Present Day #2020/#2021: Earth, Mandalore & Core

Season 6

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    Annarita
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    La missione. L'onore. L’integrità. Avevo sempre fatto in modo che tutto ciò avesse sempre la meglio su ira, vendetta, paura. Il Credo mi aveva insegnato una via diversa e migliore da quella su cui mi ero incamminato da quando avevo capito che su Koronis non sarei mai stato accettato come guerriero. Io lo ero nell'anima, ma per quelli come me non era consentito servire la propria Patria in armi, non era concesso l'onore di diventare Compagno Alato di un nobile marziano. Per molti, molti anni, questa discriminazione mi aveva ferito, mi ero ostinato a combattere contro il sistema, allenando il mio corpo – naturalmente predisposto alla guerra – a diventare forte e scaltro. Mi ero trasformato, benché giovanissimo, in un abile guerriero, capace di maneggiare numerose armi, ma soprattutto di sfruttare al meglio le mie abilità di volatile. Ero un falco, nero pece. Aggressivo come pochi, avrei fatto furore accanto a un Campione, lo avrei reso indistruttibile, avrei dato la mia vita per lui. Ma non era sufficiente. Ogni mio dannato sforzo – compiuto nella più completa solitudine – era stato gettato nel fango. La mia famiglia mi aveva ripudiato, i miei amici via via abbandonato, non potevano rischiare le pene severe riservate ai dissidenti, ai sobillatori, ai rivoluzionari… così mi avevano definito nella sentenza in cui mi si condannava per questo mio desiderio innato. Volevo essere un guerriero alato, ma non lo sarei mai stato davvero, non come lo avevo sempre sognato.
    In pochissimo tempo, avevo perso tutto ciò che ero, assieme alle mie ali, ai miei desideri, alla mia intrepida innocenza.
    In pochissimo tempo, mi ero trasformato in una landa desolata, in braci ardenti ricoperte di cenere e dolore.
    Il Credo era stato quel barlume di luce che dapprima neppure si nota nel marasma di una tempesta furiosa, ma via via si fa sempre più accecante e diviene l'unico faro in grado di guidarti, di darti uno scopo, una casa, una famiglia. E allora, piano piano, ho ricominciato a credere in valori che consideravo perduti: c’era ancora qualcosa e qualcuno per cui valeva credere e combattere. Sarei stato di nuovo un guerriero, a metà, ma pur sempre un guerriero.
    Per questa ragione ero arrivato qui su Prospero con l'intenzione di portare a termine la missione a ogni costo! Dovevo provare a chi mi aveva dato una speranza che io continuavo a venerare quella speranza, la mia unica àncora di salvezza in mezzo al nulla.
    L'incontro con dei nemici imprevisti aveva mandato all'aria ogni piano. Non solo non sapevano ancora cosa diavolo stavamo cercando, ma a quanto pareva non eravamo i soli.
    Assistere in diretta, però, alle anomalie energetiche di cui Omera ci aveva parlato fu l'ennesima conferma che eravamo sulla giusta strada. Avevamo deciso di stabilire una tregua con i guerrieri che ci avevano aiutato a respingere gli attacchi di donne dai poteri strabilianti. Era chiaro che la diffidenza regnava sovrana, non mi fidavo di loro: l'uomo era di certo il capo spedizione, colui che pareva sapere con certezza cosa stessimo cercando; la ragazzina era una fiamma sempre accesa ma seguiva ciecamente l'uomo; la donna invece era piuttosto autonoma, lottava come una leonessa, si vedeva che era adusa alle armi e i suoi movimenti erano un tutt’uno con l'antica spada che brandiva. Il fatto che fosse accompagnata da un’aquila mi aveva inizialmente insospettito. Mi ero concentrato, per cercare di captare se si trattasse di un koronisiano, ma non ero più certo che i miei sensi fossero più in grado di darmi segnali chiari. Né quella situazione tanto concitata mi permetteva di concentrarmi a dovere.
    Sbuffai mentalmente al ricordo di come, con un solo richiamo, il volatile l'aveva avvisata del rischio che stavo correndo e lei era riuscita a parare un colpo che anche se non fosse stato fatale avrebbe di sicuro lasciato il segno.
    Omera e colei che si era presentata come Kassandra avevano optato per una pace momentanea, così ci eravamo divisi per perlustrare il territorio, in modo che potessimo capire dove e cosa cercare prima che i nostri nemici tornassero ad attaccarci.
    Prima di tutto, mi ero accertato che Grogu fosse al sicuro, dietro un cumulo di aride macerie, gli avevo intimato di non muoversi per nessuna ragione e durante il combattimento aveva fatto il bravo: dentro di me speravo che avrebbe continuato a farlo.
    Poi, senza neppure concordarlo ci dividemmo in due gruppi: Mando e io accogliemmo tra le nostre fila il Maestro Shay, mentre Omera si unì a Kassandra e la tipetta dai capelli rossi di cui non ricordavo più il nome.
    Senza rendercene conto, iniziammo a seguire Shay. Non aveva alcuna mappa, ma sembrava sapere – o meglio seguire – una qualche traccia… forse energetica. Arrivammo nei pressi delle vestigia di un antico tempio, i pochi resti erano arsi dall’afa e dal vento desertico, fu allora che ci intimò di nasconderci dietro a un pilastro di arenaria. Stavo per controbattere, ma Mando mi bloccò per un braccio e mi intimò di guardare in una determinata direzione: la scena mi lasciò a bocca aperta. Omera aveva ragione. Quelle anomalie energetiche erano dei veri e propri portali… Lei ce lo aveva confessato durante il viaggio, a bassa voce, quasi temesse di dire un’eresia. Non ne aveva le prove, era solo una sensazione, ma eccome se aveva ragione!
    In completo silenzio, osservammo le tre guerriere, adesso ricoperte da un mantello e un cappuccio, accoglievano altre guerriere come loro al di qua del portale. Ne contammo due, la terza in arrivo invece restò bloccata in seguito alla chiusura improvvisa della breccia. Dovevamo intervenire subito, prima che diventassero troppe e ancora più temibili, vincere allora sarebbe stato impossibile. Senza alcun cenno di intesa, come se fossimo un'unica persona, uscimmo dal nascondiglio e attaccammo il nutrito gruppo di guerriere. Mentre mi avventavo su una di loro con la mia lancia in nth, udii il richiamo acuto dell’aquila di Kassandra. Quel suono fu capace di penetrare nel mio cervello e sembrò volerlo tagliare in due. Resistetti alla tentazione di togliermi il casco e tapparmi le orecchie, continuai a combattere e mi concentrai sulla mia avversaria, che tentava di stringermi in una morsa elettrica. Fortunatamente, il metallo nth non era conduttore di energia… al di là di quanto si potesse immaginare. Perciò i suoi attacchi andarono a vuoto e io riuscii ad atterrarla con un colpo tremendo allo sterno.
    In quel momento, arrivarono i rinforzi: Omera e le altre si gettarono nella mischia, allora mi accorsi che un'altra guerriera aveva abbandonato lo scontro e si era data alla fuga, Shay iniziò a inseguirla e io gli fui subito dietro dopo un brevissimo cenno del casco rivolto a Mando.
    Non mi limitai a correre, no. Spiegai le ali di nth, che avevo forgiato con le mie stesse mani, e spiccai il volo. Incrociai la traiettoria dell'aquila e con un movimento fluido evitai l'impatto. Dal suo canto, il volatile stridette ancora una volta, a mo' di avvertimento. Aveva capito che stavo cercando di entrare in contatto con lui.
    Scossi il capo con forza e mi concentrai di nuovo sull’inseguimento. Dall'alto era tutto diverso, potevo cogliere i dettagli più piccoli, contestualizzarli e valutare le migliori strategie. Facemmo relativamente poca strada, la figura incappucciata entrò in una specie di antro, il Maestro Shay era riuscito quasi ad agguantarla ma l'altra sgusciò via all’ultimo istante. Planai sul terreno con una grazia insospettabile per la mia considerevole mole e gli fui subito alle calcagna.
    Dopo la luce accecante dell'esterno, diventai quasi cieco nella penombra della caverna. Attivai il visore notturno e cercai di individuare i due, entrati prima di me. Avvistai subito la guerriera: era di fronte a un pozzo, il buio adesso era quasi totale, ma io ci vedevo abbastanza bene per distinguere le mani della donna spalancate sopra la bocca dell'abisso.
    Shay mi arrivò accanto, silenzioso come un felino, era strano… avevo la sensazione che non poggiasse neppure i piedi al suolo.
