Present Day #2021: Mandalore

Season 6

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  1. Tharia
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    Annarita
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    Amavo il silenzio, mi ci ero sempre trovato bene fin dai tempi dell’addestramento. Avevo una naturale propensione a osservarlo, sia con la voce ma soprattutto col corpo. Per questa ragione avevo scelto una casa lontana dal centro di Mandalore, più vicina invece alle pendici di una piccola cascata che si infrangeva in un laghetto d’acqua trasparente. I suoni della natura erano diventati la mia unica compagnia e ne ero diventato profondamente geloso. Con fatica ero riuscito a raggiungere la mia dimensione ed ero sempre stato convinto che l’avrei difesa con unghie, denti e armi se necessario… ma mai avrei immaginato che l’arrivo di una persona esterna avrebbe portato un nuovo equilibrio, addirittura migliore del precedente. La mia casa era diventata nostra. Diversi angoli portavano la chiara impronta di una presenza femminile, senza però invadere quella spartana che negli anni aveva assunto, sotto il mio diretto controllo. La cucina, il salottino, la camera padronale erano diventati suo appannaggio; una piccola stanza – che inizialmente era l’armeria – era diventata la mia camera da letto. Avevamo bisogno di spazi separati per sostenere le regole del credo, che mi impediva di mostrarle il volto, ecco il perché di questa soluzione. Con l’andare del tempo, però, queste divisioni si erano fatte meno nette, soprattutto da quando – complice il buio – mi ero tolto il casco in sua presenza. Durante i periodi senza missioni, la notte avevamo cominciato a condividere la stanza principale. Il letto era meno grande in due, ma dormendo vicini avevo scoperto che lo spazio non era una condizione importante. Un pezzo alla volta, l’armatura era venuta via, troppo scomoda per accogliere tra le braccia il corpo morbido e caldo di Omera. L’unica regola imprescindibile era che ogni cosa sarebbe dovuta avvenire nella più completa oscurità e per garantirmi ciò, lei aveva realizzato delle tende pesanti da affiggere alla finestra. Le tirava la sera e le scostava solo quando io me n’ero già andato.
    Avevamo raggiunto un ottimo compromesso, forse il migliore a cui avrei potuto ambire… Avevo però scoperto che dormire assieme era dolce e doloroso assieme. I miei muscoli reagivano a ogni suo tocco, carezza, respiro. A volte, mi trovavo costretto ad alzarmi perché non volevo innervosirla con il mio muovermi agitato, accaldato, spesso sudavo come se avessi addosso la mia armatura. Altre notti invece, crollavamo esausti per la stanchezza e allora nulla di tutto ciò accadeva, potevo godere della sua vicinanza senza temere di disturbarla.
    Negli ultimi tempi, in attesa di notizie da parte degli Jedi, avevo preso un incarico piuttosto spinoso che mi aveva tenuto lontano da casa per diversi giorni. Fui di ritorno all’alba di una giornata che si preannunciava calda e afosa. I soli dovevano ancora spuntare e il mio desiderio era quello di far trovare a Omera – al suo risveglio – una specie di colazione. Avevo viaggiato su un pianeta famoso per alcune sue prelibatezze, tra spezie e dolcetti fatti a mano grazie a una sapienza antica.
    Attento a non far rumore, avevo preparato il caffè, una tazza della sua tisana preferita, una spremuta di pompelmo a cui vi aggiunsi dei fiori di anice che lei adorava. Poi, scaldai il mio bottino culinario: focaccine dolci e piccanti, paste di leggera sfoglia ripiene di creme assortite di cui non conoscevo neppure il nome, biscotti di frutta secca. Al termine di questo arduo compito, mi resi conto che mancava una cosa essenziale, che lei non dimenticava mai… fiori freschi sul tavolo. Riuscii a racimolare delle margherite rosse selvatiche… non ero del tutto soddisfatto, ma mi sarei dovuto accontentare.
