Mirror Dimension (Auditore's Doom)

Earth Prime

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  1. Tharia
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    Annarita
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    Avevo deciso che lo avrei fatto, dovevo farlo.
    Mi muovevo piano, quatto quatto, leggermente piegato sulle ginocchia, lungo la siepe a nord che delimitava il grande giardino di villa Auditore. Stavo attento che nessuno mi notasse, ma il luogo in cui ero diretto era del tutto riparato da occhi indiscreti, perciò saremmo dovuti essere al sicuro.
    Una volta giunto in prossimità dell’accesso, mi acquattai ancora di più: il mio arrivo doveva essere una…
    “Sorpresa!” Non urlai, no, ma lo stesso riuscii a far prendere a mio fratello Ezio un colpo quasi mortale. Tutto assorto com’era di fronte al suo prezioso cavalletto in legno di ciliegio, ovviamente, non mi aveva udito arrivare e io ero riuscito nel mio intento.
    “Brutto figlio di…” La voce del mio fratellone era affannata e per poco riuscii a schivare un suo pugno armato di pennello: come diamine avrei potuto spiegare baffi di colore sul mio volto angelico?
    “Non dirlo, non dirlo, è anche tua madre!” lo imbeccai con un’occhiata truce, mentre mi avvicinavo e fissavo la sua tela. L’aveva cominciata da poco, ma già si cominciava a capire – anche grazie al disegno di base – il soggetto principale. “Stai davvero dipingendo Claudia? Oh, e adesso chi la sopporterà più… si pavoneggerà a vita!” mi lamentai sbuffando e poi, con un agile balzo, mi sedetti su una serie di pietre levigate che avevamo posto lì a mo’ di panchina.
    “Perché non dovrei dipingere nostra sorella? Almeno ho il vantaggio di avere una sua istantanea sempre con me, nella mia mente. Ogni angolo nascosto di questo giardino mi ha fatto da modello, ma mi sono stufato di dedicarmi solo alla natura…” Eccolo che ripartiva con le sue dissertazioni sull’ispirazione, sulla mancanza di soggetti utili, sulla sua volontà di potersi dedicare a questa passione alla luce del sole… se solo…
    “Potrei portarti altre fotografie… sì, sì, lo so, adori avere modelli ‘vivi” davanti, ma cosa ci possiamo fare se siamo figli di un padre dispotico e di una madre senza spina dorsale?” Il suo sguardo truce mi trafisse come una spada. Non gli piaceva quando esprimevo le mie opinioni così “alla leggera”, perciò mi aveva rimproverato un miliardo di volte, ma a me non importava. “È la realtà, lo sai anche tu. Ti sembra normale che abbiamo dovuto creare un rifugio per permettere a te di dedicarti a una tua passione? Per poterci riunire tutti senza che un suo tirapiedi ci stia appresso? Un luogo dove Claudia potesse nascondersi dai suoi pretendenti imposti? E nostra madre… non muove un solo dito per difenderci? Mentre Federico, se si azzarda a dire una sola parola, viene messo a tacere come se fosse l’ultimo dei suoi scagnozzi… pff, non zittirmi, so quello che dico e mi fa infuriare!”
    Ezio lasciò passare qualche minuto prima di rispondere alla mia arringa. Conosceva bene il mio cuore, così come io conoscevo il suo. Sapeva anche molto bene le angherie a cui io stesso ero sottoposto, anche se non mi ero menzionato nella lista delle ingiustizie subite. Non potevo, io in fondo non possedevo qualità particolari come i miei fratelli e, in qualche modo, ero davvero l’unico che il “grande” Giovanni Auditore aveva ragione a schernire: come poteva sopportare di aver generato un figlio tanto inutile? Ciò nonostante, non riuscivo a digerire che un grande artista come Ezio dovesse nascondere il suo talento; che una giovane donna, intelligente e bellissima come Claudia, non avesse la libertà di vivere la sua vita; che un ragazzo valoroso come Federico vivesse nella sua ombra più oscura, in cerca di approvazione.
    “Non farlo, non farlo, Pietruccio. Non pensare che tu abbia qualcosa in meno di noi, perché non è così.” La sua risposta non era quella che mi ero aspettato. Avevo previsto la solita predica conciliante, in cui cercava di riportarmi sulla retta via, invece…
    “Come hai fatto a leggermi nel pensiero?” gli chiesi allibito.
    “Perché sei mio fratello? Perché sei un libro aperto? Perché in quei tuoi occhi da cucciolo riesco a vedere il mondo che si nasconde dentro di te? E chissà per quanto sarà così…”
    Questa volta fu il mio turno di fissarlo di sbieco. Non capivo se fosse sarcastico o meno, aveva lo sguardo sulla tela, la mano che stringeva il pennello sotto il mento, la schiena era un po’ tesa ma non era una novità.
    “Occhi da cucciolo? Mi stai prendendo in giro?” gli chiesi con voce ironica, in attesa che si voltasse verso di me, sapevo che l’avrebbe fatto, faceva parte della sua naturale teatralità. Trascorsero i secondi, e poi i minuti, ma… nulla accadde. Riprese a dipingere. “Ezio… tutto ok? Ho la sensazione che tu mi stia nascondendo qualcosa e il tuo tono di prima non mi piace affatto. Vuoi davvero obbligare le mie giovani membra ad alzarsi, venire da te, e farti sputare la verità?”
    La sua risata divertita riempì quello spazio non troppo grande e mi lasciò di stucco.
    “Cosa avresti intenzione di fare, nanerottolo?”
    Oh, allora voleva la guerra?! Mi alzai in un lampo e con altrettanta velocità gli saltai sulle spalle, facendogli perdere l’equilibrio. “Ora ti do un bell’assaggio!” cominciai a strattonarlo e cascammo entrambi a gambe all’aria, i pennelli sporchi in grembo, schizzi di colori vari erano sparsi ovunque, addosso e intorno a noi… Non resistemmo un solo attimo e scoppiammo a ridere a crepapelle. Mi tenevo lo stomaco e le ciglia mi si riempirono di lacrime.
    In quel preciso istante, Claudia e Federico arrivarono al rifugio, trovandoci in quello stato pietoso non poterono fare a meno di seguirci nelle risate.
    “Avete intenzione di aiutarci o di continuare a ridere come dei babbei?” li spronai fintamente irritato, mentre tendevo una mano all’altro mio fratellone e regalavo subito dopo un sorriso a trentadue denti alla mia sorellona. Amavo i miei fratelli, erano tutto ciò che avevo, mi facevano sentire al sicuro, mi ricordavano ogni istante di avere un valore. Senza di loro, sarei stato solo un puntino insignificante in un universo governato dal caos.
    Li avrei tenuti sempre al sicuro e vicini a me, ecco la promessa che mi feci quel giorno.
    Avevo 15 anni e, col senno del poi, mi resi conto di quanto Ezio fosse stato abile e io ingenuo con quella sua simulata provocazione. Aveva distolto la mia attenzione da un concetto molto importante che, a mia insaputa, mi avrebbe cambiato la vita: la solitudine.


    Edited by KillerCreed - 6/8/2020, 17:19
     
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8 replies since 5/8/2020, 16:43   151 views
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