    “Dobbiamo intervenire, impedirle di prendere ciò che tra poco emergerà dal pozzo.” La sua voce era contratta, appena un sussurro, ma sembrava parlarmi quasi nella testa. Non attese la mia replica, impugnò la sua spada laser, era di un bianco intenso che superava quasi il bagliore del sole. Tolsi subito la visione notturna, prima di restare del tutto cieco e lo seguii nella battaglia. La guerriera rispose ai nostri colpi, ma questa volta era in inferiorità numerica e le possibilità di vittoria pendevano dal nostro lato. Mentre gli attacchi e le difese si susseguivano, un terremoto violento fece tremare la terra sotto i nostri piedi. La donna cadde in terra, Shay si aggrappò al bordo del pozzo, mentre io mi gettavo su un lato di una profonda breccia che si era aperta nel terreno. Breccia che aveva isolato Shay dal nostro nemico e da me. Cercai di deviare i colpi che la guerriera tentava di inviare a distanza verso di lui. Ingaggiai di nuovo battaglia per dare respiro a Shay e per permettergli di afferrare ciò che stavamo cercando: era chiaro che dal pozzo sarebbe venuto fuori l'oggetto in questione. Stordii la tipa con un colpo feroce di casco sul naso, niente di più brutale e doloroso, e allora osservai la scena oltre la spaccatura, attento a non perdere l’equilibrio a causa dei continui tremori tellurici. Il Maestro Shay stringeva tra le mani una pergamena, la stava leggendo, di sicuro era ciò per cui Armorer ci aveva inviati qui! Non potevo permettermi di fallire, così agii ancora prima di deciderlo davvero. Volai oltre la breccia, strappai dalle mani dell'uomo la reliquia e mi diressi verso l'uscita. Non mi interessavano le sorti di chi mi lasciavo dietro, ero certo che entrambi avevano le risorse per mettersi in salvo, ma dovevo approfittare di questo mio vantaggio per portare a termine la mia missione.
    Era la mia occasione per riscattarmi agli occhi della mia unica famiglia, non volevo perderla, senza sarei tornato a essere nessuno. Un nessuno che odiavo con tutto me stesso.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 14/2/2021, 20:15
     
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    Dovetti ammettere che trovarmi nel centro dell'azione non mi aveva stordito o confuso come magari io stessa potevo credere o come magari i miei compagni potevano pensare, anzi... sembrava che tutto mi venisse estremamente naturale oltre che congeniale. La mia mira era indubbiamente delle miglior qualità che possedevo, come la mia lucidità mentale che riusciva a non abbandonarmi nemmeno nei momenti di estrema difficoltà.
    Megamede, l'uomo che veniva chiamato Maestro, oltre che una delle donne che ci stava attaccando erano entrati nel tempio che dal nulla era comparso e che a forma piramidale adesso pareva cedere per via di scosse di terremoto che stavano coinvolgendo tutto il pianeta. La terra ci vibrò sotto i piedi, mentre le tre mercenarie ci stavano tenendo testa con i loro formidabili poteri. Pareva chiaro che loro, tanto quanto noi, stavano combattendo per dar tempo ai nostri compagni di uscire dal tempio.
    Come se non bastasse continue anomalie, come portali, si aprivano qua e là e dovevamo stare molto attenti che non ci "colpissero" o questo avrebbe voluto dire venir dilaniati o rimanerci bloccati dentro, così come era successo ad una delle compagne delle nostre nemiche che esamine spuntava da un muro creatosi dal nulla nel bel mezzo del deserto.
    Stavo proprio sparando contro una di loro, sperando di colpirla alle mani per impedirle di continuare ad usare i suoi dardi di fuoco, quando l'ombra di Megamede mi fece sollevare un attimo allo sguardo all'insù. Planò alle mie spalle mostrando con orgoglio a me e Mando la pergamena, mentre continuando a sparare iniziammo a retrocedere per raggiungere la navicella. Grogu era tra le mie braccia, mentre muovendo lievemente una mano, senza che nessuno di noi se ne accorse, fece volar via la pergamena che rotolando venne velocemente presa dalla ragazzina dai capelli biondi.
    Rise soddisfatta e poi facendo cenno al suo Maestro che di corsa era appena uscito dal tempio insieme all'altra mercenaria, prima che quello crollasse, iniziarono anch'essi a correre verso la propria navicella.
    Shay prese dalle mani della propria allieva la pergamena ed iniziò a leggerla, fin quando Mando gli sparò di striscio alla mano causando che la stessa rotolasse via.
    Fu la donna incappucciata dalla lucente catena alla vita che la prese e più veloci di quanto potessimo immaginare, e sperare, lei e le sue compagne scomparvero da un portale che si aprì alle loro spalle, uno però che pareva assai diverso dagli altri.
    Imprecazioni e frustrazione si sfogò da entrambe le parti, mentre ancor prima che potessi rendermene conto la biondina dello schieramento opposto sfoderò la sua spada laser color blu e mi fu addosso.
    “E' tutta colpa vostra sapevo che non ci si poteva fidare dei Mandaloriani!” avrei fatto per difendermi alzando il braccio ed usando l'avambraccio di mentallo nh per respingere il suo attacco, ma Mando fece prima di me. Il suo braccio incontrò la lama laser che tuttavia non rovinò la sua armatura nè la ammaccò, mentre Megamede fu dietro alla ragazzina e spostandola di peso la fece rovinare a terra.
    A quel punto il suo Maestro le fu accanto. La stava rimproverando per la sua irruenza, ma in egual misura era preoccupato per la sua incolumità e preoccupato per la situazione createsi.
    “Normalmente mi troverei in disaccordo con la mia Padawan, ma come darle torto?” disse guardandola una volta rimessa in piedi e poi avanzando verso Megamede. Era più basso, ma non gli importava. Aveva puntato il suo sguardo in quello del visore di lui e lo stava fulminando.
    “Mi hai rubato la pergamena e mi hai lasciato nel tempio che stava crollando, avrei potuto morire!”
    “Eppure sei qui o sbaglio?” il tono del Mandaloriano dall'armatura onice era calmo e canzonatorio, mentre affermava l'oggettività degli eventi. Intanto la ragazzina tornò alla carica. Il suo dito puntato verso di noi.
    “Per colpa vostra abbiamo perso la pergamena!”
    “Grazie a noi siete ancora vivi” le rinfacciò Mando.
    Era chiaro che la situazione era tesa ed il fatto che tutti avessero le mani sulle loro armi non era un bene e così agì d'istinto mettendomi in mezzo ai due schieramenti. Le mani alzate a voler creare distanza e calmare gli animi.
    "Abbiamo una missione ed era portare la pergamena su Mandalore. Non abbiamo fatto altro che perseguire il mandato. Voi stessi dite di conoscere i Mandaloriani, dunque dovreste sapere che non vi è stato alcun tradimento da parte nostra!" osservai calma, ma piccata, proprio mentre anche colei che si chiamava Kassandra si fece avanti. Guardandomi e rispondendomi.
    "Noi abbiamo una storia meno convincente sul come e perchè siamo qui o quale fosse la missione, ma posso dire a nome dei miei amici che è molto importante..."
    Notai l'uomo e la ragazzina dietro di lei guardarla male, era chiaro che per loro un sogno premonitore bastasse come motivazione più che valida, meno per lei. Ora tutti ci fissavano era chiaro che eravamo le uniche decise a trovare una soluzione piuttosto che litigare.
    "Avete letto la pergamena da ciò che ho visto..."
    "Anche voi..."
    Assentì sorridendo e voltando appena il capo mi rivolse a Megamede.
    "Quale parte hai scorso?"
    “Stiamo davvero facendo un'accordo?”
    "Mi prenderò io la responsabilità con The Armorer di ciò, ti prego rispondi..."
    “La prima...”
    "Shay tu cosa sei riuscito a leggere?"
    “Kassandra scherzi? Scherzi davvero?
    “Elise basta! Lasciala fare! Comunque... l'ultima...”
    Rispose l'uomo dopo aver ripreso la sua apprendista.
    "Condividiamo ciò che sappiamo, voi tornereste a casa con le informazioni complete circa la stessa ed anche noi..."
    "Accordo ragionevole, ma come la mettiamo con coloro che l'hanno presa?"
    Alla sua domanda guardai oltre la sua spalla, fissando negli occhi Shay.
    "Voi sapevate chi erano, come?"
    “Voi sapevate delle anomalie, come?”
    Sorrisi e capì che l'unica opzione era mettersi intorno ad un tavolo e parlare.
    "Spero che la vostra navicella sia più adatta ad accogliere degli ospiti..."
    “Certo! Abbiamo anche il caffè!”

    L'incontro sulla navicella Lamba durò più di un'ora. Come concordato condividemmo quello che ognuno dei due schieramenti aveva letto dalla pergamena per tentare di ricostruirne il testo completo e poi avevamo parlato anche di altro.
    Sapere chi davvero fossero, e comprendere dunque perchè spade laser ed altre cose ci erano ignote, servì anche a dare un senso a quello che io sapevo, ma non credevo possibile.
    L'idea che esistesse una Dimensione del tutto uguale, ma speculare alla nostra era qualcosa che all'interno della biblioteca proibita di Saturno avevo letto, ma mai avevo avuto la conferma che esistesse e tanto meno che esistesse un modo per far interagire le due.
    A detta di Shay così era sempre stato fin quando i dittatori del loro mondo non avevano iniziato a sperimentare modi per raggiungere la nostra dimensione a fronte della morte della loro, figlia dello spezzarsi inesorabile della Forza e dell'equilibrio che da sempre regnava tra Caos e Cosmos.
