Present Day #2021: Idra

Season 6

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  1. SydneyD
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    “Sì, siamo sulla Terra, a Berlino, nella Capitale dell’Impero un tempo nazista, adesso Deviante. Siamo tornati nel passato, siamo finiti in un incubo.”
    Quella frase appena mormorata, condita da uno sguardo indecifrabile, ma più che altro atterrito, mi diedero il senso della gravità del guaio in cui ci eravamo cacciati. Non ne comprendevo bene il motivo, ma mi bastava osservare l’atteggiamento di mio fratello per non dubitare delle sue strane parole.
    La scritta sul telone con la svastica era inequivocabile: eravamo finiti nel 1947, a pochissimi anni dell’avvento dell’Impero Deviante. La razza appartenente alla dea Nyx non era ancora forte e strutturata come lo sarebbe diventata in seguito. Raggiungendo vette di malvagità e spietatezza senza eguali fino ai tempi ben conosciuti da noi. Non per questo, però, avremmo dovuto sottovalutarli. Meritavano tutta la nostra attenzione e astuzia.
    Non avevamo la minima idea del motivo per cui Yggdrasil ci avesse trasportato in quel luogo, in quel tempo, ma la cosa ancora più assurda era l’azione dell’albero sacro. Doveva essere morto, dannazione! Eppure, ci aveva risucchiati e trascinati in un’epoca lontana. Avremmo dovuto scoprire il motivo di quel bizzarro viaggio e non avremmo raggiunto lo scopo, restandocene nascosti in quel vicolo.
    “Non so tu, ma restare qui non mi sembra una buona idea. Dobbiamo muoverci e cercare degli indizi su questo posto e, cosa ancora più importante, degli indizi che ci possano rivelare il motivo del nostro arrivo” dissi con fare pratico. Fremevo per togliermi dalla strada e mettermi in movimento. L’immobilità mi innervosiva e mi faceva sentire inutile.
    “Sono d’accordo con te… ma ho mille domande che mi vorticano in testa” mi rispose Toth, con espressione ancora confusa. Era strano vederlo tanto provato, o in dubbio. Lui era sempre pronto a scattare e a prendere decisioni in ogni momento, ma adesso, lo vedevo sull’orlo di un precipizio fatto di incertezze e di interrogativi. “Come diavolo siamo finiti qui? L’albero si è in qualche modo attivato, da lì provenivano le tracce energetiche rilevate su Prospero. Ma Yggdrasil non è altro che una leggenda, come avrebbe potuto essere ancora in grado di fare una cosa del genere? E poi… perché arrivare proprio in quest’epoca, in questo posto specifico…” interruppi il suo sproloquiare alzando una mano e ponendola di fronte al suo viso.
    “Frena, frena, fratello. Le tue domande sono le medesime che mi pongo anche io, a partire dall’attività improvvisa dell’albero e finendo con tutto il resto, ma non risolveremo nulla restando qui a porci interrogativi assurdi. Dobbiamo andare alla ricerca delle risposte. Forza!” affermai con decisione. Lo presi per mano e feci per allontanarmi dal vicolo, ma lui mi fermò.
    “Cosa pensi di fare? Andarcene a spasso per la città e chiedere informazioni ai passanti? Dobbiamo pensare a un piano, non possiamo essere precipitosi!” Eccolo che tornava alla carica il Conte di Marte e il Generale dei Moon Knight in versione stratega. L’espressione confusa aveva abbandonato il suo volto e adesso era più freddo che mai.
    Io lo osservai intensamente, con un cipiglio vistoso e marcarmi la fronte. Era il solito guastafeste e mi accinsi a "spiegargli" la mia strategia.
