero già messo seduto sul letto e avevo cominciato a togliermi flebo ed elettrodi di vario genere.
    “Dove pensi di andare? Sembri un cadavere tanto sei pallido! Spaventeresti perfino Hades che, di morti, è un esperto…” Iuventas sbuffò per l’ennesima volta, irritata per essere stata interrotta ma, all’improvviso, mi parve di scorgere di sfuggita una strana espressione sul suo volto. Tuttavia, passò così come era comparsa, anzi di sicuro me l’ero sognata. La principessa marziana non poteva essere preoccupata per il mio colpo di testa.
    “Diciamo che mi ha già visto in condizioni cadaveriche, sono stato suo ospite per tanto tempo, non credo che avrà problemi a ricordare i vecchi fasti…” replicai sarcastico, mentre mi toglievo la ridicola vestaglia che mi avevano messo addosso, in cerca dei miei abiti “civili”. A torso nudo, coperto solo da una fasciatura che arrivava fino alla spalla e da un paio di boxer che poco lasciavano all’immaginazione, mi resi conto che gli abiti… non c’erano.
    Mi voltai verso Iuventas, lo sguardo fintamente contrito. Adesso che ero in piedi, la sua statura minuta mi colpiva ancora una volta. Mi chiedevo, da quando l’avevo incontrata la prima volta, come faceva un corpo così piccolo a contenere tutta quella “energia”?
    “Scordatelo! Non se ne parla nemmeno! Non sono la tua infermierina, né la tua badante! Visto che stai tanto bene per assistere a un interrogatorio, allora non avrai problemi a procurarti dei vestiti, senza il mio aiuto!” Evitava di guardarmi, anche se il mento era alzato in segno di sfida, credo che per lei quell’atteggiamento fosse addirittura congenito.
    “D’accordo, vorrà dire che chiederò aiuto a un curante, ma dovrò fare presente che hai rifiutato un favore al Principe legittimo dell’Impero Galattico… la voce non ci metterà molto a circolare…” Avevo dimenticato il dolore, l’orgoglio ferito, la sensazione di inadeguatezza, persino l’interrogatorio – anche se solo per un attimo – era finito in secondo piano. Adesso, ero solo curioso di conoscere la sua reazione!
    Mi lanciò uno sguardo di fuoco, se avesse avuto al posto degli occhi un laser mi avrebbe fatto molto più male del nemico-ombra, ma io non smisi di ricambiarla con lo sguardo più innocente che potessi simulare…
    “Sappi che te la farò pagare sul tappeto di allenamento. Lì non avrai il tuo titolo dietro cui nasconderti! Quei bei muscoli non ti serviranno a nulla!”
    A quel punto, le rivolsi il mio miglior sorriso angelico e mossi le labbra a simulare un muto “grazie”. Mi squadrò da capo a piede un’ultima volta prima di uscire dalla stanza a passo di carica, i pugni stretti e l’espressione di chi medita vendetta.
    Scossi il capo, sedendomi sul bordo del letto. Ero debole e stordito, ma non lo avrei mostrato ad anima viva. Non sarei mancato all’interrogatorio per nulla al mondo, ma dovevo ammettere che quella breve parentesi di ironia mi aveva dato lo sprint giusto per riprendere da dove avevo mollato…
     
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    Vedere Selene abbracciare di nuovo la sua missione di Guerriera ed indossare la sua vecchia uniforme fu in incredibile emozione per lei, quanto per me. Era dopotutto la sua felicità a darmi gioia e vita, ma era anche vero che come con lei stessa avevo parlato anche io stavo cercando la mia strada ed incredibilmente scoprì che era più dura di quanto pensassi. Ero stato abituato praticamente da sempre a sentirmi dire cosa fare e come farlo che di fronte alla possibilità di avere in mano il mio destino mi ero sentito perso.
    Avevo dismesso le mie vesti da Imperatore, anche in battaglia, ed in sostituzione di ciò indossavo una divisa molto simile a a quella dei Moon Knight, ma con delle effigi che ne identificavano non il mio grado di appartenenza quanto il mio titolo di Principe della Luna.
    L'azione che ci aveva portato a catturare il fantomatico braccio destro del nemico oscuro ed invisibile che ci stava sfidando era stata tutto sommato un successo nonostante il fatto che mio cognato ne era rimasto ferito. Più nell'orgoglio a mio dire, che nel corpo, ma questi erano dettagli a fronte del fatto che adesso Hades giaceva in una cella super sorvegliata, mentre radunati nella stanza della guerra, ne stavano discutendo ancora increduli della scoperta appena fatta.