    Meditai di fare prima una doccia per darmi una sistemata, ma tra non molto sarebbe giunta l’ora in cui lei si alzava di solito e desideravo andare a svegliarla di persona. La luce del giorno stava lentamente inondando il salottino, trasformandolo in un gioiello dalle tonalità rosso-dorate, non potevo attendere oltre. A passo lento, mi avviai verso la camera, ma solo quando notai la porta semichiusa e una sfera di luce fuoriuscire dalla fessura un piccolo campanello di allarme mi colse: che fosse uscita? E dove era andata così presto? Al lago di sicuro no, ci ero passato prima di arrivare in casa, l’avrei di certo vista. Non mi restava che entrare e cercarla, con il cuore un po’ in tumulto perché già la speranza di vedere i suoi occhi schiudersi grazie al mio leggero richiamo era sfumata via…
    Appoggiai una mano sulla porta e la scostai un po’, stavo per chiamare il suo nome ma mi bloccai all’improvviso. Omera era dentro, le mani appoggiate sul davanzale della finestra, il viso rivolto verso i soli nascenti. Le palpebre erano abbassate e il suo profilo deciso era ammorbidito da raggi luminosi. Il busto era coperto da un telo da bagno che arrivava a metà coscia, le spalle – e la cicatrice che tanto odiavo – in bella vista, mentre i capelli umidi erano appoggiati su un lato.
    Forse per il caldo aveva deciso di fare un bagno prestissimo e solo ora veniva fuori dalla doccia, bagnata… certo, ovvio che lo era! E per questo non aveva udito il mio affaccendamento in cucina… Dovevo cercare di ragionare. Non potevo star lì a guardarla senza palesarmi ancora per molto tempo, ma qualcosa mi tratteneva dal rivelare la mia presenza. La sua espressione rilassata? Il colore della sua pelle bronzea colpita dall’alba? Le forme del suo corpo che raramente avevo avuto modo di ammirare? Non ne avevo la più pallida idea, sapevo solo che mi ero trasformato in una statua di cera… che si stava sciogliendo dall’interno. Ancora quella sensazione di forte calore allo stomaco e al basso ventre… Omera mi aveva spiegato che era normale, ma io ogni volta mi sentivo come se fossi ammalato, anche se pian piano mi stavo abituando.
    Passione, ecco come l’aveva chiamata lei. Sì, in questo momento mi sentivo molto appassionato… e quando intuii che stava per togliersi l’asciugamano per vestirsi, il primo istinto fu quello di serrare l’uscio di colpo per proteggere la sua intimità; tuttavia, il secondo istinto fu più perentorio: bussai leggero sulla porta. Perché continuare a guardarla come un ladro quando ormai la consideravo la mia Cya’re [amata]? E chissà forse sarebbe diventata qualcosa di più… non solo nella mia mente…?
    “Mando?” Aveva alzato il volto di scatto, era talmente immersa nei pensieri da non avermi neppure percepito.
    “Sì, sono io. Posso entrare?” Una domanda retorica la mia, riuscivo a vederla anche se parzialmente e le sue guance si erano colorate ma non di imbarazzo, era gioia quella che scorgevo? Forse anche un pizzico di confusione. Speravo di non averla urtata col mio arrivo improvviso, decifrare le sue espressioni era una pratica su cui ancora avevo molto da imparare.
    “C-Certo! O-Ovvio! Sei già tornato che piacere, scusa io...” Ecco, solo ora stava realizzando in quali "condizioni" l’avevo sorpresa. “Non ho sentito ero così presa dal bagno prima e dal paesaggio adesso... ehm... spero che non ti infastidisca...” Ora mi spiegavo la sua confusione e agitazione, non voleva turbare il sottoscritto. Peccato che il turbamento fosse già alle stelle, assieme alla passione, ma non poteva sapere ciò che avevo fatto prima, perciò mi limitai ad annuire in silenzio mentre facevo il mio ingresso nella camera.
    “Dovrei essere cieco o stupido per far sì che tu riesca a infastidirmi. Piuttosto, perdona la mia invadenza, avrei dovuto annunciarmi a dovere… solo che pensavo fossi ancora addormentata ed ero venuto a svegliarti… Era troppo presto quando sono arrivato…” D’accordo, la mia frase iniziata con un certo carisma, aveva perso via via qualsiasi attrattiva fino a farmi sembrare un perfetto idiota, ma anche a questo ormai ci ero abituato.
