Cittadella Inquisitoria

Prakith

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    L'Inquisitorio era stato fondato ben ventotto anni prima da Darth Vader. Sua convinzione fosse che era utile che esistesse un'agenzia di praticanti del Lato Oscuro incarico di dare la caccia agli Jedi.
    Divenire un Inquisitore non era infatti facile, chi aveva le potenzialità per esserlo veniva selezionato nei Servizi Segreti dell'Impero e successivamente attraversare un duro periodo di addestramento, durante il quale addirittura alcuni morivano.
    Degli originali nessuno era sopravvissuto tranne Barriss Offee, ella aveva conosciuto Pau'an, all'epoca Sentinella Jedi, durante la detenzione successiva ai suoi crimini denunciato da Ahsoka Tano. Il Jedi, che con l'ascesa dell'Impero aveva deciso di unirsi ad esso divenendo il Grande Inquisitore, offrì la possibilità alla donna già inclina al Lato Oscuro la libertà se avesse accettato di diventare un'Inquisitrice e così fu...
    Lentamente tutti gli Inquisitori morirono e perfino Barriss venne data per morta su Malachor ove si trovava in missione con il Quinto Fratello per recuperare un Holocron Sith. In effetti Darth Maul l’aveva effettivamente uccisa, ciò che la salvò fu il soccorso inaspettato di un uomo: il purosangue Sith Mahkent.
    Lui prese con sé e la e lui le salvò la vita. Riconoscente non poté fare a meno di mettersi al suo servizio conoscendo ben presto la sua assassina personale Hevni Rys, la sua giovane sorella Ophelia Sarkissian ed infine l'apprendista di quest'ultima: la sottoscritta, una quindicenne che fin da neonata era cresciuta tra duri addestramenti ed insegnamenti.
    All'epoca la figlia di Mahkent aveva solo 9 anni, ma già mostrava le doti del padre. Lui che la stava crescendo come sua erede, colei che avrebbe portato avanti il suo progetto... quello di un Ordine per tutta la Galassia.
    La Democrazia aveva fallito, morendo sotto scroscianti applausi, lasciando all'egoismo di un singolo di prevalere sul benessere di un'intera popolazione galattica. Dimostrazione che l'unico modo per ottenere vera pace fosse quello attraverso l'imposizione di un pensiero unico non ottenuto con la paura, ma con la circuizione. Come una goccia che con pazienza erodeva la pietra, così il Triumvirato Sith agiva creando le circostanze per cui lentamente ogni singola persona si sarebbe rivolta al loro pensiero come unica soluzione di serenità ed equilibrio.
    Da allora erano passati dodici anni nei quali noi donne, tutte sensibili alla Forza, avevano affinato le nostre capacità ed avevamo dato vita ad un nuovo Inquisitorio. Agivamo al servizio non più di una semplice caccia alle streghe o forse era meglio dire al jedi, ma bensì al servizio di un bene più altro. Indubbiamente trovare ed uccidere gli stessi rimanere una priorità, in quanto essi erano solo uno ostacolo sulla strada per la realizzazione del grande piano finale.
    La Cittadella Inquisitoria sorgeva sul pianeta montuoso Prakith. Non era solo il Quartiere Generale ove tutte noi Sorelle ricevevamo incarichi o conferivamo tra noi, ma era anche semplicemente la nostra casa. La cittadella era arroccata su uno sperone di roccia ed appariva molto più come una grande cattedrale con massicce colonne di ossidiana e soffitti alti e a volta. Ovviamente nella parte bassa vi si trovavano le celle di detenzione e le camere di tortura utilizzate per interrogare i prigionieri più resilienti e pericolosi.
    Aura in quanto figlia di Lord Mahkent non viveva a palazzo, ma per volere del padre ci passava molto tempo perché trovava giusto che lei passasse del tempo tra le sue sorelle. Anche Ophelia, essendo sua zia, aveva come essa un lignaggio nobile che le conferiva la possibilità di non vivere lì, ma comunque anch’essa starci molto tempo. Nonostante questo la Grande Inquisitrice, tra tutte loro, erano Hevni, e non solo perché era la più grande di tutti loro come età, ma anche quella con più conoscenze ed esperienza.
    Tornare alla base con la notizia della Malevolence distrutta fu un colpo molto basso per lei e Barriss, ma evitarono terribili conseguenze solo per aver riportato le informazioni richieste indietro, non erano complete, ma Sir Lockwood che agiva come messere del Triumvirato, si era mostrato clemente sottolineando di quanto Lord Mahkent avesse mostrato tutta la sua infinita clemenza nei loro confronti.