    Il fantomatico Dio della Morte era rimasto in silenzio, tranquillo, con un sorriso beffardo sul viso e senza alcuna voglia di parlare. Pareva che fosse dove voleva essere e che nemmeno il nostro averlo "scoperto in flagrante" avrebbe mai smosso i suoi obbiettivi, ma era chiaro che non potevamo starcene con le mani in mano.
    In attesa che Theia ci raggiunse, Hyperion era stato irremovibile sul fatto che lei partecipasse, io con un braccio appoggiato al telaio della finestra della stanza osservavo il cielo perennemente scuro, pensieroso.
    Non riuscivo a fare a meno di pensare costantemente alla strada che volessi prendere ed osservando da vicino l'affiatamento di Selene con le Guerriere ebbi sempre più chiaro in mente che anche noi uomini non potevano esimerci dal loro stesso impegno.
    Certo cerano i Templari e i Moon Knight, pensai voltandomi a guardare Haytham e Toth parlocchiare poggiati alla scrivania intenti ad osservare dei fogli, ma quanti altri come me erano sparsi nella galassia in attesa di un riscatto?
    Io ero la dimostrazione vivente che le tenebre avevano sanguinato luce ed da una sconfitta ne era nato un eroe. Se solo fossi riuscito a trovare quelle persone, addestrarle e dare loro una seconda possibilità, insieme avremmo potuto creare una Justice Society che si sarebbe battuta affinché la giustizia regnasse nel regno. Ma non saremmo stati soldati o guerriere elette. Saremmo stati volontari che avrebbero messo a disposizione le loro capacità ed anche esperienza criminale, in un certo senso, al servizio del bene.
    Sorrisi al pensiero e Selene se ne accorse poggiandomi una mano sulla spalla guardandomi curiosa, sicuramente gliene avrei parlato, ma l'arrivo di Theia ed Helios ci riportò alla realtà.
    Eravamo tutti presenti, l'interrogatorio poteva iniziare.

    Hades era stato portato in una stanza neutra. Non sarebbe stato interrogato negli ambiente delle prigioni e per questo fu fatto sedere su una delle preziose poltrone della sala del consiglio, di fatto l'ufficio delle udienze private dell'Imperatore.
    Sorridente sembrò sentirsi onorato di tale riguardo, in quanto a suo dire stavamo solo riconoscendo il suo titolo ed onore, ma Hyperion era di tutt'altro avviso.
    “Togliti quel dannato sorrisino dal viso Hades... hai dei crimini a cui rispondere!”
    “Davvero?” rimarcò lui libandosi della furia di Hyperion che cresceva, quanto della posatezza di Theia nel trattenerlo.
    "Ti stiamo dando la possibilità di esporci il tuo manifesto, dovresti sentirti onorato" esclamai lento, ma inesorabile. Fiero nella mia armatura.
    “Forse dovevate rimanere Voi Imperatore, riportarli indietro non pensavo Vi avrebbe fatto prendere una decisione così poco saggia come rinunciare al trono, tuttavia... riconosco il Vostro favore e lo coglierò con piacere..."
    Hades si rivolse a me come se mi riconoscesse come il vero Imperatore a differenza di Hyperion cosa che gli fece perdere ancor più le staffe.
    “Voi stessi dimostrare che ho ragione. I vecchi schieramenti, sono superati. Eterni e Devianti. Titani e Dei. E' tempo della teomachia, di caos... chi meglio di Voi può capirlo Gran Maestro? Non è questo l'unico modo per poi portare ordine... un Nuovo Ordine?” rivolgendosi direttamente ad Haytham, impettito non fece una piega mentre alzando un sopracciglio lo guardò rispondendo “Non se questo Nuovo Ordine prevede Voi a capo... Ci credete così sciocchi da credere che tutto questo non sia stato fatto se non solo per poterVi portare al potere? Volevate rovesciare la corona e prendervela!”
    Hades spostò lo sguardo verso la finestra ridendo di gusto e poi tornando a guardare i suoi interlocutori, si mostrò con uno sguardo diverso. Vitreo. Penetrante. Spaventoso.
    Il suo corpo era appena divenuto un semplice mezzo attraverso il quale, il verso burattinaio dietro a quello spettacolino, aveva deciso di mostrarsi. Di parlare.
    “Non sarà la mia sentinella a darvi le risposte che cercate” la voce metallica e stridente graffiò le orecchie dei presenti, mentre in modo innaturale il capo di Hades si piegò da una parte.
