Present Day #2021: Mandalore

Season 6

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  1. Illiana
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    Asportai dalla mia divisa tutte le mostrine e i segni di riconoscimento dell'appartenenza e del rango all'interno dell'Ordine. Le depositai meticolosamente dentro uno scomparto estraibile a fianco del cockpit del mio caccia stellare. Avevo trovato un riparo ottimale per il mio A-Wing, al sicuro da possibili sottrazioni o danneggiamenti. Ero sempre oltremodo prudente quando mi muovevo fuori dall'area di controllo delle nostre truppe, e il pianeta Mandalore era appunto una delle zone non soggette alla nostra influenza.
    Uscendo dall'abitacolo venni accolto dalla luce densa del pianeta. Per i miei occhi abituatisi da poco nuovamente alla luminosità del sole sulla Terra, dopo secoli passati nella relativa penombra dell'ambiente lunare, ogni cambiamento minimo nelle condizioni di vita era ancora motivo di un frenetico adattamento per i miei sensi. Questo pianeta, almeno per la zona che finora avevo potuto osservare dal velivolo atterrando, appariva come un ambiente prevalentemente desertico. Le strade erano polverose e la vegetazione scarsa e legnosa, abituata a crescere senza molta umidità.
    Estrassi da una tasca della tuta, ormai un'anonima tuta blu da volo, un paio di occhiali con lenti a goccia per proteggermi dai raggi ultravioletti. Percorsi a piedi in pochi minuti il tratto di strada per raggiungere il piccolo agglomerato di case che costituiva la base dei Cacciatori di Taglie. Eseguii velocemente la prima parte del mio compito individuando la bacheca a cui dovevo affiggere l'annuncio con la richiesta di un contratto. Osservai per qualche secondo il tabellone: sulla parte superiore, quella con le ricompense più lucrose, non c'erano che poche missioni a disposizione, mentre più in basso fioccavano missioni di un livello più modesto: richieste, recuperi, trasporti. Sistemai la mia in alto: una cassa di metallo prezioso si poteva ben dire che fosse una ricompensa allettante, pari al valore che la persona da trovare aveva per noi. Mi auguravo solo che il pagamento considerevole e speciale avrebbe attirato candidati all'altezza del compito, e non individui maldestri che potevano danneggiare la “mercanzia”. Voltai la schiena alla parete e cercai con gli occhi una taverna o un luogo simile dove avrei aspettato il mio contatto. Contavo di non dover attendere troppo.
    Qualche giorno prima ero stato convocato in maniera riservata direttamente dalla persona al vertice del nostro Ordine, monsieur Mahkent. Avevo risposto con sollecitudine a quella chiamata, ovviamente non c'era altro modo con cui farlo. Quando l'uomo più potente dell'Ordine, il deus ex machina del grandioso disegno templare, la mente dietro l'ordine Sessantasei richiedeva il tuo lavoro, l'impiego delle tue capacità, potevi solo ringraziare per il grande onore che ti veniva concesso.
    La riunione fu rapida e concisa. Mahkent fu come sempre di poche parole: le rare volte che si mostrava in pubblico nel suo ruolo di comando, ovvero alle riunioni di aggiornamento dove tutti i capi sezione erano presenti, interveniva molto di rado, limitandosi ad ascoltare con profonda attenzione i nostri interventi. Quando il suo sguardo gelido e calcolatore si posava su una persona, per quella era come se la pressione atmosferica aumentasse e premesse sulla testa e sulle spalle. Era una sensazione fisica, simile al peso invisibile che schiacciava il corpo al sedile durante una manovra in volo ad alto G di accelerazione gravitale.
    Sfiorai con finta noncuranza la giubba in prossimità della tasca dove portavo il trasmettitore che avrei dovuto consegnare al mercenario; Mahkent me lo aveva consegnato dicendo solo che era programmato per localizzare la traccia energetica di una determinata persona, e che avrei dovuto usare i famosi Cacciatori di Taglie di Mandalore per farla catturare il prima possibile oltre che viva.
    Non sapevo nulla di più. Non avevo chiesto. Non si chiedevano spiegazioni, quando chi avrebbe dovuto fornirle era l'individuo tra i più misteriosi e temibili che esistevano. Sul suo passato gravitava una coltre spessa e impenetrabile, che non accennava a diradarsi neanche dopo discrete ricerche che avevo compiuto usando le risorse migliori a mia disposizione.