    «Leccapiedi!» bisbigliai verso Barriss infastidita una volta che quello se ne fu andato.
    «E’ solo un’arrivista, crede che siccome Lord Mahkent lo ha incaricato di essere il suo messaggero personale, gli altri due Lord poco lo sopportano, è chissà chi. Ci parla in quel modo e si atteggia così con noi solo perché sa che non possiamo ucciderlo… per ora!»
    E con quell’ultima esclamazione si allontanò facendomi l’occhiolino, mentre io ridacchiando scossi il capo. Con il casco sottobraccio mi diressi verso i miei alloggi. Una camera degna di una principessa con tanto di letto a baldacchino, armadio a muro e un bagno che era il mio angolo di pace e serenità. Tutto in marmo nero mi accolse quando seduta nella doccia lasciavo che l’acqua a pioggia mi cadesse addosso, mentre pensierosa ripensavo alla donna con il mio stesso volto. Feci passare qualche giorno e poi non resistetti di chiedere udienza al Triumvirato a proposito. La sorpresa fu che non venni convocato, ma anzi uno di loro giunse alla Cittadella lasciando detto di raggiungerlo nella stanza delle udienze per parlare…
     
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    Un fruscio, un movimento nell’ombra, un gemito soffocato.
    Dolore, dolore che scorre nelle vene al posto del sangue.
    Chiedere aiuto non serve, urlare ancor meno, implorare pietà… forse… No! Avrebbe significato morte certa.
    Respira. Respira. Respira.
    È l’unico modo per ritrovare il mio centro, per ritrovare la via verso la luce.


    Aprii gli occhi, senza fretta, con misura, anche se il mio cuore sembrava scoppiare e la pelle era imperlata di minuscole goccioline di sudore. Imposi al mio battito di tornare regolare, perché non c’era alcun motivo per essere tanto folle. Controllai il ritmo, assieme allo scorrere dei pensieri e, piano piano, l’angoscia scomparve.
    Non vedevo niente durante quelli che avrebbero dovuto essere incubi. Nessuna immagine mi tormentava, nessuna delle tante persone che avevo ucciso per poter sopravvivere, né coloro che avevano infierito sulla mia carne e sulla mia anima senza alcun pietà.
    Tuttavia, quando cedevo al sonno, la sensazione pressante di non essere nel mio letto confortevole, ma in un qualche buco di cella maleodorante e umido, mi presentava il conto. Per lunghi attimi restavo bloccato in una sorta di loop senza via di uscita, fin quando, persino nel mondo onirico, mi rendevo conto che non era la realtà… così respiravo e mi costringevo a tornare al presente.
    Dopo il mio ritorno era stato molto difficile riadattarmi alla vita civile. Cinque anni non sarebbero dovuti essere così lunghi e stravolgenti, invece? Mi avevano trasformato da ragazzo a uomo, nella maniera più traumatica che potesse esistere. Quando basi tutto il tuo essere sul più puro e selvaggio spirito di sopravvivenza, non puoi semplicemente ritornare a essere quello di prima, è matematicamente impossibile.
    Qualcuno ricordava un ragazzo di diciassette anni spensierato, con la fissa per le donne, i divertimenti, i motori; si era ritrovato di fronte un giovane uomo di ventidue anni che portava con sé un bagaglio di orrori sconosciuto in più sulle spalle. Avevo dovuto imparare a gestire la consapevolezza di essere rimasto solo. Mia madre era morta durante la mia assenza, perciò non c’era stato più nessuno ad accogliere un redivivo troppo grande per essere educato, troppo giovane per essere davvero maturo. Perciò, avevo dovuto fare da me. Rabbia, frustrazione, dolore, avevo dovuto rinchiuderli in un cassetto segreto, mentre avevo lasciato fluire parte di quella disciplina che mi era stata indispensabile per riuscire a restare in vita.
    Dentro di me vivevano due anime, una ancora incapace di accettare ciò che era stata costretta a subire – tanto da sentire strisciare quasi ogni notte quella subdola inquietudine – l’altra che aveva assimilato gli insegnamenti più crudeli, più adatti al mondo in cui avevo vissuto, ma anche a quello in cui ero tornato.
    Non potevo permettermi debolezze, di nessun genere, per tale ragione attingevo al cassettino molto raramente e solo quando non ne potevo fare a meno.
    Inspirai dalle narici, a fondo, gettando di colpo tutta l’aria fuori dai polmoni.
    Il lato negativo della mia doppia anima si manifestava in questi sogni più o meno coscienti che, al risveglio, erano capaci di restarmi appiccicati addosso come una seconda pelle. Così come quella mattina. Avrei dovuto correre ai ripari, ossia: cancellare ogni appuntamento della giornata e distrarmi.