    Omera si portò una mano alla bocca e sorrise. Il suo non fu un sorriso di derisione, al contrario, mi parve così tenera che smisi di respirare. Le cose non migliorarono quando lei si avvicinò, posò le mani ai lati del mio caso ed eseguì un Kov’Nyn a occhi chiusi. Ero sempre in apnea, ogni volta che lo faceva, come se fosse la prima.
    “Non scusarti per la tua invadenza, personalmente credo che dovresti esserlo di più...” Il suo sguardo era malizioso, mentre tornava a fissarmi dritta nella visiera. Mi sentivo nudo, senza protezioni, nemmeno il metallo Nh avrebbe potuto nulla contro quella sensazione di lava che scorre. Io stavo cercando le parole giuste per ribattere quando il suo sguardo cadde oltre le mie spalle, attraversò la porta spalancata e intravide qualcosa. “Son certa di non aver ancor messo nessun fiore fresco in tavola, eppure intravedo delle splendide margherite rosse...” Non potevo averlo immaginato il tono suadente con cui aveva pronunciato il colore dei fiori…
    “Le ho trovate fuori, non sono intenzionali. Insomma, sì, volevo mettere dei fiori in tavola, ma non ho trovato nulla di più adatto…” Ecco ero decisamente nel panico, perciò sbuffai, appannando la visiera come un dilettante. Intanto, avevo preso le mani di Omera e le stringevo nelle mie come se fosse un’àncora a cui aggrapparsi. La vidi fissare quell’intreccio e abbandonarsi a un sorriso.
    “Io le trovo perfette...” concluse con tranquillità. “Dimmi dunque, mi stavi cercando... era solo per dirmi che eri tornato o...”
    Sospirai, non sapevo bene se di sollievo o di apprensione. Come al solito, quando ero al fianco di Omera tutte le mie normali reazioni andavano a farsi benedire. "No, cioè sì, ero venuto ad avvisarti del mio ritorno, ma c'è una cosa che ho preparato... volevo fartela vedere..." La presi per una mano e feci per condurla nel salottino, era l'unico modo per mettere fine a quella scena a dir poco patetica. Poi mi bloccai, la percorsi con lo sguardo e mi diedi dell'imbecille. "Forse, vuoi prima vestirti... immagino..."
    “Perché… tu vuoi che lo faccia?” mi chiese genuinamente e senza aspettare una mia risposta, incatenò le sue dita alle mie e mi seguì. Una volta di fronte al desco preparato con cura, Omera quasi boccheggiò per la meraviglia e gli occhi le si riempirono di piccoli cristalli luminosi. “M-Mando è... è... bellissimo... è... Mai nessuno ha fatto qualcosa del genere per me, sai? Non sai quanto vorrei baciarti ora...” Abbassò lo sguardo, forse pentita di ciò che aveva confessato di slancio. Continuavo a faticare a respirare, ma fu la sua genuina emozione a mandarmi in frantumi... anche se in senso positivo. Il respiro si fece affannato e ascoltando le sue parole, il suo desiderio, la strinsi al mio petto in un abbraccio che voleva trasmetterle un unico messaggio: anche io avrei voluto baciarla in questo preciso istante. Perché, perché doveva essere tutto così complicato? Non me lo ero mai chiesto prima e ora ne capivo il motivo. Nessuno si era mai donato a me in tal modo, né io lo aveva fatto mai con altri.
    "Perché non assaggi qualcosa? Poi potremo riposare un po' assieme nella nostra camera, che ne pensi?" Ero stremato dalla stanchezza era vero, ma il bisogno di sentirla vicina stava diventando troppo impellente. Non avrei chiuso occhio neppure costretto.-
    “Credo sia un'idea perfetta...” sussurro lei di rimando con le labbra a pochi centimetri dal mio casco, ancora stretta a me. Poco dopo, come una bimba di fronte alla tavola delle feste, pareva indecisa: allungava una mano, ma poi virava su un'altra portata. Alla fine scelse un dolcetto colorato e saggiandolo chiuse gli occhi per assaporarlo al meglio. “Mmm che prelibatezza! Mi spiace che tu non possa goderne, promettimi che metterai via qualcosa e più tardi li assaggerai anche tu...”