    Il braccio destro di questo fantomatico Impero, l'Alfiere, era riuscito a giungere qui e a quanto pare stava agendo per aprire un varco definitivo che avrebbe permesso alla loro Dimensione di giungere nella nostra. Questo avrebbe causato danni ingenti oltre che soppiantare qualsiasi doppelganger con le versione che arrivavano dalla loro parte. Dissero che sapevano che l'Alfiere aveva bisogno di due elementi per farcela: i Di'Allas e i 7 Talismani Isu. Quelle due informazioni erano conosciute in egual misura da loro quanto da noi.
    Ragionai sulle loro parole e capì che persone che erano disposte a distruggere la loro casa, consci di perdere tutto pur di salvarci, bè non potevano essere nemici. E questo dovette pensarlo anche Megamede che con loro condivise la notizia che i Templari possedevano, attualmente, i Monoliti.
    I tre parvero quasi sollevati, era comunque avere la certezza di dove qualcosa fosse e nel frattempo dedicarsi al recupero dei Talismani. Ma anche di qualcun altro. La pergamena sembrava proprio annunciare la catastrofe da me ipotizzata e da loro confermata e su di essa si parlava di qualcuno che, forse, avrebbe potuto essere la chiave per fermarla.
    Collaborare era imperativo. Non era per una questione di fazione, ma di salvezza dell'universo ad ogni costo. Era chiaro che passare per la Repubblica avrebbe voluto dire tanta burocrazia, votazioni e tempo che non c'era. Agire in solitaria voleva dire avere una chance. Promettemmo loro di parlarne con la nostra guida e di farci sentire per decidere insieme le prossime mosse al riguardo.

    Il viaggio di ritorno mi parve quasi più lungo dell'andata, avevamo molte cose da dire a The Armorer e per quanto mi riguardava anche la responsabilità di una trattativa che non solo avevo proposto, ma anche portato avanti.
    Nella stiva, mi ero sciolta i capelli e mi stavo massaggiando il cuoio capelluto con le mani. Gli occhi erano chiusi nel vano tentativo di sciogliere i nervi, quando percependo chiaramente una presenza alle mie spalle sorrisi, prima di voltarmi ed abbassare il capo preoccupata.
    "Sei venuto a dirmi che... ho sbagliato?" in parte lo temevo. Dopotutto ero l'ultima arrivata e mi ero presa la libertà di tali scelte, anche se non me ne pentivo. Mi ero basata su ciò che sapevo. Avevo fatto ciò che credevo giusto.
    “Sono venuto a chiederti come stai...” mormorò lui mettendomi le mani guantate tra collo e spalle. Io sorrisi e non potei fare a meno di sollevare le mie di mani e metterle sulle sue.
    "Bene? E' assurdo che a fronte di una situazione del genere, mi sento così, ma... è bello saper di contare qualcosa, di essere capace e soprattutto di avere qualcuno che si fida di te... che si fida delle tue scelte..." gli confessai arrossendo appena, ma sorridendo lieta.
    "Oh per lo meno è quello che spero, non ho capito se qualcuno al piano di sopra ce l'ha con me o meno..." ammisi un po' preoccupata.
    “Nessuno ce l'ha con te. Di certo stiamo portando a casa il miglior risultato possibile in una situazione a dir poco complessa. Di sicuro non torniamo a mani vuote... e questo anche per merito tuo...” le sue parole calde e leggere mi rincuorarono, quanto la sua presenza.
    Io sorrisi e sentì come sempre avvampare dentro di me quel calore che mi partiva dal centro del petto e mi spingeva a volerlo, a desiderarlo. Mi morsi la lingua, chiusi gli occhi e ripresi il controllo dei miei istinti. O almeno ci provai.
    "Una Dimensione Specchio ci credi? Una dove ogni cosa, compresi noi stessi abbiamo preso una direzione diversa. Opposta. Chissà forse non mi sarei mai sposata, avrei inseguito i miei sogni, sarei diventata una Saggia, ma... così non ti avrei mai incontrato. Sarei rimasta bloccata in una società obsoleta e così indottrinata da credere che la vita che vivevo era fatta di libertà... Sorrido sai? Rivivrei ogni errore, ogni sbaglio, ogni orrore pur di ritrovarmi qui... con questa armatura... con te..." lo dissi con un tono un poco più caldo del solito, una mano ad accarezzargli il casco immaginando la linea del suo profilo. Il calore della sua pelle e poi chissà... sarebbe stata ispida per della barba? Oppure non l'aveva? E le sue labbra? Avrei voluto disegnarne la forma, saggiarne la consistenza...
    Se solo avessi potuto guardare oltre alla sua visiera, forse lo avrei visto deglutire il vuoto. Chiudere gli occhi e sognare di essere toccato da me... Non seppi tutto ciò, ma percepì chiaramente le sue mani stringersi sui miei fianchi come mai aveva fatto prima.
    “Vorrei cancellare gli orrori che hai vissuto, ma sono felice che tu sia qui con me, adesso, con questa armatura addosso...” ridacchiai davvero vicinissima a lui. I nostri corpi mai lo erano stati tanto, seppur avrei voluto che nessuno dei due avesse così tanti strati da dividerci. Dal sentirci.
    "Devo confessarlo..." iniziai con voce bassa e calda, la mia mano scivolò sulla sua visiera toccando l'unica porzione di pelle scoperta di lui. Non era molto se non una piccola porzione di collo, ma avevo bisogno di sentirlo e lì le mie dita lo solleticarono.
    "Diventa difficile ogni giorno che passa trattenermi dal..." risi, ma d'imbarazzo, mordendomi le labbra ed arrossendo. Ora avrei voluto io indossare un casco.
    "Mi consolo con i sogni, ma... non è la stessa cosa..." e lì avrei voluto sotterrarmi, ma era anche vero che volevo che lo sapesse. Che capisse quanto lo desiderassi in ogni senso...
    “E cosa... cosa sogni?” la sua voce uscì più roca di quanto mi aspettassi, nonostante il suo tentativo di schiarirsi la gola. Percepivo anche il suo desiderio crescere e questo non poteva non rendermi felice, ma al contempo mi mise in difficoltà.
    Non mi aspettavo certo che mi desse corda e così rifuggendo dal suo sguardo, voltai il capo a fissare una paratia che trova improvvisamente interessante. Dirgli certe cose e guardarlo in volto, ero coraggiosa, ma forse non così tanto.
    "B-Bè... immagino come sarebbe... ecco..." deglutì toccandomi i capelli nervosa.
    "Toccare il tuo viso... sentire le tue mani... su di me... s-sulla mia pelle intendo e..."
    Lo guardai cercando di non sprofondare, ma al contempo con la sicurezza di essere totalmente sincera.
    "E quanto sarebbe bello scoprire che sapore ha un tuo bacio. Ma voglio che sia chiaro questo. Rispetto i tuoi tempi, i tuoi desideri, ma... è più forte di me... sentir crescere questo ogni giorno che passa è naturale... come respirare... tu hai conquistato il mio cuore, la mia fiducia e la mia mente prima di tutto il resto... dunque non voglio che tu possa pensare che il mio desiderarti anche in modo... ecco... carnale, sminuisca il resto... anzi... sarei disposta anche a darti solo quello che abbiamo pur di amarti..." lo avevo detto e non lo avevo fatto consciamente, me ne resi conto solo dopo aver pronunciato quella parola. Quello mi bloccò per un istante, non volevo farlo scappare.
    Lo vidi immobile fissarmi, con paura pensare a cosa avrebbe potuto fare o dire, fin tanto non lo vidi togliersi i guanti. Uno alla volta. Con urgenza, ma al contempo con la stessa cura con la quale mi prese il volto tra le mani, mi accarezzò prima le gote, poi le labbra, scendendo sul collo. Chiusi gli occhi godendo di quel contatto intimo, il primo che avessimo mai avuto così. Pelle a pelle. Il mio respiro si fa affannoso, il cuore batte all'impazzata e sono certa che lui possa percepirlo... poi le sue mani proseguono e contro ogni mia aspettativa mi aiutano a togliermi la parte superiore dell'armatura, perfino la pesante maglia di cotone che sotto indosso. Rimango in canottiera, la stoffa è sottile e presto le sue mani ne abbassano anche le spalline...
    Il suo volto si abbassò verso il mio, casco contro fronte ed il suo respiro si fece corto.
    “Ho caldo, caldo dentro. Mi trema lo stomaco e il ventre. Mi manca il respiro e il cuore sembra un tamburo. Se questi... non sono i sintomi di una strana malattia, ma dell'amore... beh... forse anche io sono innamorato... dell'unica persona che mi ha mai fatto sentire così... Vorrei darti molto, molto di più... vorrei...” sussurra concitato, ma con trasporto, ma una nota di paura nel suo tono non mi sfugge.