    Mi alzai dal letto con uno scatto nervoso. Il mio corpo era totalmente nudo, non tolleravo indumenti superflui durante il sonno, quelli aumentavano di molto la probabilità di ritrovarmi imprigionato nella sensazione di angoscia ormai tanto decantata. I fasci muscolari risposero immediatamente al mio comando, portandomi dritto nel grande bagno di marmo nero, pezzo forte della camera patronale che mi ospitava. Feci una doccia gelida, strofinando pelle e pensieri, quasi volessi scorticarli tutti quanti via da ciò che restava di me stesso. Mi asciugai senza neppure guardami allo specchio, raramente lo facevo, forse perché ogni volta temevo il riflesso che vi avrei scorto. Di certo… non avrei trovato il diciassettenne spensierato che ero stato…
    Ancora nudo, mi versai una tazza di caffè bollente e nero nella tazza riscaldata, ecco l’unica nota di calore delle mie mattine, forse addirittura delle mie giornate. Ma non me ne facevo un cruccio, non desideravo neppure il calore di una donna a scaldare il mio letto, sapevo che avrebbe illanguidito solo le lenzuola, non il sottoscritto. Con ogni probabilità, le torture erano andate molto più in profondità: pelle, muscoli, ossa, cuore, spirito… anima. Oppure, doveva solo arrivare la persona giusta, o almeno mi illudevo che potesse essere un’altra opzione accettabile.
    Mentre sorseggiavo la mia bevanda, scorsi il tablet con alcuni degli ordini e comunicazioni più recenti. Dovevo distrarmi, ma tolti i vari allenamenti, avrei dovuto trovare qualcos’altro per impegnare l’intera giornata. Lo sguardo mi cadde su una richiesta di udienza proveniente da una Inquisitrice, dalla Cittadella Inquisitoria. Un punteruolo immaginario stuzzicò la mia curiosità: ecco, questo incontro sarebbe potuto essere un ottimo diversivo, soprattutto se anziché farle raggiungere il Triumvirato, fossi andato io di persona alla Cittadella.
    Sorrisi per la prima volta da molti giorni, anche se nessuno avrebbe potuto godere di quella amena rarità.
    […]
    Ero immobile, lo sguardo rivolto oltre l’enorme finestra che occupava quasi per intero la parete della sala udienze. Le braccia erano incrociate davanti al ventre, mentre la pelle nera del mio consueto abbigliamento fasciava ogni muscolo teso del mio corpo. Avevo preferito indossare il cappuccio al posto della maschera. Quest’ultima la utilizzavo nelle occasioni pubbliche ma più formali, incontrare una Inquisitrice non rientrava in tali ricorrenze. Il cappuccio, d’altronde, mi era più congeniale – retaggio della mia esperienza tra gli Assassini – perché mi permetteva una visibilità maggiore ma allo stesso tempo mi dava modo di nascondere parte del mio volto a occhiate spesso indiscrete. Molti mi osservavano in cerca di cicatrici evidenti o di lampi rossi nelle iridi chiare, convinti che al mio posto fosse tornato un qualche demone dal nome impronunciabile. Trovavano impossibile che un ragazzo di diciassette anni senza cervello avrebbe potuto sopravvivere… nel mondo esterno, lontano da mamma e papà. Se solo sapessero, se solo avessero la minima idea di cosa avevo affrontato. Forse, avevano ragione loro, ero morto… al mio posto c’era davvero un essere sconosciuto persino a me stesso.
    Il filo dei miei pensieri fu interrotto da un leggero bussare al grande portone di mogano che dava accesso alla sala udienze. Subito dopo, l’uscio fu aperto e il rumore di piccoli passi mi raggiunse. Nonostante la misura delicata, il ritmo era marziale: l’Inquisitrice.
    “Signore, sono Kara. Per me è un onore parlarle. Sarei potuta ven…”
    Mi voltai e bloccai qualsiasi altra sillaba con un gesto della mano che richiamava al silenzio. L’Inquisitrice si era zittita. Era rigida come un fuso, sull'attenti, da perfetto soldato qual era. I capelli scuri le sfioravano le spalle, ma riuscivo a immaginarla mentre combatteva, non si sarebbero mai trasformati in un ostacolo. Feci qualche passo verso di lei, continuando a studiarla. Le sue iridi erano cristalline ma non molto luminose, qualche pensiero pareva offuscarle, ma le teneva fisse di fronte a sé, badando bene a non rivolgerle sul sottoscritto. I lineamenti del volto erano delicati, ma l’espressione era severa, le lebbra tirate in una linea dura. La fama delle Inquisitrici le precedeva ovunque andassero, perciò non mi sorprese quel contrasto evidente.