    Per me fu come ritornare alla vita a ogni suo singolo morso. La sua espressione estasiata era la ricompensa che anelavo e mi ripagava delle infinite gaffe compiute lungo il percorso. Ero seduto composto, come al mio solito, ma solo a un certo punto mi ero reso conto di essermi sporto verso di lei, come una calamita fa con il magnete di carica opposta.
    "Questo è tutto per te, io li ho mangiati sul posto... Su, non ti fare problemi..." Non era del tutto vero, durante le missioni raramente mi concedevo dei pasti seri ma non avrei sottratto neppure una briciola a quella goduria di assaggi.
    “È raro godere di tali bontà è stato molto gentile da parte tua pensare a me, non è scontato, sai?” mi domandò un po’ retorica, prima di mordersi il labbro inferiore. “E credo che del sano riposo ci farebbe bene... magari potrei farti un massaggio, alle spalle per allentare le tensioni...” Si rendeva conto di star osando su un terreno un po’ traballante, ma con la sua delicatezza non risultava mai fuori luogo.
    "Per me è scontato pensare a te... ogni momento. Appena ho visto le focaccine mi sono ricordato di quella volta che hai provato a riprodurle tu... ma qui le materie prime non sono così buone... e allora, niente, ho portato un po'di cose che di sicuro ti saranno utili" spiegai sincero. Poi la guardai un po' meglio e mi resi conto che sotto gli occhi c'erano degli aloni più scuri. Non aveva dormito bene? Anche lei aveva decisamente bisogno di riposo. "Perché sei così stanca? Non hai riposato in questi giorni?"
    “Non te lo posso nascondere...” Fece una pausa, ma riprese subito dopo a parlare. “Armorer mi ha affidato dei primi incarichi in solitaria, nulla da allontanarmi molto, ma abbastanza per farmi iniziare a camminare da sola... Mi spiace solo che tu te ne sia accorto, uso qualche rimedio naturale, ma... ahimè non riescono a cancellare del tutto questi brutti segni sul mio viso...”
    La prima sensazione che percepii fu di estremo orgoglio, se Armorer aveva deciso di affidarle i primi incarichi, era chiaro che la considerava all'altezza. Subito dopo arrivò la preoccupazione, per la sua incolumità. Ancora dopo, provai rammarico nel constatare che il suo pensiero fosse come appariva ai miei occhi... "Sono fiero dei tuoi primi incarichi, davvero..." dissi deciso, ma continuai senza esitazioni. "Sei bellissima sempre, temo solo per la tua salute... devi approfittare di ogni momento per recuperare le forze anche se a volte le condizioni non sono delle migliori..." Il minimo che potevo fare era darle qualche trucchetto. Solo che ora premeva più a me che terminasse di mangiare a sazietà e si mettesse a letto.
    “Non lo fare, temere per la mia salute intendo... Devo solo riposare, dunque bando le ciance e... ”
    Alzandosi, Omera ripose quel poco che di squisito era avanzato, poggiò le stoviglie nel lavandino e prendendomi per mano mi condusse in camera, poi sparì dietro il paravento per cambiarsi.
    “Sarò lieta di accettare suggerimenti su come riposare al meglio in missione, è chiaro che ho ancora tanto da imparare” la udì dire al di là del riparo.
    Mentre mi toglievo l'armatura, pensavo a quello che mi aveva detto, sul fatto che non dovevo preoccuparmi per la sua salute. In realtà, mi sembrava una cosa molto normale... ma forse non era così. Se fosse diventata la mia Riduur sarebbe stato invece regola imprescindibile, la cura del suo benessere sarebbe stato un mio dovere.