    Agì d'istinto. Vicino avevamo la cuccetta e così facendolo sedere sul bordo della stessa, senza aspettare oltre, mi sedetti a cavalcioni su di lui. Intrecciai le mie mani con le sue ed infine avvicinai una al mio seno, di cui sicuramente percepiva la forma per via della canotta sottile. Lì il mio cuore batte, lo fa come un tamburo impazzito.
    "Quello che abbiamo mi basta..." sospirai quasi fossi in grado di leggere i suoi pensieri "Ma qualsiasi altra cosa vorrai darmi... vorrai provare... io... ci sarò... sempre... Sono tua... e lo dico con condizione di causa... non lo dico come un moto di sottomissione, ma di fiducia. Mi fido di te... spero solo che tu con il tempo imparerai a fidarti di me..."
    “Io mi fido di te...” lo sentì mormorare con un filo di voce, ma mai avrei immaginato il vero motivo. Lo osservai stringermi maggiormente a sé e poi eccolo lì fare una cosa mi tolse il respiro. Spengere la luce e poi... togliersi il casco e portare una mia mano al suo volto.
    La stiva già buia era piombata nell'oscurità più totale e l'unica cosa a cui potevo affidarmi era il tatto. Le mie mani corsero sul suo viso solo con la punta delle dita, percependone la barba corta ed ispida, ma anche una pelle bollente. Arrivai ai suoi occhi, che lo sentì chiudere, mentre con un dito disegnavo le sue sopracciglia. Scesi e gli accarezzai le labbra disegnandole, mentre le percepì dischiudersi in un modo del tutto spontaneo, mentre il mio dito scorreva in basso verso il mento. Mi feci più vicina e persi le mie mani tra i suoi capelli, prima di poggiare finalmente la mia fronte nuda contro la sua.
    "Puoi anche respirare ora..." lo presi in giro bonariamente.
    “Se ci riuscissi...” ironizzò lui con il fiato corto, mentre sorridevo e lasciavo che il mio naso si sfiorasse con il suo.
    "Abbiamo tutto il tempo del mondo..." lo rassicurai, scivolando via quel tanto per invitarlo a sdraiarsi vicino me. Era meglio dormire ed era bello sapere di poterlo fare stretto a lui dopo un atto così importante di apertura verso di me, oltre che d'amore. Tanto era successo nella missione e tra di noi che avrei combattuto ancor più strenuamente per preservare quell'universo, per concederci tutto il tempo che gli avevo promesso avremmo avuto.
     
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    La Luna era cambiata molto e molto velocemente. Aveva perso quell'aura di perfezione e serenità immutabile che aveva permeato ogni più piccola cosa per millenni. Da quando il Palazzo Reale non era più la residenza degli Imperatori e della Corte, le Sale si erano animate di un'attività incessante, caotica e colorata insieme. La Sala del Trono era stata modificata e ora ospitava gli scranni per i Senatori della Repubblica, una struttura ad emiciclo realizzata in un metallo splendente, che non faceva perdere di luminosità né di eleganza all'intero ambiente. Per fortuna, gli artigiani che lo avevano ideato non avevano badato solo alla praticità e alla celebrazione del potere, ma anche agli aspetti più squisitamente estetici. Vedevo in questo il gusto di Selene, che ora era esclusivamente una Guerriera, come me e le altre nostre compagne, ma in maniera ufficiosa consigliava e supportava il Cancelliere Supremo e il fratello Helios, il rappresentante lunare.
    Ero arrivata sulla Luna appena in tempo per partecipare alla seduta ordinaria del Senato. Si respirava ancora un'aria di novità e di trepidazione in queste prime convocazioni, un'agitazione contenuta proprio per l'Ordine del giorno. Endymion, dal suo seggio centrale, parlò con voce ferma e altisonante. Quel ruolo di potere gli donava, conferendogli un riflesso di autorità e magnificenza ineguagliabili.
    “Il Senato, nel sedicesimo giorno di Kelona del primo anno della Repubblica, si riunisce per rendere pubblica la decisione presa dopo attente valutazioni. In seguito a recenti e concomitanti episodi di natura sconosciuta, si è stabilito di costituire un gruppo di indagine a cui affidare il compito di raccogliere informazioni. Il generale dei MoonKnight e le Sailor di Marte, Venere e Cerere partiranno domani stesso alla volta di Prospero, dove sono stati rilevati i fenomeni più significativi”
    Io, Ares, Cerere e Thot. Forse più propenso all'azione che non all'analisi e alla ricerca, avevo fatto presente, ma mi era stato risposto che Athena e Partenope sarebbero state più utili nei laboratori, pronte a ricevere e analizzare i dati che avremo ottenuto.
    Questo era avvenuto il giorno prima. Attraversavo i corridoi dell'edificio riservato alle Sailor alla ricerca della mia pupilla, Cerere. Avevo controllato nella sua stanza, senza trovarne traccia. Pareva che non fosse neanche stata lì per riposare durante la notte. Mancavano pochi minuti al decollo del nostro velivolo, una Corvetta CR90 che avrebbe viaggiato abbastanza veloce attraverso il sistema solare per lasciarci sul pianeta desertico del Sistema di Sirocace.
    A differenza delle sale istituzionali, la nostra residenza era silenziosa e disabitata. Noi Sailor stavamo qui solo quando avevamo degli incarichi imminenti da adempiere, perché in tutti gli altri momenti, avevamo scelto di vivere con le nostre famiglie. E ora queste erano quasi tutte sulla Terra. A questo pensiero, la tensione e lo struggimento per la lontananza da Altaïr era una reazione consueta, che avrei placato immediatamente al mio ritorno accanto a lui.
    Trovai Cerere nella stanza di addestramento. Sorrisi al pensiero che in pratica era solo lei a utilizzarla e non tanto per mantenersi in forma, noi Sailor quasi non ne avevamo bisogno, quanto per sfogare l'energia repressa che accumulava sempre a dismisura, un po' a causa del suo carattere troppo intransigente nei confronti del mondo e di se stessa.
    Nonostante la foga con cui stava accanendosi sugli attrezzi, non aveva affatto l'aria scarmigliata né rovinata. Un piccolo moto di orgoglio si agitò nel mio petto: era una degna figlia di Venere. Tutto questo però non mi distrasse da un'altra constatazione, molto più drammatica ed evidente. Cerere soffriva. Non traspariva dal suo viso, né dai suoi movimenti, ma dal suo spirito.
    “La navicella partirà tra poco, e non hai ancora indossato la tua armatura, Guerriera...” La rimproverai bonariamente.
    Cerere mi guardò perplessa, strappata bruscamente dalla voragine dei suoi pensieri. “Sarò pronta in pochi secondi, ho tutto sotto controllo. Ma ti ringrazio per la premura, Aphrodite”
    Mi avvicinai a lei. Le accarezzai una guancia, un gesto di consolazione quasi materno. “Non devi ringraziarmi. Ti conosco e... nessun altro può capire la tua situazione come me, lo sai?”
    Mi fermai, ansiosa, in attesa della sua reazione. Avrebbe respinto ogni tentativo di empatia e compassione, oppure lo avrebbe accettato? In ogni caso, mi sentivo in dovere di darle il mio aiuto, regalarle la mia esperienza. Cerere non lasciava trasparire i suoi sentimenti come ogni altro venusiano, ma li viveva e li subiva allo stesso identico modo. Soprattutto da quando aveva manifestato l'imprinting con quell'uomo... con uno dei traditori. Provavo un'immensa pena per lei, ma anche un'altrettanta determinazione a sostenerla nelle sue scelte.
    Cerere annuì, quasi sorprendendomi. “Non ne ho parlato ancora con nessuno. Ora che anche Vesta è lontana, mi sento sola” Dal suo tono, sembrava parlare tra sé e sé. “Lei tornerà e io spero che sarà più serena. Che questo periodo serva per farla guarire, perché possa vivere meglio la sua natura. Ne soffro, mi dispiace non sapere dove sia ma lo accetto se è per il suo bene. Davvero, ne sono convinta”
    Mi guardò, e a quel punto capii che davvero si era lasciata andare a una confessione più che altro privata, mentre ora voleva parlare con me, da me voleva delle risposte o delle rassicurazioni.
    “Quello che non accetto è altro. L'imprinting è un mistero enorme. Io... non mi ero illusa che fosse una favola sdolcinata e perfetta. Non sono una sciocca ingenua e penso di avere gli occhi bene aperti sulla realtà. Però sto vivendo in una contraddizione assurda. Dimmi come è possibile che sia così!”
    “Non ti devi sentire obbligata a fare qualcosa che non desideri. I Templari hanno tradito gli Eterni, e ora sono nemici della Repubblica, ma ciò che riguarda i nostri sentimenti, il sacro legame che unisce due esseri non può sottostare a questioni politiche. Se anche la nostra lealtà ci impone di combatterli, non puoi obbligarti a rinunciare a lui per...”