    Non mi pentivo di aver riposto fiducia nella promessa di un futuro che sembrava impossibile da realizzare, e non ero caduto neanche un attimo nella debolezza del dubbio in quei secoli interminabili nei quali mi ero adeguato a servire un padrone che non avevo mai apprezzato seriamente.
    Il tutto, solo nella vaga speranza che quanto preannunciato da Kenway e dal prodigio di un oggetto arcano si avverasse. La mia fede era solida, non ero il tipo di persona che si faceva corrompere da tentennamenti senza senso e motivo. Inoltre, anche se li avessi ascoltati, non esisteva nessuno con cui condividerli: con gli altri prescelti non avevo mai desiderato condividere i miei pensieri al proposito.
    La Chiave dei Titani che mi aveva scelto mi concesse realmente una longevità in cui non avrei mai sperato, e non solo: insieme a quella, il mio corpo era diventato più forte e resistente a malattie o ferite, veleni o droghe. Era un'attitudine unica, legata all'entità che aveva creato e destinato le chiavi ad ognuno di noi. I miei compagni avevano ricevuto altre capacità, e non potevo dire di conoscerle nemmeno tutte. Solo osservandoli ero riuscito ad intuire il potenziale di alcuni di loro, ma si trattava di informazioni che, per motivi di cautela e di sospetto, tenevamo strettamente riservate. Eravamo stati accolti da questa razza aliena che sembrava benevola, ma non eravamo come loro. Non conoscevamo il loro modo di pensare, e per quanto ci avessero concesso piena fiducia, non era opportuno abbassare la guardia, mentre attendevamo l'arrivo del nostro momento.
    Svolgevo il lavoro a capo della sezione aerospaziale dell'esercito imperiale con precisione e massima attenzione, come d'abitudine. La facoltà di volare e i viaggi spaziali, che sulla Terra del diciottesimo secolo parevano un concetto impensabile, erano invece una parte integrante ed estremamente sviluppata della tecnologia aliena. Ricevetti dai loro istruttori un addestramento eccellente, non posso negare che per mesi rimasi stupito e ammirato delle loro conoscenze. Ma ogni nozione che imparavo e capacità che acquisivo, avevano un unico scopo nella mia visione delle cose: sarebbero stati un vantaggio in più che avrei apportato quando fosse arrivato il momento di conquistare l'autonomia nei confronti dei nostri padroni e tornare nel mondo che avevamo abbandonato, forti di tutte le strutture, gli uomini e gli armamenti che, di fatto, noi Templari stavamo già controllando.
    Il giorno in cui l'Ordine Sessantasei venne diramato, avemmo poco tempo per organizzarci e muoverci secondo gli ordini ricevuti. Da parte mia, avrei dovuto allertare gli uomini e approntare i mezzi militari sotto la mia responsabilità per effettuare il trasferimento della nostra organizzazione. Lo scopo era prima di tutto di sottrarre agli Eterni e agli Imperatori la possibilità di reagire. Era forse la fase più delicata, perché la situazione avrebbe potuto degenerare velocemente in uno scontro, con il problema di non poter determinare le conseguenze in termini di perdite.
    Mi dedicai con rapidità ai miei incarichi, come tutti gli altri avrebbero fatto a loro volta. Eravamo uomini e donne determinati e pronti per realizzare un progetto eccezionale, di portata straordinaria.
    Dopo aver organizzato tutti i velivoli per la partenza, tornai alla mia dimora. Trovai la mia consorte nel giardino in cui amava passare gran parte del suo tempo, intenta a curare un cespuglio di fiori molto simili alle rose terrestri, di un colore iridescente. Mia figlia Naija, di una bellezza delicata molto simile a quella della madre, pura rappresentante del lignaggio lunare, la stava aiutando ad innaffiare con una giara d'argento dall'impugnatura cesellata. Il vaso somigliava molto ai lavori sopraffini che creavo per gli occhi e il gusto della corte reale francese, dei pezzi unici e impagabili che qui invece erano oggetti di uso comune.