    “Se sono qui, c’è un motivo, Inquisitrice. Hai chiesto udienza, l’hai ottenuta. Qual è l’argomento da trattare?” Era la prima volta che pronunciavo parola dal giorno prima. Da quanto, quella mattina, mi ero svegliato avevo dato solo ordini telematici e… non era mia abitudine salutare o discutere con le persone che incrociavo sul mio cammino. Strano che arrivassi a rifletterci proprio adesso. Forse perché le sillabe appena proferite erano venute fuori roche e cavernose? Mi accorsi, però, che erano giunte a destinazione. “Riposo, soldato” dissi infine, accorgendomi che l’Inquisitrice non si era mossa di un solo millimetro da quando avevo iniziato a girarle intorno. Iniziava proprio a piacermi.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 14/5/2022, 17:54
     
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    Dovevo essere sincera non mi aspettavo in alcun modo che un membro del Triumvirato venisse direttamente alla Cittadella e tanto meno che mi ricevesse in così poco tempo. Lord Queen era tra i tre Sith Purosangue quello più famoso per il suo agire davvero soldato, nella sua veste di Dark Archer compieva in prima persona molte missioni ed omicidi e non era raro che guidasse anche noi Inquisitrici. Ognuna di noi era passata attraverso i suoi duri e violenti allenamenti.
    Aspettai che mi concesse la parola, così che eseguendo la posizione di riposo, tenni lo sguardo di ghiaccio puntato dritto di fronte a me. La grande vetrata faceva entrare timidi raggi di luce, il sole era oscurato da nuvole grigie. I profili rocciosi apparivano così ancora più spettrali e tetri, mentre osservandoli cercavo di comprendere in che modo avanzare l’argomento senza risultare insubordinata.
    «Riguarda la mia ultima missione Lord Queen…» iniziai con tono marziale e riverenziale, ma mai asservito.
    «Come avrà saputo, dal rapporto che io e la Settima Sorella abbiamo fatto, durante lo svolgimento della stessa abbiamo incrociato la nostra strada con due Jedi e… uno dei due, la padawan presumo… Aveva il mio volto!» l’argomento mi metteva a disagio, ma tentennare mi avrebbe fatto risultare più debole di quanto già non fossi. Odiavo la mia condizione e il fatto che venisse accettata per me non era motivo di orgoglio, ma di continua necessità di mettermi alla prova e mostrarmi all’altezza.
    «Non avrei mai tediato il Triumvirato con tali considerazioni se non le trovassi importanti. Per me lei non significa assolutamente nulla, ma il suo aspetto mi ha turbato… Non posso permettere che il suo volto possa rischiare di mettere a rischio la mia identità ed il mio ruolo come Inquisitrice!» e con questo volevo sottolineare il fatto, che avrei accettato qualsiasi risoluzione che il Triumvirato avesse scelto.
    Perché quando dicevo che metteva a rischio il mio ruolo d’Inquisitrice, ovviamente intendevo che metteva a rischio ogni missione che ero chiamata a svolgere e conoscevo troppo bene gli uomini che servivo per sapere che mai lo avrebbero permesso.
    Lord Queen smise di muoversi intorno a me, unico segnale che potesse denotare una reazione alle parole appena udite dalla sottoscritta.
    «Una Inquisitrice e una Jedi con lo stesso volto...» mormorò appena. Stava riflettendo, ma nessuno poteva vedere gli ingranaggi del suo cervello che si muovevano lesti in cerca di una soluzione a quell'enigma. «L'altra ti ha vista a sua volta?»
    «Ho sempre tenuto il visore abbassato, tuttavia quado ha abbordato la mia nave e ci siamo scontrate… no. Quindi sì, mi ha visto in volto!» dissi senza esitazione. Ricordavo molto bene che nonostante il volto celato, tuttavia, lei mi avesse salvato la vita dal cacciatore di taglie che aveva tentato di uccidermi. Non aveva esitato, non sapeva chi fossi eppure mi aveva sentita.
    «Lord Queen, mai una volta ho esitato nonostante lo stupore. Ci tengo a sottolineare ciò mio Signore. Il suo aspetto nulla ha fatto sulla mia volontà ferrea di servire il Triumvirato ed il Primo Ordine!» quello era un punto che tenevo a sottolineare. La mia fedeltà era assoluta e l’unica cosa che temevo di quell’estranea così simile a me, che potesse farmi perdere credibilità. Sia mai che qualcuno avrebbe potuto abbinare il suo viso al mio e credermi debole ed ancor peggio pateticamente misericordiosa.