    “Ma non è questo!” Mi interruppe, e sembrò quasi arrabbiata con me; trattenni il respiro, perché solo a quel punto cominciai a sospettare il vero dilemma che la torturava “Non so come fare! Mi sento spinta e tirata in due direzioni opposte e non riesco a gestirle! Una parte di me vorrebbe stare con lui, con il mio unico amore, mentre l'altra... il solo suo pensiero mi suscita disprezzo e rabbia! Non voglio più vederlo, né stargli vicino. Non ha tradito un semplice patto, ha tradito noi, l'amore che ci univa! E ora... sento di amarlo e di odiarlo contemporaneamente...”
    Lacrime e rabbia. Delusione e disperazione. Amore e odio. Un insieme pericoloso e micidiale nel cuore di un venusiano. Sentii la sua sofferenza come fosse la mia, per la profonda empatia che possedevamo. La strinsi a me con fermezza, vincendo il suo tentativo automatico di rifiutare un aiuto compassionevole.
    “Ti rimarrò vicina in tutto quello che potrò fare. Piccola mia, la prova che hai davanti è grande, immensa. Solo un cuore temerario può superarla. Non so dirti come però. Mi dispiace, ma non lo so. Posso insegnarti a superare il dolore dell'essere separati dal nostro compagno, a quello so che è possibile resistere” Sorvolai su come ero davvero riuscita a superare il periodo in cui il mio sposo era mancato al mio cuore. “Non piegarti alla disperazione ma combatti, mantieni il controllo arrendendoti al tuo cuore” Erano parole che non avevano alcun senso razionale, ma parlavano all'irrazionale pulsione dei nostri sentimenti.
    La baciai sui capelli, poi le passai le mani sulle spalle. Il tempo ormai stringeva. Cercai i suoi occhi lucidi e persi, li vidi poco a poco riacquistare la consueta risolutezza. “Dobbiamo andare, Cerere. Sei una Sailor, e ci aspetta una missione estremamente importante!”
     
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    La frustrazione che provavo era divenuta così insopportabile che se non era per le pochissime persone a cui davvero tenevo e con le quali cercavo di mostrarmi quanto più normale, per il resto sopportarmi voleva dire avere a che fare con una Cerere ancor più difficile ed a tratti inquietante.
    Da sempre a parte Iuventas e Partenope, che tornavo volentieri a casa loro su Mercurio o Marte di tanto in tanto, io e Vesta ci eravamo trasferite in pianta stabile sulla Luna lì dove noi Sailor avevamo un'area dell'ex palazzo imperiale a nostra totale disposizione. Da sempre eravamo state le uniche inquiline fisse, in quanto le Inner avevano le loro famiglie a cui tornare e le Outer era risaputo quanto stessero sulle loro. Potevo dire che da quando ero Sailor le avevo viste raramente lì. Tuttavia con la partenza di mia sorella, mi ero ritrovata ad essere l'unica abitante di quell'ala. Non era raro dunque vedermi girare per la stessa con un dispositivo che mi permetteva di ascoltare musica direttamente nelle orecchie, un apprezzato regalo di Aphrodite che aveva preso sulla Terra e che io ero solita indossare camminando del tutto apatica per i corridoi, al punto che se le persone mi rivolgevano la parola io semplicemente facevo come se non esistessero. I miei tragitti erano meccanici e ripetitivi: stanza-palestra / palestra-stanza, tranne rare eccezioni in cui mi dedicavo a del sano movimento all'area aperta oppure mi recavo nella deserta area mensa dove il più delle volte mangiavo sola, motivo per cui preferivo spiluccare quello che mi interessava dal buffet e portarmelo in camera.
    Il mio carattere, ben poco socievole, era divenuto ancor più schivo e se non era per questioni di lavoro, non lasciavo mai praticamente l'ala est del palazzo. Il tutto mentre l'ala ovest era stata convertita nel Senato e la parte centrale era rimasta, ovviamente, la residenza dei principi.
    La caserma dei Moon Knight era un edificio annesso al grande palazzo che però ora aveva accesso diretto unicamente al Senato.
    Inutile dire che Aphrodite seppe esattamente dove trovarmi e parlare con lei dopo così tanti giorni di silenzio quasi mi graffiò la gola, ma lo feci con piacere anche perchè dietro la mia maschera di pura apatia si nascondeva un mare in piena tempesta.
    Indossai la mia divisa e mi feci trovare al punto d'attracco in perfetto orario salutando in modo composto sia Ares che Thot. La Corvette CR90 che ci avrebbe portato aveva un equipaggio di circa 50 uomini, tutti Moon Knight, oltre che possedere al suo interno due laboratori ove Athena e Partenope avrebbero potuto già fare le prime analisi o rilevamenti in base a ciò che avremmo trovato. E 3 A-Wing.
    Forse era un movimento di mezzi e uomini esagerato, ma degli ultimi tempi la prudenza pareva non essere mai troppa...
    "Credo che il Senato abbia esagerato... 50 uomini sono sprecati per la missione..." osservai ad alta voce, le braccia conserte al petto e lo sguardo fisso sulla mappa di fronte a me. Eravamo sul ponte di comando, intorno alla grande War Board ove ci stavamo assicurando sulle informazioni che arrivavano dal pianeta. Una mappa indicava tutte le anomalie ogni volta che comparivano e sparivano, oltre una strana struttura che pareva essere apparsa dal nulla.
    “Il Senato desidera che questo appaia come una semplice azione di routine. Infatti la nostra uscita di oggi è stata annoverata come addestramento
    Spiegò Thot serio.
    “Siamo agli albori di una democrazia appena nata sulle ceneri della morte del Dio per che eoni abbiamo venerato, non credo che sia saggio che la galassia sappia di questa minaccia senza che prima sappiamo di cosa si tratti. Il Cancelliere ha osservato il giusto, prima di terrorizzare i popoli lasciando che ogni informazioni scorra senza controllo, va verificata. Su di essa scegliere una linea di azione e poi comunicare il da farsi... soprattutto adesso che...”
    Aphrodite era stata precisa ed attenta, ma non finì la frase ed io ne capì subito il motivo.
    “I Templari ci hanno fregato? Credo che negare l'evidenza sia stupido... questa nave e poche altre sono rimaste al Senato! Sono fiera che Marte ed altri pianeti abbiano messo al servizio della Repubblica mezzi e uomini, ma...”
    "Non sarebbe stato necessario se non fossimo stati traditi nella nostra ora più buia!"
    Conclusi risoluta sostenendo lo sguardo accusatorio di Ares. Aveva ragione e non c'era motivo per cui non si dichiarassero gli eventi solo per paura di ferirmi. Per quello ci aveva già pensato Haytham!
    Per tutto il tempo, in attesa del nostro arrivo su Prospero, tenemmo d'occhio le anomalie. L'attività sembrava star scemando da quando avevamo ricevuto comunicazione, ma a detta di Athena era comunque ancora pericolosa. L'apertura e chiusura improvvisa di questi portali, senza che se ne poteva prevedere il punto sarebbe stato per noi come camminare su un campo minato.
    La navicella sorvolò la strana struttura che era comparsa dal nulla, e che da vicino parve quasi un tempio di sabbia, per poi atterrare poco lontana. Scendemmo solo noi 4 e su indicazione di Athena e Partenope, Thot ci diede le indicazioni.
    “Avanzeremo lenti e calmierati. Cerere bloccherai il tempo ogni 2 minuti, questo dovrebbe impedire alle anomalie di aprirsi e magari dilaniarci. Aphrodite tu userai la luce accecante di questo luogo per incanalarla e creare uno scudo tutto intorno che possa proteggerci. Ares...”
    “Sì lo so creerò degli elementali che ci apriranno il cammino... sperando così che nel caso, nonostante le premure delle altre, si apra un'anomalia, colpisca prima le mie creazioni che noi...”
    “Esatto! Horus tu intanto va in perlustrazione, raggiungi il tempio ed avvisami se scovi qualcosa!" esclamò risoluto prima che l'imponente falco lasciasse la sua spalla e volasse lontano.
    Io intanto mi concentrai, non sarebbe stato semplice fermare come un timer il tempo in un'area così vasta, mi veniva più facile concentrarmi su singole attività. Il tutto poi ripetuto costantemente con solo pochi attimi per riprendere forza. Chiusi gli occhi, sospirai e liberai la mente, ora come ora necessitavo di qualcosa che disperatamente da mesi cercavo: non pensare!
     
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    Roberta
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    Una fioca luce filtrava dalle piccole fessure delle persiane. L'alba era in arrivo e con lei un nuovo giorno era pronto a far capolino nella mia vita, nelle nostre vite.
    Bayek dormiva al mio fianco, o meglio, sotto di me. Era sdraiato sulla pancia e mi dava le spalle. Io avevo appoggiato il mento sulla sua schiena e, con lo sguardo perso nel vuoto, disegnavo con un dito il profilo dei suoi muscoli guizzanti ricoperti da una pelle color del mogano, levigata come lo stesso legno.