    “Non sarà la mia sentinella a darvi le risposte che cercate. Sono imprigionato da così tanto tempo da indurmi a perdere la testa molte volte, solo la mia forza di volontà mi fa mantenere la mia salute mentale..." gracchiò, mentre Theia si fece avanti per tagliare la testa al toro.
    “Voi dirci perchè ci attacchi?”
    “Perchè così deve essere” rispose con semplicità “Credevate che tutte le minacce che avete affrontato finora fossero i vostri più grandi nemici? Non è così. Sono io. Sono sempre stato io” era così tronfio da rendersi terrificante, più del solito.
    “Che cosa ti abbiamo fatto?” era stata ora Selene ad intervenire e a farlo con tono disperato, oltre che frustrato.
    “Mi avete abbandonato. Vi siete elevati al di sopra di me. Non posso agire diversamente, voi mi avete fatto diventare così. Solo io posso far emergere la mia grandezza!" urlò balzando in piedi e facendo tremare le pareti con la sua voce.
    Helios dal canto suo rise, per niente impressionato e deciso a mostrargli chi davvero comandava.
    “Grandezza? Lo hai detto tu stesso sei imprigionato, non esiste niente che possa...” ma la sua voce si ruppe quando spostando lo sguardo su Selene la vide, come me, portarsi le mani alla bocca. Velocemente capì anche io a cosa stesse pensando e così gli altri nella stanza.
    Anche l'essenza dentro Hades se ne rese conto e rise in modo così sinistro da farci gelare il sangue nelle vene.
    “Davvero? Bè forse basta solo uno strappo, anime che tornano... addirittura altre che riacquistarono il loro corpo... ormai lo strappo sarà una voragine... Sono più vicino alla libertà che mai ed ogni vostro disperato tentativo di fermarmi, mi sta solo agevolando il compito!” rise così forte che ci pietrificò, ma non aveva finito e tornando improvvisamente serio puntò i suoi occhi vitrei nei nostri.
    “Io so cosa che voi nemmeno immaginate... che nemmeno la vostra grande Imperatrice può vedere... uno di voi vi tradirà, un altro morirà ed infine un altro ancora patirà pene peggiore della morte!” ma prima che qualsiasi di noi potesse fare o dire qualcosa il corpo di Hades cadde a terra, privo di sensi.
    C'era tanto da digerire, ma soprattutto c'era molto da fare.
    "Lo scrigno che Hades ha forgiato con dentro la pietra... è inespugnabile! Chiamiamo Persephone e chiediamole di aprire un varco verso il vuoto cosmico! E' la pietra. La pietra è ciò che gli manca... ha aperto il passaggio, ma gli serve quella per tornare!" esclami concitato capendo ra come fosse possibile la sua invisibilità, non era proprio tale era più che altro un suo apparire, per un breve momento (probabilmente astralmente), da ovunque fosse confinato.
     
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    Annarita
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    Il dolore era un compagno che non avevo mai conosciuto. Nessuna ferita aveva campeggiato sul mio corpo per più di pochi minuti. Ero un dio, ero un alchimista, ero Hades, dannazione!
    Eppure, da giorni convivevo con lui, si prendeva gioco di me, mi ghignava contro con il suo fare meschino! Che bastardo! Le ustioni causatemi dal fuoco sacro del Drago erano state semplicemente medicate e facevano un male cane. Il collare inibitore che indossavo da quando ero stato catturato bloccava qualsiasi abilità rigenerativa, oltre al fatto che mi impediva di muovermi liberamente. Mi indeboliva molto, cancellando la volontà delle mie cellule di rigenerarsi, ribellarsi, vivere. No, non sarei morto, ma la guarigione, con questo coso addosso, era ancora troppo lontana per permettere al mio umore di risollevarsi dal buco nero in cui era finito. E poi vogliamo parlare della sensazione orrenda provata mentre l'essere oscuro usava la mia bocca per incontrare la famiglia reale al gran completo? Tremai involontariamente, scacciando il brivido di disagio che mi colpiva al solo ricordo. Non ero mai stato il burattino di nessuno, avevo complottato con gli esseri più abietti ma mai mi ero prestato a rituali simili, semmai accadeva il contrario! Ero io che possedevo, invadevo, minacciavo. Sputai un grumo di saliva troppo denso per essere ingoiato dalla mia gola riarsa, odiavo aspettare che gli eventi si compissero, soprattutto quando c'erano così tante questioni in sospeso.
    Quasi rispondendo alla mia necessità inespressa, il fato parve portarmi direttamente di fronte una di queste: Persephone.