    Solo in quel momento trovai il coraggio di voltare lo sguardo in cerca di quello di Lord Queen. I miei occhi chiarissimi erano profondi e solo chi non era in grado di leggerne il vero animo, avrebbe potuto credere che fossero fragili. Tutto del mio aspetto, dopotutto, dava l’impressione di una bambola di porcellana. Dai tratti delicati, la pelle candida e il viso dolce e così era, ma quella purezza nell’aspetto solo celava le tenebre più profonde.
    Nonostante il suo sguardo fosse celato sotto il cappuccio, lo percepivo chiaramente su di me, studiandomi a fondo. Non perse neppure un dettaglio delle mie reazioni, né dei miei pensieri. Non ero certa del perché io lo incuriosissi così tanto, ma temevo che il mio sottolineare la mia fedeltà al Triumvirato, con così tanta veemenza, lo aveva messo in allerta.
    «Nessuno mette in discussione la tua efficienza, soldato. Vi ho addestrato io, ricordi?»
    Alla sua dura constatazione mi irrigidì. Mi consideravo debole, inferiore a tutte le mie compagne. Ero certamente superiore a qualsiasi altro membro del Primo Ordine, all’infuori del Triumvirato Sith, ma essere un Inquisitrice era ben altro. Era essere perfetti, sani, forti ed io non lo ero. Ero difettosa e questo mi faceva impazzire. A quel punto, prese una sedia dal grosso tavolo da conferenza, la fece strofinare rumorosamente sul pavimento, prima di sedersi. Un gomito appoggiato sul bordo del tavolo, il mento a sua volta adagiato sulle due dita della mano e le gambe leggermente divaricate. «Una Diade. Sai di cosa si tratta?» Era di poche parole, come sempre, ma in quel caso non aveva fretta. Alla sua domanda, tuttavia, mi feci ancora più attenta scuotendo appena il capo, ma fissandolo, con riverenza ed interesse.
    «La Diade nella Forza è un legame estremamente potente, stabilito in maniera naturale tra due esseri sensibili alla stessa. Questo legame trascende lo spazio e il tempo, tanto che i due individui connessi possono sentirsi e addirittura interagire tra loro anche ad anni luce di distanza.» Queen aveva dato la definizione canonica, ma si percepiva che ci fosse qualcos'altro che frullava tra i suoi pensieri, nonostante il cappuccio celasse il suo sguardo e le labbra fossero ferme in una linea dura. «Non si deve essere necessariamente parenti per svilupparla, ma nel tuo caso...»
    Corrucciai le sopracciglia, pensierosa, ma in egual misura attenta ad ogni sua parola. Ciò che immediatamente mi era venuto in mente era che una tale informazione avrebbe potuto essere fondamentale al fine di estirpare da me la debolezza che mi rendeva difettata. Lord Mahkent era stato categorico nel prendere sempre le mie parti, vedendo in me un potere a me sconosciuto, lui non mi definiva debole, ma solo oscurata. Come una stella che deve solo trovare il modo di liberarsi dalle nuvole che la celano per far risplendere il cielo notturno quasi fosse giorno. Non avevo mai compreso le sue parole né il suo insistere affinché Lord King lavorasse strenuamente ad una cura, ma ora quella notizia… che fosse la panacea che tanto stavo cercando?
    «Chiunque ella sia, Lord Queen, sono certo potremo scoprirlo…» e lo dissi con un leggero ghigno sul volto. La prospettiva di averla prigioniera, di studiarla, di guarire… mi aveva dato una speranza che credevo vana.
     
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    Quella Inquisitrice mi incuriosiva, questo non potevo negarlo.
    Dopo anni di solitudine non imposta ma necessaria a ritrovare il mio centro, una piccola scintilla sembrava essersi risvegliata. Non era l’aspetto fisico della donna, ne avrei potute avere di più belle e accondiscendenti se solo avessi alzato un dito. No, era la luce che brillava nei suoi occhi di cristallo. Quella postura rigida frutto non solo di un duro addestramento, ma anche di una nota di disagio che proveniva dalla sua condizione… che definire particolare era un eufemismo.