    Non avevo chiuso occhio. Assalita da pensieri pressanti che mi laceravano da dentro. Percepivo l'animo angustiato del mio uomo e avrei voluto guarire tutte le sue ferite, chiarire ogni suo dubbio. E invece lo ritrovavo sempre nei sotterranei, davanti alla statua della moglie. Davvero troppe volte lo avevo seguito fin lì. Se ne rimaneva in piedi, senza parlare e concentrato come se fosse in un luogo sacro. Temevo con tutto il cuore che lei, o meglio il suo fantasma, potesse diventare la risposta al suo tormento. Temevo il momento in cui sarebbe arrivato da me con una soluzione che non mi contemplava nella sua vita.
    Lo avevo affrontato con l’enfasi che mi contraddistingueva, e lui mi aveva giurato che ero l'unica nella sua testa e nel suo cuore. Ma il suo sguardo incerto e ancora dubbioso sul suo futuro, mi facevano vacillare. E il terrore mi invadeva ogni volta che lo avevo distante dalle mie mani e dalla mia vista.
    Ero una grande Guerriera, e le mie doti mi avevano aiutato a sconfiggere nemici di ogni sorta: tangibili, eterei e potenti, ma non mi ero mai scontrata con un morto, con lo spettro di un ricordo caro al mio amato, e pungente per me. Aya era come uno stiletto ardente che bruciava le mie certezze.
    Il respiro lento e regolare di Bayek cullava le mie riflessioni e il suo profumo mi inebriava.
    Avrei dovuto smetterla di pensare al domani, a un potenziale futuro funesto, quando non avevo alcuna prova del disastro imminente, ma solo sensazioni di malinconico abbandono. Bayek ora era qui accanto a me. Di cos'altro avevo bisogno? Avremmo percorso il nostro cammino insieme, affrontando gli ostacoli solo quando sarebbero apparsi d'innanzi a noi. Non lo avrei lasciato andare, mai avrei permesso che si allontanasse da me. Avrei lottato con le unghie e con i denti per continuare a meritarmi il suo amore.
    Iniziai a posare baci leggeri sulla sua pelle calda, fino a quando lui non si scosse e si voltò nella mia direzione. I suoi occhi assonnati e le sue labbra piene mi accesero un fuoco ardente nel basso ventre e non aveva nulla a che vedere con il potere che scorreva in me. Era desiderio, passione, mescolati a un amore tanto intenso da fare male.
    “Scusa non volevo svegliarti” dissi a bassa voce. Baciarlo era stato un impulso incontrollato, come una calamita che è attratta dal suo polo opposto.
    “Tranquilla. Non c'è risveglio migliore che sentire le tue labbra su di me” La sua voce era roca e sensuale. Forse non si rendeva pienamente conto del potere atavico che esercitava su di me, o forse sì…
    Mi sollevai e mi misi a cavalcioni su di lui. Mi guardava intensamente, preda del mio stesso desiderio.
    Sfiorai con la mia bocca il suo addome, curandone ogni piccolo dettaglio, per poi proseguire lungo i pettorali possenti e il collo pulsante. Il suo respiro era leggermente accelerato, il mio petto era in fiamme e il mio fiato corto. Potei respirare ossigeno salvifico solo ancorandomi alle sue labbra e beandomi del contatto con la sua lingua umida. Lui, intanto, mi aveva artigliato le cosce con le mani e mi strinse a sé. Poi lo sentii subito pronto per me, e lo ero anch'io per accoglierlo. Erano eravamo fatti l'uno per per l'altro. Un perfetto incastro di carne e di ossa, uniti in un unico ansito di piacere.
    Poco dopo, mi sottomise al suo corpo e aumentò il ritmo che ci avrebbe portati verso l’acme della melodia estatica, che scoppiò inaspettato.
    Crollai ansimante accanto a lui, che mi abbracciò con forza, per non lasciare che neppure l'aria si frapponesse tra noi. Mi baciò i capelli e la fronte con una dolcezza infinita, tipica del mio Bayek, che sapeva essere tenero e appassionato insieme. “Sei il mio Bayek” ripetei ad alta voce. “La mia unica certezza”
    […]
    Alcuni giorni dopo, fui richiamata sulla Luna, dove ci attendeva una navicella equipaggiata di tutta punta per una missione esplorativa. Il cancelliere Endymion era stato chiaro nelle sue istruzioni: ufficialmente avremmo dovuto svolgere un'esercitazione, motivo per cui un intero plotone di Moon Knights, capeggiati da mio fratello erano al nostro seguito, ma in realtà ci saremmo mossi in pieno assetto per un’operazione attiva, con lo scopo di comprendere cause ed effetti di strane anomalie energetiche presenti sul pianeta Prospero.
    Lasciare Bayek era stato come abbandonare sulla Terra il mio stesso cuore, organo fondamentale per vivere, ma allo stesso tempo mi sentivo carica per gettarmi a capo fitto in ciò che sapevo fare meglio: essere una Guerriera. Ero certa che mi avrebbe aiutata a non pensare alle mie insane elucubrazioni e finalmente sarei potuta essere d'aiuto.
    Una volta giunti a destinazione, ci organizzammo per entrare in azione.
    Solo alcune delle guerriere Sailor e baby eravamo state chiamate a partecipare. Athena e Partenope sarebbero rimaste sulla nave con le loro strumentazioni, in attesa dei dati che avremmo inviato loro in tempo reale, una volta ispezionato il luogo; Cerere, Aphrodite, Toth ed io, ci saremmo mossi in direzione del tempio di sabbia che avevamo visto poco prima dell'atterraggio.
    Il generale Toth stava dando tutte le istruzioni del caso ed io mi persi un attimo a osservarlo. Non c'era più sul suo viso l'aria afflitta che avevo scorto insieme a Iuventas nel nostro posto segreto. Come se tutto il dolore dovuto a “qualcosa a noi sconosciuto” fosse volato via, riportando indietro il vecchio Toth, il generale integerrimo e squadrato che avevamo sempre avuto al nostro fianco.
    Non mi ero fatta distrarre dalle mie stupide impressioni e risposi prontamente, anticipando le mosse che mio fratello avrebbe voluto assegnarmi. Eravamo in sintonia, come sempre, e combattere uno al fianco dell'altro, mi faceva sentire bene, anche se…
    Non c'era tempo.
    Ci muovemmo come un'unica formazione, ognuno con il proprio compito e Horus era andata in perlustrazione.
    Sollevai le braccia e tracciando dei segni infuocati nell'aria di fronte a me, generai degli elementali: creature di fiamma ardente, al mio servizio. Un’aquila enorme ci sovrastava e ci proteggeva da eventuali anomalie dall'alto e un cavallo alato ci spianava la strada, accompagnato da altri suoi simili, disposti al nostro fianco, proteggendoci da ogni parte.
    Un boato ruggente ci costrinse a fermarci e a osservare con attenzione. Ognuno di noi era certo che di lì a poco, avremmo assistito al formarsi di un'anomalia energetica.
    Senza alcun preavviso, un cavallo di braci ardenti alla mia destra fu inghiottito da una voragine nera, dai bordi magnetici e ricchi di energia elettrica.
    Un vento possente ci sferzava il viso e io, incurante dei miei capelli diventati quasi fruste sul mio viso, mi adoperai a generare una nuova creature che sostituisse la precedente e garantisse la stessa protezione.
    Così come era arrivato, il vento cessò e il portale sconosciuto si chiuse come risucchiato dal vuoto cosmico.
    Ci guardammo l'un l'altro con occhi attenti.
    “Procediamo spediti, ma con cautela!” dissi determinata. Gli altri annuirono.
    Poco prima di giungere al tempio di sabbia, vidi arrivare Horus, che planando, atterrò sull'avambraccio di Toth. Dopo alcuni istanti di comunicazione telepatica, mio fratello ci informò di ciò che il suo compagno alato aveva scorto.
    “Horus ha visto qualcosa di molto strano. Al di là del tempio, vi è una sorta di muro con una persona intrappolata all'interno.” disse con fare sicuro, nonostante l’assurdità delle sue parole.
    “Dobbiamo andare a controllare” ribatté Cerere, sempre pronta all'azione.
    Eravamo tutti d'accordo.
    Raggiungemmo il tempio e gli girammo intorno per raggiungere il luogo indicato da Horus.
    Avevamo visto, lungo il percorso, l'apertura di altre anomalie, ma per fortuna, parecchio distanti da noi.
    Dovevamo fare in fretta.
    Ciò che ci trovammo a scrutare era qualcosa di nemmeno lontanamente immaginabile.
    Una sorta di muro si stagliava in mezzo al nulla. Non aveva appigli al suolo, né dietro. Era semplicemente sospeso in aria, a circa mezzo metro da terra. Ma se questo di per sé era strano, quanto “conteneva il muro” lo era ancora di più.
    Una figura umana sporgeva per metà dalla pietra levigata, all’altezza del busto. Era incappucciata e il tessuto le copriva il viso. Sembrava anch'essa fatta dello stesso materiale grigio del muro, ma non era così. Era un essere umanoide a tutti gli effetti. Girai intorno alla parete per controllare il retro, ma questo era perfettamente piatto, non vi era traccia di altre parti del corpo della malcapitata. Toccai la roccia ed era solida, levigata. Era tutto così strano.