    Nell’osservarla alla luce fioca della lanterna sospesa – posta nell’angolo più alto della cella –, mentre alcuni riflessi saettavano sinistri nelle sue iridi scure come l'abisso, ogni mia riflessione su lei parve prendere forma. Le vidi modellarsi nella mia mente, come una scultura di creta comandata ad arte dalle abilità di un alchimista esperto, per poi esplodere e sparpagliare i suoi pezzi taglienti ovunque. La sensazione era talmente tangibile da amplificare il dolore che già provavo… era un avvertimento e io non ignoravo mai il mio sesto, settimo, ottavo senso, sarei stato un pazzo.
    “Mia adorata sposa, quale onore, ne è passato di tempo dall'ultima volta che mi hai concesso di godere della tua presenza...” Ecco che il braccio di ferro aveva inizio. Continuavo a fissarla, il suo vestiario di pelle mi provocava pensieri poco casti, ma in fondo un marito aveva di questi diritti, no? La sua bellezza era l'ennesima ferita inferta a tradimento, ma i suoi occhi raccontavano una storia che io non conoscevo e cercai di concentrarmi su di essa. Era l'unico modo per non perdere terreno in una situazione in cui il contendente in difficoltà era il sottoscritto. “Oppure c’è un altro nome con cui preferisci essere chiamata? E no, non mi riferisco a traditrice, infame, e via dicendo, no. Intendo proprio un altro nome di battesimo.” La vidi sorridere appena, di lato, più un ghigno che un sorriso in realtà. Perciò, decisi che non era il momento di cedere la parola, avevo la sensazione che quando l'avrei fatto non l'avrei più riavuta. Dovevo buttare fuori ogni cosa e attendere l'esito di quel dannato incubo. Hades, il dio dei Morti, che parlava di incubi era il paradosso più grande! Non persi la mia faccia da schiaffi, né il mio fare strafottente, dovevo pur mantenere una certa dignità! “Sei sorpresa che me ne sia accorto? Persephone è mia moglie, per quanto il nostro incontro non possa essere annoverato tra i più romantici della storia, mi sembra offensivo nei miei confronti pensare che non la conosca abbastanza per non riconoscerla. Per questa ragione sei sparita? Dove si trova lei, adesso? Ma chiedo, ancora una volta, la cosa più importante: chi diamine sei?” Il mio tono era cambiato nel corso della mia arringa, era partito sarcastico, aveva poi virato sull'ironia, per dirigersi subito dopo e di gran carriera verso un’irritazione crescente, per attestarsi infine, su una esplicita minaccia. Lo sapevo bene che non ero nella giusta posizione per minacciare qualcuno, ma avevo già dimostrato di non essere avvezzo alla diplomazia, perché sarebbe dovuto essere diverso in questa occasione?
    A quel punto, Persephone, o presunta tale, fermò il suo camminare tranquillo per la cella, trovandosi a pochi passi da me. Fissò i suoi occhi sconosciuti nei miei, si fece più vicina, e ciò che vi scorsi dentro ebbero il potere di destabilizzarmi. Un altro brivido, questa volta molto più terribile di quello provato poco prima al ricordo della possessione da parte dell'essere oscuro, mi fece rizzare i peli sulla nuca. Lo conoscevo bene, non perché lo provassi spesso, ma nella mia intera carriera ne avevo incontrati molti che ne avevano fatto un vessillo… non osai continuare la mia deduzione. Anche se non era da me, in quel momento, decisi di mettere da parte le mie sensazioni. Avrei affrontato qualsiasi cosa sarebbe successa al momento opportuno. Alzai il mento ancora di più, in segno di sfida, anche se quella pazza non era la mia Persephone conosceva ogni mio segreto e, con ogni probabilità, ogni mio punto debole. Non riuscivo davvero a capire chi potesse essere!
    Lei mi fissò per qualche altro attimo, prima di accarezzarmi la guancia e il collo feriti in un gesto che nulla aveva di compassionevole. Serrai i denti sul labbro inferiore fino a sentire il sapore del sangue. “Allora? Dici che è arrivato il momento di svelare la tua identità e i tuoi piani?” Non pensai a nient'altro. Ero certo che fosse più saggio non farlo, in fondo non sarò stato un maestro nella diplomazia ma la saggezza era una dote che avevo acquisito in anni di esperienza. La misi e mi misi alla prova, in attesa della sentenza.
     
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    :Persephone:
    La chiamata di Selene mi raggiunse che ero già pronta per il viaggio verso la Luna. Alle volte il caso davvero architettava coincidenze e possibilità interessanti. Risposi immediatamente alla convocazione: una Guerriera doveva portare rispetto e ubbidienza alla leader del gruppo, anche se non era più l'Imperatrice in carica.