    “Come prima cosa dobbiamo procurarci dei cappotti, o daremo nell’occhio vestiti così?” ci indicai. Lui era messo decisamente meglio di me. Indossava una casacca di lino chiaro e un paio di pantaloni dello stesso morbido tessuto. Io, invece, portavo un semplice top sportivo, incrociato sulla schiena che mi copriva fino a sotto il seno e un paio di pantaloncini aderenti. In pratica, ero nuda, e sebbene non soffrissimo il freddo come gli esseri umani, avremmo attirato fin troppo l’attenzione così conciati. “Poi, non mi fermerò certo a importunare i passanti, ma faremo qualcosa del genere. Troveremo una taverna, un saloon, un locale di ritrovo insomma, o come diavolo li chiamano. Lì potremo acuire il nostro udito e cercare di cogliere più indizi possibili. Che te ne pare del mio piano?” chiesi soddisfatta e con un sorriso stampato sul volto. Toth mi guardò piuttosto scettico e non si risparmiò nel farmi presente la sua opinione.
    “In linea di massima potrebbe anche andare bene, ma ci sono troppe incognite lungo il percorso. Dove pensi di trovare degli abiti? E la taverna? Non conosciamo la città né le sue strade…”
    Mi spazientii e con uno strattone della mano che tenevo ancorata alla sua, lo trascinai dietro di me.
    “Ah… adesso basta sproloquiare. Dovremo affidarci al nostro intuito e… alla fortuna, fratello. So che non è nelle tue corde e odi lasciare i dettagli al caso, ma a meno che tu non abbia un’alternativa migliore, direi di procedere su questa via…” Mi fermai solo un nano secondo, per dargli la possibilità di proporre un piano "più dettagliato", ma di fronte al suo silenzio, non persi tempo e ci incamminai insieme a lui, come stabilito. Lo sentii sbuffare, ma non si lamentò oltre. Era cosciente che per questa volta avevo ragione. Aveva difficoltà ad ammetterlo a voce alta, ma non si era mai tirato indietro nel farlo con le azioni.
    Procedemmo mantenendoci sulle vie secondarie e decisamente meno frequentate. Fino a ora non avevamo incrociato nessuno e sperai che non accadesse fintanto non avessimo procurato qualcosa da metterci. Ci muovevamo felpati e silenziosi, anche se ero certa, la mente di Toth vorticava frenetica, tanto quanto la mia. Troppi quesiti e nessuna spiegazione.
    Poco tempo dopo, la dea Fortuna ci assistette e ci imbattemmo in un vicolo stretto tra due alti palazzoni grigi, tempestato di finestre piccole e opache. Le due strutture erano unite tra loro da fili rigidi sui quali erano appesi dei vestiti di ogni genere e di ogni taglia. La stessa scena si propagava fino ai piani più alti, senza però risparmiare quello più in basso, che faceva al caso nostro. Io afferrai un impermeabile chiaro, forse un po’ troppo grande per me, ma non esitai. Toth, invece si procurò un cappotto a tre quarti che lo avvolgeva in un elegante doppio petto. Anche io infilai il trench nero e ci avviammo, pronti ad attuare la seconda parte del piano.
    Osservai mio fratello con sguardo eloquente e lui mi anticipò…
    “Non parlare, ok? Se solo ti azzardi a dire ‘te l’avevo detto’, ti tolgo il saluto!” Un sorriso a trentadue denti si profilò sul mio volto, ma non dissi nulla, non volevo infierire. Per questa volta lo avrei accontentato.
    Finalmente avevamo potuto imboccare la via principale senza dare nell’occhio. Parecchi edifici costellavano la strada, e solo dopo circa un chilometro riuscimmo a scorgere un’insegna di legno che penzolava da due catenelle logore. "Ottos Taverne" vi era scritto. Eravamo giunti nel posto giusto. Almeno speravo ardentemente di aver avuto ragione per la seconda volta e di trovare finalmente qualche indizio utile.
    Entrammo nel locale di gran carriera e ci immergemmo in un ambiente fumoso e dall’odore intenso. Storsi il naso e mi imposi di resistere. Il lungo bancone sulla sinistra rispetto all’ingresso era occupato da parecchi sgabelli con altrettanti uomini seduti sopra. Umani dalle pance prominenti e dalle facce poco raccomandabili. Il barista era intento a spillare birra e a servire i propri clienti con un’espressione imbronciata. E ogni parola che usciva dalla sua bocca sdentata era un brontolio o un grugnito.