    Tornata dagli altri, diedi le mie impressioni.
    “Da dietro non spunta il resto del corpo. È come se fosse rimasta incastrata, durante il passaggio attraverso questo, che non è affatto un semplice muro” dissi toccando la parete accanto alla donna senza vita.
    “È evidente che questa non è pietra. Potrebbe essere un frammento di anomalia che si è cristallizzata.” disse Aphrodite con un'intuizione.
    “Abbiamo visto come si aprono e si chiudono questi portali, lo fanno all'improvviso. Potrebbe non aver fatto in tempo a passare. E nel rimanere bloccata, l'energia a contatto con il corpo si è solidificata.” Molto probabilmente, Cerere aveva colpito nel segno, ma avremmo dovuto attendere i risultati di Athena e Partenope. Un pensiero funesto mi attraversò la mente e lo espressi ad alta voce.
    “Quindi, per come abbiamo visto, le creature, i corpi solidi possono essere risucchiati all'interno, ma non solo. Qualcosa dell'altro lato può raggiungere la nostra dimensione. Così come ha tentato di fare questo essere.” Avevo espresso in parole il timore di tutti e altri mille interrogativi si affollarono nella nostra mente.
    “È ancora presto per le conclusioni. Non ne sappiamo abbastanza. Cerere, prendi lo scanner e scansiona tutta la parte e il corpo. Iniziamo ad inviare dati ad Athena. Non possiamo trattenerci a lungo qui. È molto pericoloso.” intervenne mio fratello, con fare pratico.
    Ci collegammo direttamente alla navicella e Partenope ci comparì sullo schermo. La sua espressione rispecchiava la nostra. Era inorridita quanto noi.
    “Stiamo ricevendo correttamente tutti i dati. Scansionate anche la parte posteriore del muro. Pazzesco!”
    Aphrodite aiutò Cerere a completare i rilievi.
    Io mi trattenni a discutere con Toth.
    “Hai ragione. Non abbiamo ancora il responso delle cervellone del gruppo, ma devi ammettere anche tu che siamo di fronte a una minaccia davvero enorme. Se queste anomalie dovessero essere veri e propri portali o passaggi spazio temporali, qualsiasi cosa è potuta passare di qua e potrebbe continuare a farlo. Qualcosa o qualcuno di cui non ne conosciamo le origini e le intenzioni.” dissi infervorata. Avevo sempre odiato il suo fare pratico e marziale. Lo era addirittura più di me e non si sbilanciava mai su terreni accidentati, su cose che non conosceva.
    “Sai bene che non amo fare congetture. Preferisco fare il mio lavoro e raccogliere più elementi possibili per chi ci saprà dare delle risposte.”
    Rimasi di sasso, ma prima di reagire e affrontarlo come mio solito, sopraggiunsero le altre con lo schermo collegato alla navicella.
    “Dovete assolutamente prelevare la parete e portarla qui. Ovviamente insieme al corpo. Così, a distanza, non posso fare le mie analisi. Non tutte almeno.” Athena era perplessa.
    “Quindi le scansioni non sono sufficienti?” chiese Aphrodite in ultima istanza. Trasportare quella massa enorme di roccia non sarebbe stato semplice.
    “Purtroppo no, mi dispiace. È tutto troppo complesso. Devo averlo davanti agli occhi e sotto le mie mani.” rispose sicura.
    “Va bene, allora facciamo in fretta. Magari preleviamo giusto la parte intorno al corpo. Non è necessario trasportarlo tutto. O sbaglio?” chiesi ad Athena, ma lei si era allontanata dallo schermo. Partenope rispose al suo posto.
    “Va benissimo. In questo modo avremo sia il cadavere che un campione della parete. Ma non potete farlo adesso…”
    “Perché no? Non abbiamo molto tempo…” dissi seccata.
    “L'aria intorno a voi è troppo instabile. Senza contare il rischio imprevedibile che altre anomalie si formino durante le operazioni. È troppo pericoloso.” concluse Partenope.
    Quella ragazzina parlava come Athena. Vederle lavorare insieme, in totale simbiosi, era davvero uno spettacolo. Erano fatte della stessa pasta.
    “E va bene… tu sei l’esperta.” le dissi convinta. Sapevo che un commento del genere l'avrebbe fatta arrossire, soprattutto al fianco di Athena, che era giunta in quel momento. Ma se lo meritava davvero.
    “Quindi dovremo attendere che queste anomalie cessino…” intervenne Cerere.
    “Perfetto. Allora è deciso. Si ritorna sulla navicella e una volta lì, approfitteremo per fare il punto della situazione tutti insieme.”
    Non c'era altra soluzione. Per quanto sperassi di agire subito, avrei dovuto tenere a bada la mia impazienza. Dovevo accettare che la cautela, in questo caso, era la via migliore.
     
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    Annarita
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    :Thot:
    Nelle ultime due settimane avevo sperimentato la necessità assoluta di tenermi impegnato. E, a dirla tutta, non c’erano state difficoltà a realizzarla: ritornare alla vita vera dopo un anno in cui il mondo che conoscevo era stato letteralmente sconvolto mi aveva dato il mio bel daffare. Impegni utili a non pensare, a non concentrarmi su quanto ogni cosa fosse davvero mutata, al di là degli ordinamenti politici. Ero io a essere diverso? Certo, ritrovarsi all’improvviso confinato in un angolo della propria mente non poteva passare inosservato, ma non mi ero sentito in prigione… o forse sì? Ecco, non avevo voluto ragionarci molto sopra, un po’ per timore delle risposte che sarebbero saltare fuori, un po’ perché una nuova missione aveva bussato alla mia porta: il Senato aveva indetto una missione su Prospero e nominandomi capo-spedizione aveva dato di fatto il via al primo incarico dei MoonKnights sotto la nuova Repubblica.
    Non era stato facile abituarmi alle inevitabili lungaggini burocratiche che si erano generate; prima di tutto ciò, l’ordine arrivava dagli Imperatori e subito si metteva a punto un piano di azione, senza assemblee, senza opinioni altrui, senza perdite di tempo. Anche questo mi aveva tenuto molto più che occupato dopo il mio ritorno, oltre ai continui allenamenti con Horus, che avevo preteso affinché oleassimo a dovere gli ingranaggi del nostro incedere in battaglia: dovevamo essere di nuovo una cosa sola. Nonostante tutto. Eppure, mi ero trovato ad ammettere che l’altro, anche se non aveva mai avuto un Compagno Alato nella sua vita, aveva creato una certa alchimia con lei. E avevo capito fin da subito a cosa fosse dovuta, in fondo, ero nella sua mente. Come lui poteva percepire me, io percepivo lui. I sentimenti che provava erano sbagliati, fuori luogo, assolutamente deleteri, avevo provato a farglielo capire ribellandomi. E a un certo punto ero stato sul punto di spezzarlo… Tuttavia, quando mi aveva permesso di tornare, di fronte alla prigione cosmica di Horus, solo per poterla salvare, avevo capito che mai avrei potuto fargli smettere di provare ciò che provava. Avrebbe sacrificato se stesso pur di saperla felice e io… io mi ero chiesto cos’ero disposto a fare per quell’amore. Avrei messo a tacere me stesso pur di salvarla? Dopo le menzogne che aveva confessato? La risposta mi aveva indotto a indietreggiare, a rivalutare l’altro, a smetterla di fargli la guerra “in casa”. E a restare in attesa, in attesa di capire cosa sarebbe accaduto a Horus, il suo coma e le sensazioni del mio ospite mi avevano ridotto a una condizione di quiescenza, come se anche il mio essere stesse regredendo, sopraffatto.
    Operare il risveglio di Horus con l’energia lunare non mi sarebbe mai venuto in mente. Era stato geniale, anche se rischioso. Tuttavia, nonostante il mio proverbiale odio per i rischi non calcolati, non mi ero opposto. Al contrario, avevo dato il mio contributo, semplicemente standomene zitto e buono. Anche se, neppure questo era da me. A un certo punto, quando lei aveva riaperto gli occhi, ero stato di nuovo sopraffatto dalle emozioni dell’altro e non riuscivo più a capire se il sollievo provato fosse il mio, il suo, oppure di entrambi. Forse, quello, era stato l’unico momento in cui ci eravamo davvero fusi, per emozioni e intenti… poi, tutta la realtà ci era piombata addosso, per ognuno a suo modo. Ancora adesso, quando incrociavo lo sguardo di Horus sentivo una puntura dritta al cuore a cui non era facile dare un nome: delusione? Tradimento? Liberazione? Sapere mi aveva levato di dosso una zavorra, ma al contempo me ne aveva gettata addosso un’altra, forse più pesante.
    Proprio per questa ragione, avevo deciso di rimandare ogni riflessione, volevo riconnettermi con la mia realtà, ritrovare la mia routine, i miei affetti prima di buttarmi in un ginepraio simile… e con la missione in campo ogni pensiero era stato ulteriormente posticipato.
    Ero fatto così, a compartimenti stagni, ed era sempre stata la mia salvezza.