    Ponevo molta attenzione nel mantenermi aggiornata su qualsiasi avvenimento e variazione nell'Impero Galattico, soprattutto perché sapevo che ogni informazione mi sarebbe venuta utile nell'attuare il mio piano.
    Quando feci la mia comparsa nel salone principale del Palazzo, trovai una folta accoglienza. La famiglia imperiale al completo, molte delle mie compagne Guerriere, i vertici militari fedeli ai loro padroni. Non erano certo lì per salutarmi, né per guardare in faccia la moglie del traditore. Questo leggevo negli occhi di alcuni di loro. Hades era mio marito, e logicamente qualcuno sospettava che fossi anche sua complice. Non potevano essere più lontani dalla verità di così. Dietro la mia espressione distante, fredda, il mio dileggio era ambrosia che allettava il mio palato. Sciocchi, stolti, ciechi. Ignari del vantaggio che mi stavano concedendo.
    Selene si avvicinò senza esitazione. Ricordavamo entrambe l'incontro nelle sue stanze, quando le avevo rifiutato il desiderio di riavvolgere il tempo. Con il mio comportamento la avevo insultata più volte, cedendo alla voluttà di mostrarmi come veramente ero. Il suo sguardo aperto e coraggioso non era mutato, anche avendomi conosciuta. Quanto avrei voluto rubarle la sua fierezza, la sua purezza di cuore. Farle mie. Un piccolo capriccio personale che magari mi sarei concessa quando il mio lavoro fosse terminato.
    Reggeva in mano un piccolo scrigno. Il momento era cruciale, e sapevo ciò che mi avrebbe chiesto, a nome di tutti.
    ”Persephone, Guerriera di Plutone. Mi rivolgo a te in veste di leader delle Guerriere, chiedendoti di poter nascondere e disperdere per sempre questo cofanetto nella Dimensione Ombra che tu controlli”
    Tesi la mano per farmi dare lo scrigno. Conoscevo il contenuto e il potere che conteneva, la funzione che ne avrebbe potuto fare l'essere che stava minacciando l'Impero. Accarezzai l'idea di sottrarre la pietra sfruttando una piccola illusione, ma Selene era diventata sospettosa nei miei confronti. Strinse di più a sé lo scrigno, le labbra strette e lo sguardo irremovibile. Sollevai lievemente un angolo della bocca. Forse avrei dovuto contenermi, durante il nostro incontro precedente, ma oramai era troppo tardi: avrei dovuto rinunciare al potere di quell'oggetto. Poco male. Il mio piano non ne avrebbe risentito.
    La pietra non aveva ancora terminato il suo compito. Senza temporeggiare oltre, aprii un varco con il gesto veloce della mano, lo stretto necessario per permettere alla Guerriera della Luna di lasciarlo andare, come si affida un cesto alla corrente di un fiume. Solo quando richiusi l'accesso, notai che Selene si rilassava, così come anche gli altri presenti all'avvenimento.
    Pensavano di aver messo al sicuro la pietra di Brahmasta? Avrebbero presto scoperto che le loro precauzioni erano state completamente inutili.
    Non avevo altro da fare. Non intendevo più perdere tempo con loro, dato che anche questo tassello del quadro era andato come mi aspettavo. Potevo essere soddisfatta.
    ”Sono dispiaciuta, ma mi devo accomiatare da voi. Altri compiti richiedono la mia presenza”
    Fissai intensamente Selene, fino a che non vidi che arrossiva leggermente, poi usai il mio potere per allontanarmi dalla Luna. Temevo che qualcuno dei presenti avesse la capacità di percepire l'aura dei suoi simili, quindi non dovevo insospettirlo. Sapevo camuffare la mia essenza, avevo bisogno solo di alcuni momenti per farlo. Dopo, sarebbe iniziata una parte del piano che attendevo da molto, molto tempo.
    (…)
    Hades era patetico. Sembrava un derelitto, in balia degli eventi che lo sballottavano peggio di un mare in tempesta. I vestiti strappati, la postura abbattuta, le ferite quasi pulsanti, lo sguardo di chi vuole sputare in faccia al mondo intero. Il collare inibitore in bella vista attorno al suo collo, così come avevo previsto, che indeboliva le difese e i poteri altrimenti quasi invincibili.
    Non lo amavo. Mai lo avevo amato. Se un sentimento avevo provato a dismisura per lui, era solo ripugnanza e ostilità. Era un essere meschino, che si gloriava del suo potere come su di un piedistallo, e tolto quello diventa un semplice nano, non un gigante come amava credersi.