    La Forza su di lei aveva un percorso totalmente anomalo, più che aiutarla sembrava danneggiarla, risucchiandola dall’interno. L’equilibrio oscuro che io avevo raggiunto attraverso anni di autodisciplina, lei avrebbe potuto ottenerlo solo attraverso un fattore esterno, o almeno questa era l’opinione di King, il quale era stato molto chiaro in merito: la Forza si comportava in lei come un parassita, ma non poteva essere estirpata senza ucciderla, né tantomeno lei lo avrebbe accettato. Senza la Forza, Kara sarebbe stata meno di niente… figurarsi mantenere lo status di Inquisitrice. A mio modestissimo parere, senza essere un cervellone, credevo che ci fosse sempre il modo di trovare la soluzione dentro se stessi… almeno nella maggior parte dei casi.
    Riflettevo su questo dopo averle spiegato cosa fosse la diade. Vidi le sue iridi chiare trasformarsi quasi in diamanti e potei quasi percepire gli ingranaggi della sua mente muoversi celeri…
    “Chiunque ella sia, Lord Queen, sono certa potremo scoprirlo…” Aveva colto il mio dubbio, la cura di King non stava facendo effetto come un tempo e se…
    “Questa ragazza potrebbe essere un’alternativa alla cura che stai facendo…” mormorai, stringendomi il mento tra le mani. Poco dopo, tirai indietro il cappuccio, rivelando il mio volto. “Ma a mio parere, la soluzione è sempre dentro di noi.” Non volevo sottolineare una sua debolezza, ma nemmeno riversare su un essere estraneo la sua salvezza. C’era qualcosa che mi impediva di porre fine all’incontro…
    Pareva che il mio gesto – quello di scoprirmi il volto – avesse generato più sorpresa del previsto, tanto da farla rabbrividire. Raramente concedevo questo lusso e non sapevo perché lo avessi fatto proprio con lei. Non era paura, era profondo rispetto e, forse, qualcosa in più che ancora dovevo decifrare. Passarono secondi infiniti, prima che lei si decidesse ad abbassare lo sguardo, portandosi il pugno sul cuore.
    “Mio Signore...” La sua voce era ridotta a un sussurro, ma non era sottomessa. Era chiaro che si sentiva in difetto per essersi mostrata debole con le sue elucubrazioni. Tornò a guardarmi poco dopo e sgranò gli occhi nel trovarmi più vicino, in piedi al suo fianco, non più seduto e rilassato. “Sarò disposta ad ogni cosa!”
    Tentavo in ogni modo di metterla alla prova, farla cedere, invadendo anche il suo spazio personale con la mia presenza. Tuttavia, lei sembrava essere decisa a tenere duro. Era disposta a tutto? Bene, allora avrei provato io con i miei mezzi a risolvere il problema, perché di questo si trattava.
    “Per un paio di settimane, questo sarà il tempo che ci daremo, non andrai in missione” iniziai, con un tono marziale, che non ammetteva alcun tipo di replica. Stavo dando gli ordini. “Ti farai trovare all’alba, nello spazio di addestramento più discreto che potrai trovare.” Mentre parlavo, mi accostavo ancor di più. Il mio naso quasi sfiorava il suo orecchio destro. “Spezzeremo questa debolezza e tu potrai tornare ad avere il controllo che ora ti manca.” Le sillabe fluirono direttamente nella sua mente, potevo percepire che avesse smesso di respirare.
    Aveva soggezione di me, ma non arretrava di un millimetro. Questo, per me, era di certo un ottimo inizio.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 26/5/2022, 16:21
     
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    L'imposizione marziale di Lord Queen mi tese molto. Era alquanto umiliante essere ritirata dal ruolo operativo, ma non mi lamentai.
    Il Triumvirato Sith aveva conferito ed avevano accettato la sua proposta, facendolo diventare di fatto il mio Mentore segreto. Nessuna delle Inquisitrici era stata messa al corrente della cosa. Ci allenavano in un luogo lontano dalla Cittadella Inquisitoria tra rocce spioventi e terra rossa. Io mi facevo sempre trovare al sorgere del primo sole, ce ne erano tre durante il giorno. Il secondo scandiva l'inizio della luce, in quanto quello che lo precedeva era così debole da macchiare appena l'oscurità di rosso... Sempre perfettamente in orario, mai in ritardo. Orgogliosa e pronta a qualsiasi prova a cui sarei stata sottomessa.
    Scoprì ben presto che gli allenamenti privati con Lord Queen potevano essere ancor più duri di quelli a cui ci aveva sottoposto per divenire Inquisitrici a tutti gli effetti. Mi aveva infatti "spogliata" prima della mia divisa e poi della mia spada. Combattere senza ciò che mi definiva, ma in un'anonima tuta nera era umiliante. Non c'era né la Forza, né le mie abilità. Era costantemente un combattimento corpo a corpo senza esclusioni di colpi e nonostante non chinavo mai il capo, la mia condizione mi svantaggiava. Ero a prescindere, di quanto già non lo si fosse contro di lui, debole. Cedere, non parare un suo colpo o non stare dietro al suo ritmo era un'umiliazione che non potevo sopportare.