    […]
    Finalmente le anomalie erano cessate e si poteva tornare in azione.
    L’attesa era stata lunga anche se produttiva, almeno per Athena e Partenope, le quali avevano già iniziato a lavorare sui dati che avevamo raccolto con il tablet-scanner. Erano sbalordite e più andavano avanti, più il loro stupore aumentava. Tuttavia, ricordavo bene com’erano fatte: non avrebbero detto nulla prima di aver concluso quanto meno le analisi preliminari, e io approvavo tale modus operandi. Al contrario di mia sorella Ares, che prediligeva invece un approccio più istintivo del tipo “meglio battere il ferro finché caldo”. Per questa ragione ci eravamo scontrati diverse volte, ricoprendo entrambi un ruolo di potere su cui gravavano le decisioni più importanti. Ognuno di noi rappresentava una particolare sfumatura dell’essere marziani: lei era impulsiva, impetuosa, a tratti irascibile, l’esperienza le aveva insegnato a smussare gli angoli e a prendere solo i lati positivi di questi aspetti; io, invece, ero riflessivo, a volte troppo, ma quando prendevo una decisione era difficile che dovessi cambiarla e quasi mai lo facevo, perché era nata da una ponderazione marziale. Entrambi marziani, eppure così diversi… La fissai un po’ più a lungo del dovuto, perso in questi pensieri, mentre lavoravamo per estrapolare la porzione di muro con il cadavere al suo interno. Dovevamo essere celeri, perché le anomalie sarebbero potute ricominciare da un momento all’altro, perciò imposi alla mia mente di non tergiversare. Una volta sulla navicella, avremmo potuto studiare meglio il soggetto rimasto intrappolato e Athena avrebbe tratto le sue prime conclusioni concrete.
    Ares si voltò a guardarmi, come se fosse stata attratta dal mio sguardo prolungato, mi rivolse un sorriso fiero prima di rimettersi al lavoro con la sua personalissima “fiamma ossidrica” sulla superficie pietrificata. Mi morsi a forza il labbro inferiore: eccome se mi era mancata…
    Il trasporto fu più complicato del previsto, perché dovemmo far affidamento solo sulla nostra forza fisica: Aphrodite e Cerere in testa, Ares ed io in coda per reggere il peso maggiore. A un certo punto rischiammo di far cadere il pezzo di roccia perché sia Ares che Cerere scoppiarono a ridere in seguito a una battuta di Aphrodite: “Per tutti i Numi dell’universo, se avessi saputo che avrei dovuto sfacchinare come un operaio delle grotte di cristallo, non avrei mai accettato l’incarico!”
    “Non è colpa nostra se nessuno dei nostri poteri ci permette di far levitare questo ‘coso’…” ribatté Ares, sempre pronta a stuzzicare la compagna.
    Cerere aveva cercato di non farsi vedere sorridere, era come la ricordavo, sempre compita e precisa, anche se il suo volto portava i segni di un dolore recente, mentre io aspettai paziente che tutte tornassero in riga e alle loro posizioni. Lontano dalla Luna mi restava solo il mio essere marziano…
    Arrivammo alla navicella, esausti ma salvi. Nessuna anomalia si era palesata, perciò incaricai alcuni MoonKinghts di portare il reperto nella stiva. Lì, Athena e Partenope avevano già predisposto una sorta di laboratorio provvisorio. Io seguii i miei soldati fino a destinazione, era pesante persino per loro che venivano scelti tra i migliori di tutta la galassia. Nonostante le mie raccomandazioni, appoggiarono la porzione di muro un po’ troppo rudemente, tanto da far scivolare il cappuccio che copriva il volto del cadavere.
    E lì, per poco, non vomitai. Una serie di brividi di freddo mi scossero dall’interno, ma i tremori furono ben più che visibili. Le gambe si erano fatte molli e rischiavo di crollare.
    Di fronte a me c’era Lady Pandia, ma la mia reazione non era stata tutta mia, anzi per buona parte era stata del mio alter ego. Era stato preso alla sprovvista, questo era certo, ma sapevo bene quali legami c’erano stati con la Pandia della sua dimensione.
    In ogni caso, mi resi conto di non essere l’unico sconvolto in quella stiva: Cerere era pietrificata, Partenope sull’orlo delle lacrime, mentre Athena si metteva subito in comunicazione con il quartier generale delle Guerriere per avere notizie. Il sollievo sul suo volto ci fece rinascere tutti, io fui l’unico a rinascere due volte.
    “Pandia sta benissimo, possiamo stare tranquilli!”
    “Tranquilli si fa per dire, chi diamine è questa persona, allora?” Aphrodite aveva dato voce ai pensieri confusi di tutti noi.
    Ares si avvicinò e cercò di studiarla meglio, per tentare di scovare qualche differenza sostanziale.
    “Sembra lei in tutto e per tutto, l’unica differenza è una cicatrice sul sopracciglio destro.”
    “Potrebbe essere una sua doppelgänger?” propose Cerere.
    “Potrebbe…” rispose un’Athena molto pensierosa.
    Io restai in silenzio per qualche minuto ancora, mille domande vorticavano nella testa e volevo mettere in ordine quelle poche certezze che avevamo prima di formulare ipotesi.
    “Se è vero che le anomalie su questo pianeta sono una specie di portale spazio-temporale, costei potrebbe arrivare da una dimensione uguale alla nostra ma opposta… dove esistiamo noi ma in altra veste…” L’idea che l’altro potesse provenire da lì mi sfiorò, ma non attecchì, lui veniva da un mondo ormai perduto. Qui si trattava di passaggi temporali tra dimensioni esistenti. “Athena scansiona bene le tracce energetiche e vediamo di trovare un qualche indizio sul luogo di origine del cadavere…”
    Passarono ancora diversi minuti, durante i quali tutti noi guardavamo le due scienziate al lavoro, in fremente attesa. Fu Partenope la prima a parlare.
    “Ho trovato! Qui ho delle tracce che riportano a… Plutone?!”
    “Proprio così, la matrice è netta: senza ombra di dubbio qualcosa, o qualcuno, su Plutone ha a che fare con tutto questo…” Mentore e allieva erano sulla stessa linea di pensiero e fu lì che scoppiò il caos, generato ovviamente dalla mia cara sorellina: l’impulsiva Ares.
    “Allora, dobbiamo andare su Plutone! Subito!”
    “Ma non abbiamo nessuna idea di cosa abbiamo di fronte, Ares. Potremmo doverci scontrare con qualcosa di troppo grande…” Aphrodite aveva centrato il problema.
    “Siamo qui da troppe ore, tergiversare potrebbe significare perdere eventuali indizi importanti.”
    “Una volta sulla Luna, potremmo effettuare analisi più accurate e magari potremmo trovare maggiori risposte.” Le Inner si erano tutte pronunciate, mentre Cerere e Partenope aspettavano il mio parere, anche se non palesemente visibile c’era una gerarchia che loro rispettavano di buon grado.
    Gettai uno sguardo a Horus e Deimos, appollaiate su alcune sporgenze della paratia della navicella. Anche loro erano agitate, benché riuscissero a dissimularlo molto meglio rispetto a tutti i presenti in forma umana. Horus mi fissava con apprensione, aveva già capito cos’avevo intenzione di fare. Mi voltai verso la piccola assemblea e diedi i miei ordini.
    “Allora, faremo così: Ares ed io prenderemo due dei tre Wings presenti sulla nave e ci dirigeremo su Plutone, nel mentre tutti gli altri torneranno sulla Luna, comprese Horus e Deimos.” Percepii il sussulto del mio Compagno Alato direttamente nel petto. Questo no, non lo capiva. “Abbassiamo i rischi al minimo, due persone sono più che sufficienti per una missione esplorativa. Osserveremo e riferiremo. Nel frattempo, Athena e Partenope, ci terrete informati ‘live’ sulle scoperte che farete. Tutto chiaro?” spiegai, a beneficio di tutte.
    Ares era esultante, tanto che mi diede una pacca sulla spalla, anche se – ne ero certo – se non fossimo stati in una situazione tanto grave, mi sarebbe saltata al collo. Era sempre così quando apprezzavo in qualche modo le sue intuizioni, forse perché non avveniva così spesso?
    Nessuno ebbe da ridire sulla mia decisione. Ero il capo della spedizione, l’esito della missione era sotto la mia responsabilità, perciò avevo l’obbligo di scegliere di fare ciò che ritenevo opportuno. Anche eventuali riscontri negativi avrebbero pesato sulle mie spalle, ma mi andava bene così, era il mio dovere e lo avrei portato avanti fino alla fine.
    “Forza, ognuno ai propri posti, teniamoci aggiornati.”
    Vidi Ares comunicare con Deimos telepaticamente, avrei potuto farlo anche io con Horus, ma preferii evitare: avevo già spiegato quanto c’era da sapere, perciò mi diressi direttamente verso l’ancoraggio dei Wings, in attesa di Ares e di tuffarmi in questa nuova missione con una strana ombra sul cuore.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 8/3/2021, 20:46
     
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