    Eccolo, il dio della Morte. Così vicino alla sconfitta, e nonostante la consapevolezza di questa, arrogante in maniera futile fino alla fine.
    La voce bassa e graffiante, che mai aveva imparato a non utilizzare quando era solo il caso di stare zitto. Ignorai i suoi insulti, le sue sfide, ignorai anche il suo sguardo possessivo sul mio corpo. Gli avrei riso in faccia, perché era finalmente giunto il momento di restituirgli quello che mi aveva fatto subire.
    Ero padrona della situazione, lo sapevamo entrambi. Aveva capito quali fossero le mie intenzioni?
    Fino all'ultimo, si sarebbe illuso che la sua dolce e remissiva compagna avrebbe avuto il cuore di trarlo in salvo? Di non lasciarlo in mano ai suoi nemici, a coloro che lo avevano imprigionato?
    Era uno stolto. Si era fatto coinvolgere in un gioco anche più grande di lui. Non conoscevo l'identità del suo alleato perché per scoprirla avrei dovuto espormi in un momento in cui sarebbe stato meglio che nessuno si ricordasse di me, ma anche se non potevo ancora abbinare un nome e quell'essere, sapevo con certezza che era pericoloso averlo sia come avversario, sia come alleato. Avrei potuto evidenziare e deriderlo per la sua follia, ma non lo avrei fatto. Anche questa, era un fattore che tornava a mio vantaggio.
    Mi avvicinai a lui, sfiorandogli le ferite pietose che lo facevano soffrire come un qualsiasi essere umano.
    Fui sorpresa che fosse così perspicace da notare la differenza in me. Avevo gettato la maschera, non tenevo più al fatto di poter ingannare anche lui come avrei continuato a fare con tutti gli altri.
    Lo lasciai sfogare. La sua rabbia, l'incredulità, la delusione, l'orgoglio ferito. Tutto era dolce ai miei occhi. Come ricompensa, avrei risposto ai dubbi e alle accuse che mi rivolgeva. Mi rivolsi a lui con tono tranquillo, carezzevole, accondiscendente, celando il disprezzo che provavo.
    Marito mio, i miei piani sono semplici: voglio il tuo potere, voglio il dominio sui morti che finora ti sei tenuto stretto. Mi serve”
    Accentuai con malizia le prime parole; lo vidi sorpreso e guardingo. La nostra vicinanza lo turbava, in parti uguali per la pericolosità che avvertiva provenire da me e per l'effetto che sapevo di avere su di lui a livello sessuale. Mi piaceva tormentare le mie vittime in molti modi. La tensione sessuale era una delle mie armi preferite. Passai la lingua sulle labbra in modo lascivo, e Hades mi ricompensò quando le sue pupille nascosero quasi del tutto l'iride. Era un potere e un controllo sublime e assoluto.
    ”Vuoi conoscere il mio vero nome. E' un tuo diritto. Ti balocchi ancora nella speranza che io non sia davvero tua moglie, colei che hai rapito per il solo gusto di spezzare una vita e di trasformarla a tuo piacimento in qualcosa che non fosse puro e casto. Ti nascondi in questa menzogna, ma ti toglierò questa possibilità, prima di toglierti altro”
    Allontanai il mio viso da lui, ergendomi come un giudice che pronuncia una condanna.
    ”Io sono Persephone. Io sono ogni Persephone su cui tu hai messo le mani. Questa è la tua natura, quella di distruggere il buono e il bello per renderli quanto più simili a te”
    Inclinai la testa di lato. Gli sorrisi. Feci un passo indietro, mentre i suoi occhi non mi lasciavano. Forse, fu proprio in quel momento che Hades, il dio della Morte, guardò in faccia per la prima volta una persona che riusciva davvero a spaventarlo.
    Sfilai dalla custodia dietro le spalle il mio bastone. Per tutti, era il simbolo e l'oggetto che racchiudeva il potere di controllare il tempo. Ma come me, nascondeva molto bene i suoi segreti.
    Feci scivolare la mano verso il fondo dell'asta, dove le linee del metallo si modellavano per diventare un'impugnatura. Esercitai una pressione per staccarla dal resto del bastone, e premetti un bottone invisibile a occhio nudo per attivare il cristallo kyber che racchiudeva. Quando la lama laser si attivò, riflessi rossi e cupi tinsero sinistramente la cella, si annidarono nelle fessure, nelle pieghe, nelle rughe del viso di mio marito.
    Il mio viso era impenetrabile. Non lasciai che neanche un'apparenza delle mie emozioni potesse intravvedersi. Dilatai il tempo come avevo programmato, per potermi godere il più a lungo possibile il premio per le mie azioni.