    Comunicai loro brevemente che avrebbero dovuto preparare in poco tempo le loro cose, che avremmo lasciato la casa e la vita attuale per abbracciare un progetto grandioso, mirabolante, visionario. Neanche con mia moglie avevo mai fatto parola della speranza che avevo riposto nel luminoso futuro promesso. Non lo ritenevo opportuno: era mia moglie, e davo per assodato che mi avrebbe seguito senza discutere.
    Ma avevo sottovalutato la mia orgogliosa Althea.
    “Trasferirmi sul pianeta dominato dai Devianti? Thomas, non puoi essere serio!” Non aveva mai amato il mio primo nome, preferendo il secondo, a suo dire molto più musicale. E io le avevo concesso questo piccolo capriccio, per amor suo.
    “Non ti preoccupare di questo, li scalzeremo in poco tempo. E quel mondo diventerà il nostro, di noi Templari.”
    “Ma non il mio! E non quello di mia figlia!!” Lei si animò in maniera repentina, come se avesse deciso di ribellarsi a qualcosa che non reputava più accettabile. Era una reazione che, sinceramente, non mi aspettavo, e che mi disturbava. Avevamo pochi minuti, poi i mezzi sarebbero decollati anche senza che i passeggeri fossero tutti a bordo.
    "Intendi rimanere qui? E privarmi della mia famiglia?” Strinsi le labbra profondamente contrariato. “Io vi amo e non voglio dover scegliere tra il mio dovere e il mio cuore...”
    “Ma lo farai, purtroppo. Hai preso la tua decisione senza pensare a noi. Alla moglie alla quale hai giurato devozione eterna e a tua figlia, che non perdi occasione per dire che è la perla più rara che possiedi.” Sorrise amaramente, poi aggiunse: “Lo vedo e lo so, che partirai comunque.”
    “Devo farlo. Ho dato la mia parola, prima ancora che mettessi piede qui sulla Luna. Prima che ci incontrassimo, prima di ogni altro giuramento, per quanto questo fosse importante ai miei occhi.”
    Mia moglie mi guardò, superando le mie motivazioni con un cenno della mano. “Quindi non c'è nulla che potrei dire o fare per farti desistere. E, per la verità, non lo desidero neppure...”
    Le sue parole riuscirono a farmi provare un dolore fisico che da tanto, tantissimo tempo non saggiavo. Furono uguali alla lama che mi trapassò il petto, uccidendomi. Mi aveva massacrato con leggerezza, quasi non ne avesse l'intenzione. Al contrario, sapevo che ponderava i suoi movimenti con grazia e accortezza. Ma qui terminava quello che conoscevo di lei. Era come se vedessi quella donna per la prima volta, in tutta la sua bellezza eterea e crudele.
    “Credevo mi amassi...” Accusai, scandendo le parole lentamente.
    “Una volta, ma è tanto che non è più così. Da quando ho riconosciuto la vera natura del tuo amore.”
    Gettai uno sguardo a Naija, immobile dietro la madre. Da lì a poco sarebbe stata una donna e non più una ragazza. Mi accorgevo solo ora come si fosse eretto, poco alla volta, un muro invisibile tra me e loro. Anche lei sarebbe rimasta qui, mi avrebbe abbandonato.
    “Non capisco cosa intendi. La mia famiglia siete voi, vi ho sempre protetto e dato il meglio che potevo.”
    “Esatto. Siamo qualcosa che tu valuti, che pesi in ricchezza e vantaggi. Ci ami come ami gli oggetti che possiedi. Allo stesso modo. Siamo dei trofei che sfoggi durante i ricevimenti e le occasioni ufficiali.”
    “Menti!” Sibilai, sentendo aumentare la furia. Come osava parlarmi a questo modo? Aveva lasciato da parte i modi dimessi con cui si era fatta amare per sfoderare un rancore scioccante. Accusarmi con ingratitudine e arroganza, senza considerare le attenzioni affettuose con cui la avevo trattata in ogni momento?
    “Thomas, no, non mento. E te ne renderai conto quando lascerai, da solo, questa casa, per seguire le tue ambizioni spropositate. Ci abbandonerai allo stesso modo in cui abbandonasti la tua precedente famiglia, perché non esiste un posto per noi, nella tua vita.”