    Sputavo sudore, sangue ed ogni giorno tornavo nei miei alloggi sporca, ferita e con lividi che non mi permettevano nemmeno di accostarmi, ma in silenzio compenetravo il dolore. Questo mi diceva sempre, di prenderlo e farlo mio. Di usarlo non per essere più fragile, ma più forte.
    Anche quella mattina ci muovevamo in una coreografia che per noi era divenuta ormai una routine assodata. Parava ogni mio colpo senza difficolta e quando riuscì ad afferrarmi il polso e tenermi le braccia incrociate capì che dovevo ragionare in fretta, dovevo velocemente liberarmi da quell'ostacolo. Infatti lui mi strattonò vicino a farmi finire ad un palmo dal suo naso, ma non mi lasciai intimidire e a differenza delle scorse volte alzai il gomito e seppur lui mi teneva ancora i gomiti riuscì a colpirlo in volto costringendolo a liberarmi.
    In quei combattimenti lui non era Lord Queen, ma il mio nemico. Ora lo capivo, ora agivo di conseguenza.
    Riuscì ad approfittare della cosa per allungare un braccio toccargli il petto nudo e sudato con la mano e questo gli fece perdere l'equilibrio e far fare qualche passo indietro, senza tuttavia cadere.
    Era la prima volta che non avevo usato la Forza, se non quella semplicemente del mio corpo e questo lo fece ghignare in modo impercettibile.
    Tornai ad attaccarlo, ma lui nuovamente riuscì a bloccare ogni mio tentativo, perfino insinuò una sua mano tra i miei capelli e li strinse costringendomi con il capo all'indietro, feci correre veloce la mia mano lungo la linea scolpita dei muscoli del suo braccio, arrivai al suo polso e mentre con l'altra mano facevo pressione sul suo fianco riuscì a liberarmi, lo spinsi all'indietro, gli corsi incontro e gli saltai in braccio. Una gamba intorno alla vita e poi lo attirai a me, rotolammo a terra ed in men che non si dica si trovò con la schiena a terra. Un ginocchio sul suo petto e la sua mano al mio collo, rimanemmo molto più di quanto fosse giusto e consentito a guardarci fissi negli occhi e poi deglutendo il vuoto mi alzai in piedi ansante ed osservandolo di sottecchi.
    Era la primissima volta in assoluto che ero riuscito a metterlo KO senza usare altro che non fosse la mia forza fisica, di volontà. Adesso tremavo e non era per lo sforzo, ma per quella debolezza insita che stavo combattendo con ogni particella del mio corpo.
    Mai nei nostri incontri avevo preso le mie pastiglie, non le assumevo da giorni ormai, dunque in quel momento stavo combattendo strenuamente una lotta dentro di me per non cedere. Per non cadere a terra, stringevo i pugni lungo i fianchi contraendo la mascella per lo sforzo.
    Dovevo resistere, dovevo mostrargli di che pasta ero fatta… ad ogni costo!
     
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    Mi aveva messo KO. Per la prima volta da giorni, l’Inquisitrice era riuscita a stendermi, approfittando di un minuscolo momento di distrazione. Momento di distrazione che non mi capitava da… praticamente una intera esistenza.
    Da quando avevo decretato la morte del ragazzo senza cervello che ero stato, non avevo mai abbassato la guardia. Tutte le sofferenze patite avevano contribuito a forgiare una ferrea disciplina che mai, nessuno, era stato in grado di scalfire.
    Ci si allenava? Non esisteva orgoglio.
    Si uccideva? Non esisteva pietà.
    Si insegnava? Non esisteva compassione.
    Qualsiasi cosa facessi era sempre stata caratterizzata da precisione marziale, perché? Perché era quella che mi aveva permesso di sopravvivere e tornare.
    Poco fa, invece, avevo vacillato. Le dita di Kara avevano fatto pressione sul mio torace di bronzo screziato da mille cicatrici. Avevano fatto perno per liberarsi da una mia presa, ma la loro azione non si era limitata a ciò. Quelle dita avevano provocato un brivido interno, molto in profondità. Come se anziché fermarsi sulla superficie, fossero andate oltre… scavando e toccando, fino a generare quel brivido che non percepivo da quando ero stato quell’adolescente senza cervello. Fatto di carne, di sensazioni, di sentimenti, di passione.
    Non lo ricordavo più. Anzi, doveva essere morto e sepolto. Cosa diavolo era accaduto?