    Il sorriso di Hades era una smorfia in cui si accumulavano rabbia, incredulità, odio, disgusto, raccapriccio, un coacervo delle emozioni più abiette che si potessero esprimere.
    "Avrei preferito una morte più epica, degna per un dio dei morti, ma sono certo che il tuo destino non sarà migliore del mio... il karma..."
    Risi senza allegria ma con scherno: ”Sai ti confesso una cosa: questa volta ucciderti sarà molto più facile della prima volta che l'ho fatto!”
    Trapassai il suo cuore con leggerezza, la spada si mosse quasi guidata dalla sua stessa volontà. Il cristallo avvertiva i miei sentimenti, sapeva. Hades provò istintivamente ad afferrare la lama lucente che spuntava dal suo torace ma artigliò l'aria. Avevo già disattivato il cristallo.
    Con fatica alzò lo sguardo su di me, e il sussurro morente arrivò quasi indistinto alle mie orecchie, tanto che non fui sicura di quello che udii. Se mi fosse davvero importato qualcosa.
    "Sei sempre stata l'unica... per me"
    Riattaccai l'impugnatura al bastone. Nel farlo, la Garnet Sphere lanciò un balenio intenso, una memoria di quanto fosse per me il bene più prezioso che possedevo.
    Un altro passo verso il mio fine ambizioso. Da ora in avanti, sarei stata la Signora degli Inferi, unica e incontrastata: avrei regnato sulle anime dei defunti, sarebbero diventati i miei servi in maniera assoluta.
    Avrei pianto il mio adorato marito in maniera molto efficace. Sarei stata brava a interpretare la vedova afflitta. Chiunque avrebbe subito sospettato che il nemico oscuro si era liberato del suo tirapiedi, ormai diventato scomodo e attaccabile, in mano agli avversari. Nessuno avrebbe pensato a me. Avrei continuato a lavorare nell'ombra, indisturbata. Ognuno di loro era una mia pedina, che avrei manovrato secondo la mia convenienza a tempo debito.
    Senza degnare di un ultimo sguardo il corpo riverso, aprii il portale e mi rifugiai di nuovo nell'oscurità che mi apparteneva.
     
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    :Selene:
    Il salone era fiocamente illuminato, nell'aria il profumo dei miei fiori preferiti. La sera prima si era tenuta il Galà per festeggiare la salita al trono dei nuovi Imperatori. Le decorazioni floreali creavano tocchi di colore nei posti più belli. Ero da sola, oppure no?

    Riconoscevo questa sensazione. Non era un sogno, e neppure un ricordo. Era un presagio. I particolari erano vividi e realistica era pure la sensazione di essere presente in quel luogo, passiva come lo spettatore di una commedia teatrale. Da quando mi applicavo sotto la guida saggia e avveduta di mia madre avevo esplorato in profondità l'arte millenaria del controllo della vista, ottenendo risultati in cui avevo solo potuto sperare. Per secoli avevo proseguito a tentoni tramite tentativi, sbagli, esperimenti sterili. A confronto di dove ero adesso, il livello in cui mi trovavo solo poco tempo prima poteva paragonarsi alla differenza tra un bambino che lallava le prime sillabe e un adulto che pronunciava un'orazione. Ora sapevo controllare pienamente il mio dono, che era diventato potente e affilato come quello delle streghe più dotate della nostra famiglia.
    Ero capace di riconoscerne la manifestazione immediatamente, di distinguerla da un sogno vivido, di potermi muovere a mio piacimento all'interno dell'ambiente, di carpire particolari rilevanti, che mi permettessero di raccogliere informazioni fondamentali come il luogo o il momento, i partecipanti, le implicazioni di quello che vedevo, come se si aprissero davanti al mio volere didascalie chiarificatorie. E questa visione, in particolare, trattandosi della festa di incoronazione dei miei genitori, sarebbe avvenuta tra cinque mesi nel futuro.
    ”Cosa serve ottenere questi indicazioni in anticipo, se poi mi raccomandi prima di tutto di mantenere la neutralità?”
    ”Non siamo totalmente inermi, in effetti. Se ad esempio vedessimo arrivare un disastro che distruggerà un villaggio, potremo fare in modo di evacuarlo e di contenere i danni”
    ”Ma se nella visione vedo morire delle persone?”
    ”Allora, mia cara, non c'è nulla che possiamo fare. Se vediamo morire una persona significa che tale è il suo destino, e provare a modificarlo porterò senza fallo a conseguenze disastrose e imprevedibili”
    La sua mano mi accarezzò la guancia, quasi a consolarmi.