    Toth mi afferrò per mano e mi avvicinò a sé. Era chiaro che quel posto non gli piaceva e che voleva assicurarsi che non mi separassi da lui, neppure per un secondo. Non che io avessi bisogno di protezione, lo sapeva bene, ma dovevamo mantenere un basso profilo e impelagarci in una rissa da bar era assolutamente da escludere.
    “Vieni, andiamo a sederci a quel tavolo” mi disse con voce tesa e indicandomi un tavolino un po’ appartato, ma non troppo, avevamo bisogno di stare in mezzo a quella gente per poter captare i loro discorsi.
    Mentre camminavamo in quella direzione, la mia attenzione fu calamitata da una coppia di avventori che stonavano con il resto dei clienti. Due persone che indossavano un lungo mantello scuro e un cappuccio calato sul capo. Era fin troppo strano che non se lo fossero tolto al chiuso. Mi incuriosirono. Tirai la mano di Toth per farlo fermare e gli feci cambiare direzione. Ci saremmo seduti a fianco di quei tipi strani. Dovevo seguire il mio intuito e la strana coppia aveva attratto il mio interesse. Toth comprese al volo, con un semplice sguardo che lanciai ai due prima e al tavolo vicino a loro dopo.
    Ci accomodammo proprio alle loro spalle. Mio fratello seduto di schiena rispetto agli incappucciati e io li potevo osservare direttamente, ma sempre ben nascosta dalla mole di Toth.
    In pochi minuti arrivò una cameriera dai capelli biondi e dagli occhi di un blu slavato. Ci chiese con fare gentile cosa volessimo da bere. Mi trovai in difficoltà per un attimo. Cosa servivano in quel luogo? Era il caso di bere la loro brodaglia? Toth mi anticipò con naturalezza, ordinando una birra chiara per me e una scura per lui, indicandone i nomi. Non ero molto ferrata sull’argomento "bevande terrestri", ma mio fratello aveva parlato sicuro di sé, come se bevesse quella roba ogni giorno.
    Lo guardai stranita. Dal nostro arrivo nella nuova dimensione, Toth mi era sembrato agitato, come se conoscesse ciò che lo circondava e lo odiasse con tutto se stesso. Lo aveva addirittura definito "un incubo". Adesso ordinava addirittura delle bibite specifiche. Ma come diavolo faceva a conoscere tutte quelle cose? Ero confusa, ma non potevo distrarmi. Avrei voluto intavolare una conversazione in merito, però, non era il momento. Dovevo concentrarmi sui nostri vicini di tavolo e tentare di origliare la loro conversazione. I due tipi erano troppo strani per essere dei semplici avventori.
    Osservai Toth con sguardo quasi accusatorio.
    “Non appena avremo un po’ di tempo, dovrai spiegarmi un paio di cosette, fratellone e quando sarà, sappi che non mi sfuggirai tanto facilmente.” Un candido sorriso si estese sul mio viso, ma una velata minaccia si nascondeva dietro alla mia finta ilarità.
    Toth si sganciò dai miei occhi e mi esortò a dedicarmi alla "missione".
    “Certo, certo” pensai.
    Posi la mia attenzione sui due incappucciati. Dalla mole e dalle fattezze fisiche, sebbene mascherate dagli ampi mantelli, intuii che si trattava di un uomo e di una donna – una ragazza per essere esatti – parlavano a bassa voce, confabulando tra loro. Abbassai le palpebre e mi concentrai sulle loro voci. Lo stesso fece mio fratello. Potevamo acuire i nostri sensi, che erano ben più sviluppati di quelli degli esseri umani.
    “Dobbiamo trovare il modo di sviare l’attenzione dei Devianti. Non possiamo entrare in azione se ce li abbiamo col fiato sul collo” disse colei che avevo individuato come "la ragazza". Era nervosa e impaziente.