    Fissai Kara mentre ansimava, lo scambio di sguardi era stato intenso, più lungo del dovuto. Cosa avevo visto nei suoi occhi chiari? Dovevo ragionarci su oppure mandare tutto al diavolo? No, non era da me rinunciare di fronte a un enigma.
    “Hai usato solo la tua forza fisica. Puoi essere anche senza la tua uniforme, la tua spada, la Forza che è decisa a divorarti dall’interno. Se ti convinci di non aver bisogno di tutto questo, allora potresti superare i tuoi stessi limiti…” Le mie parole si erano diffuse nella piccola arena che usavamo per allenarci, mentre mi alzavo e pulivo i palmi graffiati sul tessuto dei pantaloni. Lei stava lottando per non cedere, ma pareva quasi che stesse per crollare da un momento all’altro.
    “Sig-gnore, come posso rinunciare alla Forza? Non potrei più essere ciò che sono.” Kara parlò con un filo di voce, nel tentativo di controllare lo sforzo e non far trapelare la sua condizione di sofferenza. Invano.
    Le feci segno di andare verso la panca a bordo dell’area di combattimento. Strascinò appena i piedi, ma la linea dura della sua bocca era molto più eloquente. Ci sedemmo entrambi, uno di fianco all’altro, anche se lei era sempre tesa, con la schiena e con i pensieri.
    “Non devi rinunciare alla tua Forza. Devi imparare a farne a meno per poterla controllare.” Almeno questa era la mia teoria tutta da verificare. Le passai dell’acqua dandole solo un piccolo sguardo veloce, prima di tornare a fissare di fronte a me. Non mancai di notare la sua espressione sorpresa, il mio era stato un gesto… il primo della storia… fin troppo confidenziale con un sottoposto.
    Potevo percepire la sua presenza, oltre che la sua frequenza cardiaca in netto aumento, nonostante avrebbe dovuto andare verso il riposo vista l’attività conclusa. “Poco fa, ci sei riuscita” sottolineai mettendo in risalto l’evidenza. Eppure, non sembrava del tutto convinta. Forse aveva percepito il mio attimo di debolezza? Non potevo saperlo, anche se lo sguardo che ci eravamo scambiati poco prima avrebbe potuto avere mille interpretazioni.
    I tremori delle sue mani sembravano acquietarsi, così come il battito del suo cuore. Era così vulnerabile adesso, stava respirando di sollievo. Il mio ruolo di Maestro mi imponeva di agire, di prenderla alla sprovvista per coglierla in fallo… ma non lo misi in atto. Dentro di me, quella sensazione di rilassatezza che percepivo era quasi benefica, anche se l’origine restava sconosciuta.
    Il silenzio si propagava, ma non era fastidioso o disagevole. I nostri respiri erano sincroni mentre ci appoggiavamo alla parete dietro di noi. Potei guardarla con la coda dell’occhio, lei parve fare lo stesso. Una situazione da una parte strana, dall’altra persino imbarazzante…
    “Grazie… per tutto. Non era tenuto a prendersi questo impegno.” La sua voce non era dolce, tutto il contrario, tentava di mantenere un certo tono. Tuttavia, capii che era sincera, oltre che confusa. Non la biasimavo.
    Sospirai, mettendo le braccia sulle ginocchia e voltando il capo nella sua direzione. La guardai di nuovo negli occhi, direttamente. “Sei una Inquisitrice. Sei un membro di questa famiglia nera. È mio dovere fare in modo che tu sia efficiente e sicura. Non aiuterai nessuno in queste condizioni. E io… avevo voglia di dedicarmi a qualcosa di diverso dalle solite incombenze. Diciamo che siamo pari.”
    Un discorso il mio che non avrei fatto nemmeno tra un milione di anni a qualcuno di grado inferiore. Tuttavia, quel brivido mi aveva detto chiaramente che in questa situazione qualcosa di diverso c’era…
    “Qualcun altro mi avrebbe considerata un vuoto a perdere e mi avrebbe scartata” rispose Kara, il tono non più tanto fermo, mentre ricambiava la mia occhiata. Le dita artigliavano con forza la bottiglia.
    “Allora dimostrami che non sono un visionario. Che non sto perdendo il mio tempo. Che non sei un vuoto a perdere” ribattei senza esitare, alzandomi dalla panca con uno scatto fluido e tendendo una mano verso di lei. In quel gesto c’era tutta la mia fiducia, quella che non avevo mai concesso a nessun essere vivente dopo la mia scomparsa. Se stava accadendo ora, con una completa sconosciuta, una risposta doveva esserci.
    Avevo la sensazione che l’avrei scoperta molto presto.
     
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