    ”Il nostro compito è durissimo, e quello che ci viene richiesto è di essere forti. Siamo solo testimoni di ciò che sarà, e la storia è ineluttabile”

    Mi girai spaventata verso l'entrata del salone. Sentivo dei passi che si avvicinavano. Il cuore mi saltò in gola perché riconobbi quell'incedere. E contemporaneamente la sensazione di pericolo serpeggiò lungo la pelle della mia schiena. L'orrore mi serrò la gola. Corsi verso quei passi. Era tutto inutile, lo sapevo. Quello a cui stavo assistendo si sarebbe compiuto solo nel futuro, non era reale, non ancora. Nessuno mi avrebbe visto, né avrebbe udito i miei avvertimenti; ero un fantasma incorporeo e impotente.
    Il mio potere era un dono o una maledizione?
    Sotto l'arco fiorito che la sera prima i nuovi imperatori avevano attraversato simbolicamente per rappresentare l'ingresso dell'Impero in una nuova fase della sua storia, raggiunsi Endymion. Erano i suoi passi. Il mio cuore batteva allo stesso ritmo.
    ”No! Non proseguire! E' pericoloso! C'è il male che ti attende, c'è qualcosa di orribile annidato nelle ombre! Fermati, ti prego! Chiama qualcuno che ti aiuti, allerta le Guardie Lunari!”
    Era da solo. Dove erano i soldati? Mi girai frenetica, impotente, sgomenta. Mi spinsi fino al corridoio per controllare se qualcuno fosse in arrivo, se le guardie avessero seguito il loro... no, non c'era nessuno. Lui non era più l'imperatore e i protocolli di sicurezza non prevedevano la scorta continua per i principi.
    Arrivai al limite della visione. Se mi fossi spinta ancora un passo oltre, la avrei persa. Anche le visioni hanno regole e condizioni da non forzare per non perderle. Così, tornai sui miei passi, sempre più agitata.
    Nel frattempo Endymion aveva raggiunto il centro del salone. Ma come poteva sapere che doveva trovarsi lì? Stavo assistendo ad un incontro segreto? Le domande mi stavano facendo impazzire. Dovevo mantenere la calma per non perdere il contatto.
    ”Ho mantenuto la mia parola. Ora puoi farti vedere. E parlare con me”
    Una risata sinistra echeggiò fino alle volte di cristallo. Poi le ombre parvero solidificarsi, animarsi, unirsi ed ergersi imponenti, a pochi passi da mio marito. La forma catturò la luce debole, i riflessi scaturivano dall'armatura enorme che avevo visto per pochi momenti prima di raccogliere la pietra che Hades mi aveva offerto. L'armatura che nascondeva il nostro nemico implacabile aveva ostacolato e impedito a Endymion di fermarmi, e anche adesso era vicino a lui, troppo vicino. Come era riuscito a liberarsi dalla prigione eterna in cui era stato rinchiuso? La pietra Brahmasta era custodita nella dimensione Ombre, da cui nessuno poteva recuperarla. ...o no?
    ”Non mi interessa perdere del tempo in inutili accordi con voi!”
    ”Avevi giurato di ascoltare!”
    ”L'onore dei giuramenti spetta ai deboli, che non possono ottenere le cose in altra maniera. I potenti possono usare altri mezzi”
    L'essere alzò una mano, le parole risuonarono agghiaccianti nelle mie orecchie: ”Uno morirà!”
    Le sue dita si chiusero a pugno, ghermendo l'aria, ma Endymion si portò le mani al petto, accasciandosi lentamente. Corsi verso di lui. Cercai di sostenerlo, di abbracciarlo, di fargli sentire la mia presenza. Le mie braccia passarono attraverso il suo corpo, colorandosi della sua casacca bianca e oro, come se mi muovessi davanti ad un proiettore.
    Non potevo interferire nella realtà così come nella visione. Mai come in questo momento, l'imparzialità che secondo mia madre dovevamo mantenere in ogni situazione mi parve solo questo: debolezza impotente.
    Inginocchiata accanto a lui, assistetti agli spasmi convulsi di Endymion. Cosa ci facevo qui, se non potevo aiutarlo? Urlai il mio dolore...


    … che si fuse a quello nella realtà. Me ne accorsi solo quando sentii le braccia calde di mio marito stringermi forte, le sue labbra sulla mia spalla.
    ”Hai avuto una delle tue visioni? Puoi raccontarmela?”
    Nella penombra della nostra camera da letto, mi girai a guardarlo negli occhi.
    ”No, no, amore mio. E' stato solo un brutto sogno...”
     
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