    Non risposi perché rimasi senza parole. Irrigidii i muscoli del collo e delle spalle per non afflosciarmi davanti alle sue offese, troppo veritiere per non essere micidiali.
    “Temo che ti pentirai velocemente dell'arroganza che stai mostrando...” Rilanciai con rancore.
    “Non mi pentirò mai di non averti seguito nel compimento del vostro atto indegno di tradimento nei confronti dell'Impero!” Il silenzio scese pesante nel giardino. Non avevo più nulla da dire, la rabbia e la disperazione mi serravano la gola, ma al contempo mi impedivano di compiere un atto sconsiderato.
    “Addio, padre!” Il breve intervento di mia figlia fu come l'ultima mandata a chiave data ad una porta che sarebbe rimasta sprangata per l'eternità. Lasciai pochi minuti dopo l'abitazione che avevo considerato casa per un discreto numero di secoli, senza mai sentirla mia, sempre proiettato come ero nel futuro che si andava concretizzando.
    E ora, dopo mesi passati da quell'ultimo incontro, mi accorgevo quanto ancora mi feriva il senso di vuoto che aveva lasciato.
    Spostai con il dorso della mano ancora guantata la ciotola di zuppa che avevo ordinato nella locanda, in attesa del cacciatore di taglie. Avevo sperato che assomigliasse a quella che avevo assaporato, dopo molto tempo di esilio, nella mia amata città, ma non mi sarei potuto sbagliare di più. Era immangiabile, per i miei gusti.
    Alzai lo sguardo di scatto, avvertito dalla percezione di una cambiamento nell'ambiente che era pacifico e silenzioso. Irrigidii la mandibola trovandomi un uomo in piedi davanti al tavolo, a poca distanza da me, come se fosse sorto dal terreno stesso. Era molto raro che venissi sorpreso così nettamente, e la circostanza che fossi smarrito nei miei pensieri non era sufficiente per giustificare la facilità con cui quell'uomo di media corporatura, ma coperto da un armatura di tutto rispetto, si fosse potuto muovere sottotraccia.
    Feci un cenno verso una delle sedie vuote, indicando al nuovo arrivato di accomodarsi per prendere accordi, ma lui ignorò il mio invito. Con un gesto fluido estrasse la richiesta di contratto che avevo affisso alla bacheca da sotto il pettorale e lo posò sul tavolo, avvicinandola con due dita della mano.
    “Siete voi il committente di questa missione.” Non era una domanda.
    Staccai la schiena dallo schienale per recuperare a mia volta il trasmettitore, il piccolo oggetto di metallo con una piccola antenna estraibile e un led che si sarebbe illuminato all'avvicinarsi del bersaglio. “Le informazioni che deve sapere sono riportate sulla domanda, non è necessario altro. E' di estrema importanza che il soggetto mi venga consegnato vivo.”
    “Diciotto anni, essere umano, localizzato per l'ultima volta sul pianeta Terra.” Ero certo che avesse ammiccato, anche se il casco gli copriva interamente il volto, inclinando da un lato la testa. “Non ho bisogno di altro.”
    “E per la ricompensa...” Iniziai a dire, ma il Mandaloriano mi interruppe. “La cassa di metallo nh la consegnerete al momento dello scambio, quando vi affiderò la persona che state cercando.”
    Annuii impressionato e vagamente stordito. Se oltre all'estrema efficienza e prontezza era incisivo allo stesso modo nel rintracciare il soggetto su cui Mahkent voleva mettere le mani, presto il piano che notre patron stava creando avrebbe ottenuto un nuovo tassello.
    “Mi metterò io in contatto quando avrò recuperato con successo il soggetto.” Il trasmettitore era già al sicuro in una custodia celata del suo vestiario. “Questa è la via.” Fece un diverso cenno del capo, questa volta. Incredibile come riuscisse a comunicare anche in quel modo.
    Il mantello ondeggiò in maniera impercettibile quando uscì dal locale. Mi alzai dalla sedia e mi avviai verso l'uscita a mia volta. La strada era deserta, ma intravvidi due figure svoltare in un vicolo molto più avanti lungo la strada principale dell'abitato. La prima parte della mia missione era conclusa.
     
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