    “Non avere fretta, Élise. Dobbiamo essere cauti e non precipitosi. Potremo utilizzare il Progetto ‘Materia zero’. Per loro è molto importante e si allarmeranno in massa se qualcosa o qualcuno dovesse minacciarlo.” rispose l’uomo con voce pacata.
    “Esatto. Recuperare lo Yumi Bow è la nostra priorità, ma possiamo approfittare per distruggere uno dei laboratori che usano per il loro progetto. Sarebbe un colpo pesante per loro e ci aiuterebbe nel nostro scopo.” La ragazza era decisa ad agire il prima possibile.
    Ero del tutto stordita dalle informazioni che stavamo incamerando, ma allo stesso tempo, ero certa che si trattasse di qualcosa di enorme, vitale. E forse, ci avrebbe aiutato a comprendere il motivo della nostra presenza in quel posto.
    I Devianti stavano tramando qualcosa di oscuro e malvagio, come sempre, e anche se non ci trovavamo nel nostro tempo, come avremmo potuto lasciar correre? Inoltre, stavano anche parlando di un talismano ISU. Era più che evidente che le due figure avevano un piano preciso in mente. Toth mi guardava preoccupato, sapevo che la pensava come me. Gli feci segno di attendere un momento. La coppia continuava a discutere.
    “Così, Oliver Winkler sarà attirato dal trambusto e lo avremo proprio dove serve a noi…”
    “Ho individuato un laboratorio del progetto, non molto lontano da qui. Lì svolgono degli esperimenti…”
    “Mi sembra perfetto come obiettivo. Mettiamo su una strategia, attaccheremo stasera stessa, quando il personale di servizio sarà ridotto al minimo.” sentenziò l’uomo.
    “Questi Devianti si meriterebbero ben altro…” bofonchiò la ragazza.
    “Fare una strage non è il nostro scopo” L’altro l’aveva riportata all’ordine.
    Io mi trovavo molto più d’accordo con l’opinione della sconosciuta. I Devianti erano feccia e sebbene fossero agli albori del loro Impero, distruggendone il più possibile, avrebbero fatto un gran favore all’umanità e all’intera galassia. Sapevamo bene di cosa erano capaci, non meritavano alcuna compassione, né pietà.
    Mentre riflettevo su queste cose, la coppia si alzò e si apprestò ad uscire dal locale.
    Non avevamo tempo da perdere. Per me era chiaro quale sarebbe stato il prossimo passo: dovevamo seguirli. Feci segno a Toth per indicargli le mie intenzioni. Mormorai: “Hai sentito cosa hanno detto? Quei due non me la raccontano giusta. Non mi sembrano neppure di questa epoca, né tanto meno semplici tedeschi. Stanno architettando qualcosa di importante ai danni dei Devianti e di Oliver Winkler” dissi con una punta di esagitazione data dalla fretta.
    “Sicuramente, attaccare in quest’era il capo dei Devianti è molto più saggio che farlo nel futuro. Sono più vulnerabili e sprovveduti. Hanno parlato di un talismano e di un progetto chiamato ‘Materia zero’. Dobbiamo assolutamente saperne di più. Andiamogli dietro senza farci notare. Solo così sapremo qual è il loro scopo… e poi, voglio scoprire cosa stanno architettando i Devianti. Tutto questo deve per forza avere a che fare con noi.”
    Annuii, convinta di ogni singola parola che aveva pronunciato. Non c’era tempo da perdere.
    La coppia aveva pagato il conto ed era appena uscita dal locale. Le nostre consumazioni non erano neppure giunte al tavolo, la ressa era un delirio, e il ritardo del servizio era stato provvidenziale.
    Senza farci notare, e felpati come il passo dei felini, uscimmo nell’aria fredda di Berlino. Il cielo cominciava a tingersi di rosso e arancio. Il crepuscolo era alle porte e avrebbe portato con sé una nuova missione per me e mio fratello. Eravamo certi che seguendo quei due, avremmo trovato molte risposte alle nostre domande.
     
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