    La luce inondava la stanza, perciò prima di togliere il casco mi sedetti sul bordo del letto e attesi che lei tirasse le tende. Solo allora levai anche il copricapo e mi parve di ritornare a respirare. Il suo profumo arrivò aromatico, portava con sé le spezie delle delizie appena mangiate e quando appoggiò le sue mani sulle mie spalle, iniziando a massaggiarle, sussultai. "Il trucco è trovare un luogo sicuro, dove sai che non potrai essere preso alla sprovvista, dopodiché usi il casco... o beh, quando lo avrai... come cuscino e protezione, chiudi il mondo fuori spegnendo la visiera ed entri nel mondo onirico. Pochi minuti, con questa tecnica, valgono ore di sonno profondo." Quando mi trovavo al suo fianco senza armatura né casco mi sentivo come se fossi nudo e in un certo senso era così...
    “Ti ringrazio, sono in perenne accrescimento e conoscimento, ci tengo a diventare una brava Mandaloriana, sai ogni giorno che passa la sento la mia natura, una che per tanto ho cercato!” mi confidò in un sussurro, mentre le sue mani si muovevano decise per sciogliere i muscoli tesi. “Vedere la gioia dei bambini ogni volta che porto loro delle ricompense mi rigenera...” Notai una nota materna e malinconica nella sua voce.
    Abbassandosi leggermente, i capelli solleticarono senza volerlo il mio collo, mentre le sue mani scendevano lungo le mie braccia e il suo sussurro caldo arrivava al mio orecchio. “Vieni... riposiamo un po'...”
    “Hai desiderio di diventare madre, un giorno?” La mia domanda arrivò spontanea, senza che me ne rendessi conto, mentre mi sdraiavo sul letto e aprivo un braccio per far sì che lei potesse accoccolarsi sul mio petto, come di consueto. Omera arrivò puntuale, il suo viso adagiato sul pettorale rivestito solo da un leggero tessuto di lino; la sua gamba alzata fino a intrecciarsi alla mia; il suo ginocchio all’altezza del mio ventre di già rimestato per le emozioni che faticavo – come sempre – a controllare e decifrare. Omera si abbandonò a un sospiro profondo e mi allarmai non poco. Forse, avevo toccato un tasto troppo dolente? Infatti, la sentii irrigidirsi contro di me, anche se per pochi attimi, poi tornò a rilassarsi.
    “Sì...” rispose infine, la percepii alzare il viso e sapevo mi stesse guardando anche se l’oscurità era totale. Con un dito disegnò il mio profilo. “Non ho mai visto la maternità come una debolezza. C'è questa idea errata nella società che una donna che desidera essere madre sia una donna che rinuncia a se stessa e al suo percorso di vita. Una madre è una casalinga, una donna che si occupa solo del focolare domestico... secondo me no. Una madre è una Guerriera che ha un motivo in più per combattere, che ha una dose maggiore di coraggio e di determinazione per rendere la realtà in cui vive migliore, più equa, per chi dopo di lei verrà...”
    Non c’era una risposta sensata a quelle parole accorate. “Secondo me, saresti un’ottima madre e… anche una magnifica moglie… Non esiste la perfezione, ma se esistesse tu ci saresti molto vicina… Confida in questo e non potrai che avere successo, in tutto ciò che farai… I tuoi primi incarichi lo dimostrano.” Avevo parlato con voce calma, mentre la sua mano accarezzava la mia mascella e tremava un po’. Io ero stranamente saldo…
    Le sue labbra si avvicinarono alla mia guancia, la sfiorarono appena e anche se non pronunciò alcuna sillaba, percepii la serenità e felicità. Poi tornò a rannicchiarsi contro di me.
    “Riposiamo ora, qualcosa mi dice che sarà un'intensa giornata...”
    Diedi uno sguardo veloce al cicalino appoggiato sul comodino, anche io avevo la netta sensazione che avrebbe trillato a breve, perciò approfittai per godermi quei momenti assieme, che assomigliavano sempre di più a un vero miracolo.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 11/5/2021, 13:03
     
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